La trama del matrimonio
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La trama del matrimonio

  1. 480 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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La trama del matrimonio

Informazioni su questo libro

Madeleine Hanna era l'unica laureanda a non aver capito. Siamo, significativamente, all'inizio degli anni Ottanta, e mentre tutti gli altri attorno a lei leggono Roland Barthes e studiano lo strutturalismo ("la prima cosa che profumava di rivoluzione"), Madeleine rimane felicemente attaccata a Jane Austen, George Eliot e Henry James. Un po' troppo elegante per i gusti dei suoi amici bohémien, Madeleine è la studentessa perfetta e avvenente la cui vita amorosa non è mai stata all'altezza delle proprie aspettative. Ma ora, all'ultimo anno di università, si è iscritta al corso di semiotica: visto che tutti ne parlano, sedotti e affascinati, vuole almeno capire di cosa si tratta. Non sa che da quel momento, indipendentemente dallo studio, per lei vita e letteratura non saranno più le stesse. Tutto cambia quando, imbattutasi nei Frammenti di un discorso amoroso ed essendone rimasta folgorata, decide di cedere al fascino di Leonard Bankhead, un giovane dallo strano carisma che soffre di profonde crisi depressive, fino a convincersi di esserne davvero innamorata. Ma siccome la vita spesso sembra giocare con quei romanzi che Madeleine ha tanto amato, ricompare anche all'improvviso Mitchell Grammaticus, un vecchio amico che ha preferito dedicarsi allo studio delle religioni, ossessionato dall'idea che Madeleine è la donna della sua vita. Nel corso di un anno, da quando si laureano e muovono i primi passi nel mondo, si vedranno costretti a rimettere in discussione tutto quello che hanno imparato sui libri, a rivedere le idee e gli ideali mediati dalla letteratura. Con conseguenze imprevedibili.
Il triangolo che questo grande romanzo ci racconta, centrato su tre personaggi colti in un passaggio esistenziale delicato e decisivo, sorprende per originalità e freschezza. Con intelligenza, ironia e straordinario calore, Eugenides riprende la grande tradizione letteraria ottocentesca legata al tema del matrimonio e la riscrive completamente alla luce dell'oggi, ridando energia e senso al romanzo contemporaneo con una storia così calata nel nostro tempo da poter essere letta come il diario intimo delle nostre vite. "Un romanzo colto, appassionato e acuto nel descrivere le relazioni amorose" ha scritto l'autorevole e temuta Kirkus Reviews. "Eugenides si dimostra nuovamente uno dei migliori scrittori contemporanei."

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
Print ISBN
9788804613589
eBook ISBN
9788852021008

Un pazzo innamorato

Guardiamo i libri, per cominciare. C’erano i romanzi di Edith Wharton, allineati sullo scaffale non in ordine alfabetico per titolo ma per anno di pubblicazione; c’era l’opera completa di Henry James della Modern Library, regalo del padre per il suo ventunesimo compleanno; c’erano i testi con le orecchie alle pagine usati per gli esami, molto Dickens, un assaggio di Trollope, dosi generose di Jane Austen e George Eliot e delle formidabili Brontë. Un buon numero di tascabili New Directions con le copertine bianche e nere, soprattutto poetesse come H.D. o Denise Levertov. I romanzi di Colette letti di nascosto. La prima edizione di Coppie, appartenuta a sua madre, che Madeleine aveva sfogliato clandestinamente in prima media e ora aveva utilizzato come supporto testuale per la sua tesi di laurea sulla trama del matrimonio. C’era, insomma, questa biblioteca di medie dimensioni ma ancora trasportabile che riuniva quasi tutte le letture di quattro anni di college, una raccolta di volumi apparentemente casuale che a poco a poco trovava un senso, come uno di quei complicati test della personalità che non ti permettevano di barare prevedendo le implicazioni delle domande, e dove ti smarrivi al punto che l’unica soluzione era rispondere la verità. E poi aspettavi, sperando che il responso fosse “Artista” o “Passionale”, pensando di poter sopportare “Sensibile” mentre in segreto temevi “Narcisista” e “Casalinga”, per ottenere infine un risultato a doppio taglio che ti faceva sentire diversa a seconda del giorno, dell’ora o del ragazzo con cui stavi: “Inguaribile Romantica”.
Questi erano i libri nella stanza dove Madeleine giaceva, con un cuscino sulla testa, la mattina della cerimonia di laurea. Li aveva letti tutti fino all’ultimo, spesso più volte, sottolineando molti brani, ma adesso non le erano di alcun aiuto. Tentando di ignorare la stanza e ciò che conteneva, Madeleine sperava di eclissarsi nell’oblio che l’aveva protetta nelle ultime tre ore. Un qualsiasi grado di lucidità l’avrebbe costretta ad affrontare alcuni fatti incresciosi: la quantità e la varietà di alcolici, per esempio, consumati nottetempo, e l’essersi addormentata senza togliere le lenti a contatto. Pensare a simili dettagli le avrebbe ricordato i motivi che l’avevano spinta a bere, e questa era l’ultima cosa che voleva. Perciò Madeleine sistemò il cuscino in modo da nascondere la luce del mattino e cercò di riaddormentarsi.
Un tentativo inutile, perché in quel preciso momento dall’altra parte della casa suonò il campanello.
Inizi di giugno a Providence, Rhode Island. Il sole era già sorto da un paio d’ore e illuminava la baia grigia e le ciminiere della Narragansett Electric, alzandosi nel cielo come il sole dal volto sagace che simboleggiava la sapienza nello stemma della Brown University riprodotto sugli stendardi e gli striscioni che coprivano ogni angolo del campus. Ma se, con pessimismo battista, i fondatori dell’università avevano voluto raffigurare la luce della conoscenza insidiata da un manto di nubi, a indicare che l’ignoranza non era ancora stata bandita dal regno degli uomini, il sole su Providence sconfiggeva l’astro metaforico aprendosi un varco tra le nuvole per inviare sulla terra i suoi raggi frammentati, ridando ai plotoni di genitori intirizziti da un fine settimana freddo e piovoso la speranza di una giornata di festa non rovinata da un maltempo fuori stagione. Splendeva su tutta College Hill, sui giardini geometrici delle dimore georgiane, sui cortili profumati dalle magnolie degli edifici vittoriani, sui marciapiedi di mattoni, sulle nere recinzioni di ferro battuto che sembravano uscite da un fumetto di Charles Addams o da una storia di Lovecraft, di fronte agli studi della Rhode Island School of Design, dove uno studente che si laureava in arti figurative rimasto alzato l’intera notte diffondeva a tutto volume la musica di Patti Smith. Si rifletteva sugli strumenti (rispettivamente bassotuba e tromba) di due membri della banda dell’università che, arrivati presto al punto di raccolta, si guardavano intorno inquieti chiedendosi dove fossero finiti tutti gli altri, illuminava il lastricato delle stradine secondarie che scendevano verso il fiume inquinato e splendeva su ogni pomello d’ottone, su ogni ala d’insetto e su ogni filo d’erba. E di concerto con la repentina inondazione di luce, come fosse il colpo sparato dallo starter per dare inizio alle attività, nell’appartamento del quarto piano il campanello gracchiò, penetrante, insistente.
La vibrazione la colpì più come una sensazione che un suono, una scossa elettrica lungo la spina dorsale. Scostò il cuscino di scatto e si mise seduta sul letto. Madeleine sapeva chi stava suonando. Erano i suoi genitori. Aveva appuntamento con Alton e Phyllida alle sette e mezzo, per fare colazione insieme. L’accordo risaliva ad aprile, due mesi prima, ed eccoli lì, efficienti e affidabili, all’ora stabilita. Non c’era nulla di strano o di sbagliato nel fatto che fossero venuti in automobile dal New Jersey per assistere alla cerimonia di laurea e festeggiare, con loro legittima soddisfazione, la conquista di quel traguardo. Il problema era che per la prima volta in vita sua Madeleine non voleva avere niente a che fare con tutto ciò. Non era fiera di se stessa. Non era in vena di festeggiare. Aveva perso ogni fede nel significato di quel giorno e in ciò che rappresentava.
Considerò la possibilità di non rispondere. Ma in tal caso l’avrebbe fatto una delle sue coinquiline, e allora avrebbe dovuto spiegare dov’era andata a finire, la sera prima, e con chi. Perciò, seppure a malincuore, si alzò.
Per un momento le sembrò di poter stare in piedi. Si sentiva la testa stranamente leggera, vuota. Poi il sangue che defluiva dall’encefalo come sabbia in una clessidra raggiunse la strozzatura e un dolore atroce le fece esplodere il cranio all’altezza della nuca.
Nel bel mezzo di questo bombardamento, come fosse il fulcro di furore che lo scatenava, il campanello riprese a suonare.
Madeleine uscì dalla camera. A piedi nudi e a passi malfermi arrivò fino al citofono e schiacciò il pulsante SPEAK per far cessare il rumore.
«Sì?»
«Che succede? Non sentivi il campanello?» Era la voce di Alton, baritonale e autoritaria come sempre, benché uscisse da un piccolo altoparlante.
«Scusa» disse Madeleine. «Ero sotto la doccia.»
«Poco plausibile. Ci fai entrare, per favore?»
Madeleine non voleva che entrassero. Doveva prima lavarsi.
«Scendo io» disse.
Questa volta tenne premuto il pulsante troppo a lungo e non sentì la risposta di Alton. Lo premette ancora. «Papà?» disse, ma dovevano aver parlato contemporaneamente, perché quando schiacciò il pulsante LISTEN le arrivò soltanto un crepitio.
Madeleine approfittò della pausa nella comunicazione per appoggiare la fronte allo stipite della porta. Il legno era piacevolmente fresco. Se avesse potuto tenere la testa premuta contro quel legno confortante, pensò, magari quell’orribile dolore sarebbe passato, e se avesse potuto tenere tutto il giorno la fronte sullo stipite e al tempo stesso uscire, forse ce l’avrebbe fatta, forse sarebbe riuscita a fare colazione con i genitori, prendere parte al corteo, ritirare la pergamena della laurea.
Madeleine alzò la testa e premette di nuovo il pulsante del citofono.
«Papà?»
Le rispose la voce di Phyllida. «Che cosa succede, Maddy? Apri, su.»
«Le altre dormono ancora. Scendo io. Non suonate più il campanello, per favore.»
«Non ci fai vedere la tua casa?»
«Adesso no. Arrivo. Non suonate.»
Madeleine staccò la mano dal citofono e si raddrizzò, guardandolo con occhi fiammeggianti come per sfidarlo a riprovarci. Visto che taceva tornò nel corridoio per andare in bagno. Era a metà strada quando Abby emerse dalla sua camera, bloccandole il passaggio. Sbadigliò, si passò una mano nella folta chioma e vedendola fece un sorrisetto complice.
«Oh, bene» disse. «Si può sapere dove sei sparita ieri sera?»
«Sono arrivati i miei» rispose Madeleine. «Dobbiamo andare a fare colazione.»
«Dài, racconta.»
«Non ho niente da raccontare. Sono in ritardo.»
«Allora come mai sei ancora vestita come ieri sera?»
Anziché rispondere Madeleine abbassò gli occhi. Dieci ore prima, quando si era fatta prestare da Olivia l’abito nero Betsey Johnson, aveva pensato che le stesse bene. Adesso era caldo e appiccicoso, il cinturone di cuoio sembrava un attrezzo sadomaso e vicino all’orlo c’era una macchia che preferiva non identificare.
Nel frattempo Abby aveva bussato alla porta della camera di Olivia ed era entrata senza aspettare la risposta. «Altro che cuore infranto. Alzati e vieni a vedere!»
Il corridoio era libero. Madeleine aveva un bisogno estremo, quasi patologico, di fare la doccia. Come minimo doveva lavarsi i denti. Quando sentì la voce di Olivia capì che da un momento all’altro avrebbe subito un doppio interrogatorio. Era probabile che i suoi genitori ricominciassero a suonare il campanello. Camminò all’indietro cercando di non far rumore, infilò i piedi in un paio di mocassini lasciati accanto alla porta, schiacciando il tallone, ritrovò l’equilibrio e scappò fuori.
L’ascensore la attendeva in fondo alla passatoia a motivi floreali. La attendeva perché uscendone barcollante, poche ore prima, non l’aveva chiuso bene. Ora provvide a spingere il cancelletto fino in fondo, schiacciò il pulsante per il piano terra e con uno scossone l’antico marchingegno cominciò la sua discesa nella penombra delle viscere dell’edificio.
La casa dove viveva Madeleine, il Narragansett, un castello neoromanico che occupava l’angolo fra Benefit e Church Street, era stata costruita all’inizio del secolo. L’ascensore era uno dei dettagli d’epoca sopravvissuti insieme al lucernario con i vetri colorati, ai candelabri a muro d’ottone e all’atrio di marmo. Gigantesca gabbia per uccelli fatta di sbarre di metallo curve, l’ascensore continuava miracolosamente a funzionare, ma con estrema lentezza, e Madeleine ebbe il tempo di cercare di rendersi presentabile. Si sistemò i capelli pettinandoli con le dita. Usò l’indice per pulirsi i denti. Staccò i grumi di mascara dalle palpebre inferiori e si inumidì le labbra con la lingua. Mentre l’ascensore oltrepassava la balaustra del secondo piano si guardò nello specchio appeso al pannello dietro di lei.
Uno degli aspetti positivi dell’avere ventidue anni, o di essere Madeleine Hanna, era che tre settimane di pene d’amore, seguite da un’epica notte di bevute, non avevano provocato danni permanenti. A parte gli occhi un po’ gonfi, Madeleine era la bella ragazza bruna di sempre. La simmetria del suo viso – il naso dritto, gli zigomi e la mascella alla Katharine Hepburn – era di una precisione quasi matematica. Soltanto l’ombra di un solco tra le sopracciglia tradiva la persona leggermente ansiosa che sapeva di essere, in fondo.
Vide i genitori, intrappolati fra la porta dell’atrio e il portone: Alton con la giacca di lino a righe, Phyllida con un completo pantalone blu marino e una borsetta intonata con la fibbia dorata. Per un istante Madeleine provò l’impulso di fermare l’ascensore e abbandonarli nell’atrio tappezzato da poster di gruppi new wave con nomi come Wretched Misery o Clits, in mezzo a disegni porno di Egon Schiele del Risd Museum lasciati dal ragazzo del secondo piano, nonché a un diluvio di volantini ciclostilati o fotocopiati il cui sottotesto era che i sani valori patriottici della generazione dei suoi genitori erano ormai finiti nella discarica della storia, soppiantati da una visione nichilista e post-punk che nemmeno lei capiva ma volentieri usava per scandalizzarli. Poi l’ascensore si fermò, lei fece scorrere il cancelletto e uscì ad accoglierli.
Il primo a entrare fu Alton. «Eccoti!» disse con passione. «La nostra laureata!» e si slanciò, come se andasse sotto rete, per stringerla in un abbraccio. Madeleine si irrigidì. Temeva di avere addosso l’odore dell’alcol o, peggio, del sesso.
«Non capisco perché non hai voluto farci salire» disse Phyllida entrando a sua volta. «Ci tenevo moltissimo a conoscere Abby e Olivia. Ci farebbe molto piacere invitarle a cena, stasera.»
«Non ci tratteniamo per la cena» le ricordò Alton.
«Potremmo, volendo. Dipende dag...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La trama del matrimonio
  4. Un pazzo innamorato
  5. Pellegrini
  6. Una mossa brillante
  7. Riposare nel Signore
  8. E una grande tristezza a volte provavano
  9. Il kit di sopravvivenza per ragazze
  10. Ringraziamenti
  11. Copyright