«Dichiari il suo nome, per favore, e il cognome lettera per lettera per il verbale.» Seduto al tavolo della difesa, Sandy Stern si schiarisce la voce. In questi giorni lo fa automaticamente sia prima sia dopo aver parlato, un piccolo gorgoglio raspante che non sembra mai perfettamente normale.
«Rozat K. Sabich. S-A-B-I-C-H.»
«È conosciuto con altri nomi?»
«Rusty.»
Sul banco dei testimoni, mio padre indossa un completo blu ben stirato e mantiene una postura eccellente e un contegno irreprensibile. Al suo posto io sarei un disastro, ma in questi ultimi mesi papà ha assunto l’espressione distaccata di un mistico. A quanto pare, ha smesso di credere nel principio di causa ed effetto. Le cose succedono. Punto.
«Possiamo chiamarla Rusty?» chiede Stern mentre solleva con eleganza il dorso della mano, come se temesse di essere prepotente. Dopo che mio padre ha acconsentito, Stern gli chiede di informare la giuria riguardo al suo lavoro.
«Nel novembre scorso sono stato eletto alla Corte Suprema dello Stato, ma non ho ancora prestato giuramento e accettato formalmente la nomina.»
«Come mai, signore?»
«Perché sono stato accusato di un crimine, e ho pensato che fosse più giusto nei confronti di tutti gli interessati attendere l’esito del processo. Nel frattempo, sono sempre il presidente della Corte d’Appello del Terzo Distretto qui nella Kindle County, anche se ho chiesto un periodo di congedo.»
Stern specifica che sia la Corte d’Appello sia la Corte Suprema sono ciò che i legali definiscono tribunali di revisione, riferendosi al fatto che sostanzialmente si occupano di appelli.
«Ci può spiegare, per favore, cosa significa essere giudice in un tribunale di revisione?»
Mio padre spiega dettagliatamente i suoi compiti. Di fronte a lui, Tommy Molto si alza per obiettare quando papà inizia a spiegare che l’appello di un caso criminale normalmente non consente al giudice di ribaltare la decisione presa da una giuria.
Il giudice Basil Yee soppesa la questione scuotendo la testa in modo piuttosto plateale. Il giudice Yee viene da Ware, nella parte meridionale dello Stato, e la Corte Suprema statale lo ha assegnato a questo processo dopo che tutti i giudici ordinari della Kindle County, le cui decisioni mio padre aveva esaminato in appello per più di dieci anni, hanno ricusato in massa. È un immigrato di Taiwan, che è arrivato a Ware, una cittadina con non più di diecimila abitanti, a undici anni, quando i suoi genitori avevano rilevato il locale ristorante cinese. Il giudice Yee scrive in un inglese impeccabile ma lo parla ancora come seconda lingua, con un forte accento che include acuti tipicamente asiatici, e in parte ne ignora il tessuto connettivo: articoli, preposizioni, consecutio temporum. Il suo stenotipista abituale non l’ha accompagnato, e il modo fastidioso con cui Jenny Tilden lo interrompe continuamente per chiedergli di ripetere quello che ha appena detto lo ha reso un uomo di pochissime parole.
Il giudice Yee decide in favore di mio padre, che la fa parecchio lunga, proprio come temeva Molto, per far capire alla giuria che a loro, e soltanto a loro, spetta l’ultima parola sulla sua innocenza o colpevolezza.
«Molto bene» dice Stern. Tossisce e si aggrappa al tavolo per alzarsi in piedi. Sandy ha il permesso del giudice di interrogare i testi restando seduto ogni volta che lo desidera. Per una di quelle conseguenze a cui è difficile credere, e che la medicina può metterci secoli a decifrare, il tipo di cancro ai polmoni di Stern gli provoca artrite a un ginocchio, e lui ora zoppica.
Accanto a lui, Marta, sua figlia e socia dello studio, istintivamente posa la mano destra con le unghie dallo smalto vivace sul gomito del padre per dargli una piccola spinta discreta. Da quando ero bambino sento parlare del magnetismo di Sandy Stern in aula. Come tante cose della vita, è un fenomeno che nessuno è in grado di spiegare. È piccolo, un metro e sessanta scarso, e per essere onesti è piuttosto tozzo. Per strada puoi passare migliaia di volte accanto a Sandy Stern e non vederlo neanche. Ma quando è in tribunale è come se si accendesse un faro. Anche adesso, consumato dal cancro, in ogni sua parola e in ogni suo gesto c’è una precisione che ti impediscono di distogliere lo sguardo.
«E ora, se non le dispiace, Rusty, ci parli della sua formazione.» Stern guida mio padre lungo la sua storia. Figlio di un immigrato, università grazie a una borsa di studio, laurea in legge mantenendosi con due lavori.
«E dopo la laurea in legge?» chiede Stern.
«Sono stato assunto come viceprocuratore dalla Kindle County.»
«Nello stesso ufficio di cui oggi è a capo il signor Molto?»
«Esatto. Il signor Molto e io siamo stati assunti a un paio d’anni di distanza l’uno dall’altro.»
«Obiezione» dice Molto, senza enfasi. Non ha neanche alzato gli occhi dal blocco su cui sta prendendo appunti, ma la posizione del mento denota la sua tensione. Capisce quello che stanno tentando mio padre e Stern, e cioè rammentare ai giurati che papà e Tommy Molto hanno avuto a che fare in passato. Un’informazione che probabilmente loro hanno già appreso dai quotidiani, che tutti i giorni riportano dettagli del primo processo. I giurati ogni mattina assicurano di essersi tenuti alla larga da qualsiasi resoconto giornalistico, ma a sentire Marta e suo padre le notizie filtrano sempre in camera di consiglio.
Il giudice Yee concorda: «Argomento trattato a sufficienza, mi pare».
Sempre con lo sguardo chino sul blocco, Tommy annuisce soddisfatto. Posso tollerare Tommy Molto, con la sua faccia vizza e l’aria da cane bastonato, meglio di quanto avrei creduto. È il suo vice, Jim Brand, che mi fa imbestialire. Per la maggior parte del tempo ha un atteggiamento rognoso, ma il peggio è quando comincia a tirarsela come se fosse troppo fico per quest’aula di tribunale.
Stern fa compiere a mio padre il percorso della sua carriera in quella stessa procura che ora lo accusa, fino all’arrivo alla Corte Suprema statale. Nel suo resoconto la precedente incriminazione e il relativo processo non vengono mai menzionati, come ha ordinato Yee. Così si usa in tribunale. Una cronaca fluente, senza interruzioni né dossi o cunette a ostacolarne il percorso.
«Lei è sposato, Rusty?»
«Lo ero. Ho sposato Barbara più di trentotto anni fa.»
«Figli?»
«Uno, Nat, che è seduto lì in prima fila.» Stern si volta incuriosito, come se non fosse stato lui a dirmi esattamente dove dovevo sedermi. È un attore talmente provetto che ogni tanto mi ritrovo a sperare che anche la sua malattia sia soltanto una messinscena, ma so bene che non è così.
Spesso in tribunale qualcuno mi prende da parte e mi chiede a bassa voce come va la salute di Stern, presumendo che una persona che ha difeso due volte mio padre dall’accusa di omicidio sia un amico intimo della famiglia, cosa che non è. Rispondo a tutti più o meno nello stesso modo. Stern dimostra il coraggio di un tuffatore dalle rocce di Acapulco, ma so ben poco del suo reale stato di salute. Lui è molto riservato su questo. Marta ha un atteggiamento filosofico, al riguardo, ma tiene la bocca altrettanto chiusa, anche se fra me e lei c’è un legame immediato in quanto figli dei due avvocati di punta della città. Entrambi gli Stern sono molto professionali. In questo momento il nostro rapporto riguarda i problemi di mio padre, non quelli di Sandy Stern.
Ma non c’è bisogno di una laurea in medicina per vedere che Sandy è molto mal messo. L’anno scorso un intervento chirurgico gli ha rimosso parte del lobo sinistro di un polmone, il che al momento era parso un buon segno, l’indicazione che il male non si era diffuso. Ma negli ultimi quattro o cinque mesi Stern si è sottoposto ad almeno due cicli di chemio e di radioterapia. Il mio ex compagno delle superiori, Hal Marko, che è diventato chirurgo, ha ipotizzato che abbia avuto una ricaduta, e con quel tono incredibilmente freddo che sento anche dai miei ex compagni di legge – che indica il passaggio da esseri umani a professionisti – ha aggiunto che l’aspettativa di vita per lui non dovrebbe arrivare all’anno. Non ho idea se sia veramente così, ma so che le cure hanno distrutto Stern. Ha sempre la tosse e gli manca il fiato, e questo non per il cancro ma come conseguenza della radioterapia. Lui sostiene che sta recuperando l’appetito, ma per tutto il periodo precedente al processo non ha mangiato praticamente niente, e l’uomo che ho sempre sentito definire florido anche nei periodi in cui era più snello, adesso è decisamente emaciato. Non ha sostituito il suo guardaroba e i vestiti gli pendono addosso come caffettani. Ogni volta che si sforza di stare in piedi mostra un evidente stato di sofferenza. E come se non bastasse, l’ultimo farmaco che ha preso, per una chemioterapia di seconda linea, gli ha provocato un’eruzione su tutto il corpo, viso compreso. Dal loro banco, i giurati probabilmente hanno l’impressione di vedere un uomo con un enorme tatuaggio color fucsia. L’infiammazione gli arriva alle guance e intorno agli occhi, e una strisciolina si arrampica fino sulle tempie indicando con crudeltà la sua testa calva.
Il giudice Yee ha concesso un rinvio, ma papà e il suo avvocato hanno deciso di non chiederne altri, nonostante le condizioni di Stern. La sua mente è forte, e se dosa con accortezza le forze può reggere la fatica fisica del processo. Ma la decisione di Sandy di procedere ha un significato evidente: adesso o mai più.
«Allora, Rusty, lei è il primo teste chiamato a presentarsi per la difesa.»
«Infatti.»
«Lei sa che la Costituzione degli Stati Uniti la protegge escludendo ogni obbligo a testimoniare in un processo a suo carico?»
«Ne sono consapevole.»
«Ciò nonostante, lei ha deciso di presentarsi al banco dei testimoni.»
«Sì.»
«Lei ha assistito a tutte le deposizioni dei testi dell’accusa?»
«Sì.»
«Le ha ascoltate tutte? Il signor Harnason. La dottoressa Strack, la tossicologa. Il dottor Gorvetich, l’esperto di informatica. Tutte le quattordici persone che la pubblica accusa ha chiamato alla sbarra?»
«Le ho ascoltate, una per una.»
«E quindi, Rusty, lei comprende di essere accusato di aver ucciso sua moglie, Barbara Bernstein Sabich?»
«Lo comprendo.»
«Lo ha fatto, Rusty? Lei ha ucciso la signora Sabich?»
«No.»
«Lei ha svolto un qualsiasi ruolo nelle cause che hanno portato alla sua morte?»
«No.»
L’incredibile stranezza di un giudice eletto alla Corte Suprema accusato di omicidio una seconda volta, e addirittura dallo stesso procuratore, ha chiamato a raccolta la stampa di tutto il mondo. Ogni giorno la gente si mette in coda davanti alla porta dell’aula per poter entrare, e ci sono due file di giornalisti e disegnatori. Questa confluenza di attenzione spesso sembra penetrare nell’aula, dove l’aria è tesa per lo sforzo di tutte queste persone impegnate a rivedere le loro supposizioni a ogni parola che viene pronunciata.
Il “no” di mio padre continua ad aleggiare, come se la solennità dell’affermazione lo mantenesse sospeso nell’aria. Con gli occhi di tutti puntati su di sé, Stern si guarda intorno nella grande sala rococò e indietreggia appena, come se soltanto ora avesse scoperto qualcosa che, come ben sanno i più esperti, in realtà ha pianificato nel dettaglio.
«Nessun’altra domanda» dice, e mostrando una stanchezza mortale torna a sedersi.
Questo processo è il primo a cui assisto dall’inizio alla fine. Il tribunale ha assorbito una così gran parte della vita di mio padre, sia come procuratore sia come giudice, che nonostante l’indescrivibile peso che questa faccenda rappresenta per me, ho trovato estremamente istruttivo stare seduto qui un giorno dopo l’altro. Finalmente comincio a capire che cosa faceva in tutte quelle ore lontano da casa e intuisco che cosa ci fosse di tanto irresistibile. E anche se un’aula di tribunale non sarà mai un posto per me, i suoi piccoli riti e rappresentazioni mi affascinano, soprattutto quelli troppo banali perché la televisione o il cinema si curino di proporceli. Questo momento in particolare, per esempio, quando le parti si scambiano e un avvocato si siede mentre l’altro si alza in piedi, è l’equivalente legale dell’intervallo fra gli inning, un attimo di animazione sospesa. Il computer dello stenotipista tace. I giurati si agitano sulle sedie e gli spettatori si schiariscono la voce. Carte e fogli frusciano sui tavoli dell’accusa e della difesa mentre gli avvocati raccolgono i rispettivi appunti.
Per non so quale scherzo del destino, il processo di mio padre si celebra in una delle quattro aule più vecchie di questo edificio, il Central Branch Courthouse, che all’ultimo piano ospita la Corte d’Appello. Ogni giorno lui arriva a farsi processare per omicidio in un luogo in cui ancora, almeno formalmente, rappresenta la più alta autorità giudiziaria, e nell’aula accanto a quella in cui è stato prosciolto più di vent’anni fa. Tutte queste vecchie aule, dove da settant’anni si tengono i processi per i crimini più gravi, sono veri e propri gioielli architettonici, e la balaustra che racchiude l’area riservata alla giuria è ornata da intagli di noce. Le stesse decorazioni ingentiliscono il banco dei testimoni e il podio da cui il giudice Yee domina l’aula. Gli spazi per i testimoni e per il giudice sono delimitati da colonnine di marmo rosso che reggono una specie di baldacchino in noce, a sua volta intagliato.
Sotto questa volta, mio padre siede impassibile, mentre attende il controinterrogatorio di Tommy Molto. Per la prima volta, permette ai suoi occhi azzurri di incontrare i miei e per un fuggevolissimo istante li stringe. “Eccoci qui” sembra che dicano. Il travagliato volo spaziale che le nostre vite stanno compiendo da quando...