Pirla con me
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Pirla con me

Da Milano si può guarire

  1. 144 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Pirla con me

Da Milano si può guarire

Informazioni su questo libro

"Cosa avrà cambiato così tanto Milano per aver cambiato così tanto i milanesi? Io sono nato nel 1960, i miei ricordi seppiati si fermano al 1965, massimo 1968, e secondo me è tutto molto semplice: oggi i locali, siano qui da generazioni o appena planati dal Pakistan, non ce la fanno più a stagh adrée, e alùra curen sensa savè indùe van (frase idiomatica che identifica il moto perpetuo milanese, il quale può essere bloccato solo da un ingorgo sulla tangenziale nord). Forse il guaio è che a Milano tutto è diventato evento, scatenando una specie di corrida urbana, fors'anco per la quantità di corna che neanche a Buffalo in Texas (oltre ai sushi bar, in città ci sono almeno tre motel a testa, tutti con giochi di luce, e sia chiaro che parlo per sentito dire). Milano vive di eventi. Anzi, ne sopravvive. Sennò sarebbe più pigra di Napoli. Le servono per svegliarsi. Sono una sniffata di efficienza: le fiere, le Settimane della Moda, il Salone del Mobile...
Gli immigrati arrivano a frotte perché fanno i lavori che a noi italiani non interessano più, tipo appunto andare al Salone del Mobile." Milano è una città viva e in eterna mutazione. Ma le sue caratteristiche fondamentali sono immutate e riassumibili nel sempreverde Lavoro-Guadagno-Spendo-Pretendo. È su questo assunto che Enrico Bertolino, grande comico e sagace osservatore della realtà, fa girare Pirla con me. Perché camminando davanti al Duomo o lungo corso Buenos Aires può davvero farsi strada quella sensazione di stranezza nel sentirsi milanesi a Milano: al posto delle osterie ci sono i kebab, l'happy hour ha sostituito il bicerin e invece dell'annuale Fiera Campionaria ce n'è una a settimana su argomento a piacere.
Ma sotto sotto Milano è sempre la stessa, l'indiscussa e lanciatissima locomotiva del paese, capace di imporre il suo ritmo di vita a coloro che ci si trasferiscono. Una città sempre fiduciosa nel futuro e aperta a tutti. Chiusa solo il lunedì mattina.

Domande frequenti

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Informazioni

Milano e le sue tre T… Tempo. Traffico. Telefono.

Le cosiddette tre T, storicamente, appartengono a Cremona (torri, tette e torrone) o Bologna (torri, tette e tortellini). La costante delle tette, segno di paciosa accettazione del rapporto di sudditanza tra l’uomo e la donna, o meglio di una parte rotonda della donna, viene meno quando la triplice consonante si applica a Milano. Laddove le tre T traslitterano in tempo, traffico e telefono. Per quanto le tette non manchino, soprattutto a chi è abbastanza abbiente da potersele permettere.

IL TEMPO

I milanesi non hanno tempo. Se parlate con loro, uomo o donna è indifferente, e state esprimendo un punto di vista, commentando un’affermazione, insomma dialogando, il vostro interlocutore entro massimo un minuto distoglierà lo sguardo, inizierà a dare segni di nervosismo oppure a guardare l’ora con movimenti repentini dell’avambraccio e ripetuti a distanze sempre più brevi. Non è cattiva educazione (in realtà sì, ma questo è un libro che i milanesi li difende) ma un gesto che va recepito come una cortesia, il preciso avvertimento che il tempo a Vostra disposizione è irrimediabilmente scaduto e che è meglio risentirsi più in là, a data da destinarsi. Tipo quando la Fidelis Andria vincerà la Champions League. Il perdere tempo o, più raramente, il farlo perdere agli altri, è una delle maggiori ossessioni dei milanesi, tanto che rimpicciolire il tempo è una delle perversioni verbali più sentite in città: “Hai un attimino?”, “Mi fermo ancora solo un minutino”, “Ci vediamo una mezz’oretta, di più non posso”. Curioso come certi diminutivi generino, se presi complessivamente, un superlativo assoluto, visto che fanno cagarissimo. Ma rappresentano un simbolo, un mezzo: l’attimino, il minutino, la mezz’oretta servono a sdrammatizzare la perdita di tempo subita o causata agli altri. Una canzone simbolo di Milano, O mia bela Madunina, recita testualmente: “A Milan se viv la vita, se stà mai cont i man in man”. Ossia: “A Milano si vive la vita, non si sta mai con le mani in mano”. Stare con le mani in mano o parlare di argomenti futili come ad esempio l’amore e la pace nel mondo, invece che dell’ultima chiusura di piazza Affari o dell’ultimo estratto conto è considerato peggio che nocivo. È come Paolo Brosio a un dibattito sul giornalismo: inutile. Noi siamo così: anche la domenica mattina in chiesa o durante la visita al cimitero si sente suonare sempre un telefonino, o si discute animatamente, anche se sottovoce, di lavoro: nemmeno di fronte all’eternità si ha tempo da buttar via, a Milano.
Ecco alcuni dei principali sintomi della sindrome PPD (Perditempo Pentito Depresso):
  • arrivare a leggersi il giornale comprato al mattino alle otto di sera, in bagno: “Il Sole 24 ore”, mica “Le Ore”;
  • guardare sempre il telegiornale mangiando e commentare le notizie a bocca piena (ovviamente parlando da soli perché gli altri hanno già mangiato prima, a un’ora civile);
  • sentirsi in colpa se si fa un bagno e ci si sofferma a giocare un attimo, anzi un attimino con la schiuma o la spugna, se si va al parco con il cane o a fare due passi con i propri figli invece di fare almeno due o tre telefonate o vedere un video sullo smartphone da YouTube aggiornando Twitter con le mani sul bottom della colf Philippines;
  • essere felici di trovarsi al supermercato da soli alle nove e mezzo di sera a far la spesa, convinti di aver risparmiato tempo, piuttosto di aver buttato via una serata;
  • leggere un libro fino a pagina 150 e doverlo ricominciare perché ci si è accorti che si pensava ad altro mentre lo si leggeva;
  • vedere invecchiare i libri impilati sul comodino a fianco al letto. Il sintomo più grave è trovarci ancora La capanna dello zio Tom buttato lì con un segnalibro a pagina 50 da praticamente quarantadue anni. Nel frattempo lo zio Tom è diventato presidente degli Usa;
  • camminare nervosamente come in sala d’attesa di una clinica ostetrica mentre vostra moglie sta partorendo e invece accorgersi di essere all’autolavaggio;
  • trovarsi a camminare con il passo di un maratoneta che dopo 41 chilometri entra nello stadio e vede il traguardo anche quando state passeggiando per andare a prendere il giornale e i pasticcini la domenica mattina;
  • addormentarsi per stanchezza in chiesa durante la comunione in piedi come i cavalli, oppure al cinema a una prima visione di un film, o anche a una cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario (ma in quel caso minimo siete premier, dunque la sfangate).

IL TRAFFICO

Per noi a Milano il traffico è diventato come il vicino di casa rumoroso del piano di sopra. Quando c’è, ci si lamenta perché disturba. Quando non lo senti più per due giorni ne senti la mancanza, perché in fondo senza “Tempesta d’amore” che passa attraverso i muri a un rumore insopportabile ti pare quasi di essere abbandonato da dio (e passi), dagli uomini (e insomma) e dalle donne (ma in questo caso bastano l’ADSL e la password d’accesso a Escort Forum).
Noi milanesi senza traffico non sappiamo stare. Tant’è che quando non ne troviamo lo andiamo a cercare. Anche i navigatori satellitari si sono rassegnati: a Milano, se digitate l’opzione “itinerario breve a traffico ridotto”, la voce vi risponderà: “Ma sei sicuro?”. E alla risposta “no”, vi guiderà docile al primo ingorgo disponibile, un apostrofo rosa tra le parole “Scusa, tarderò mezz’ora: purtroppo c’è traffico”. Anni fa, alcuni milanesi furbi, stanchi del traffico cittadino e delle interminabili code sulle circonvallazioni, hanno avuto la folgorazione sulla via di Binasco e si sono trasferiti in periferia, o meglio nel famigerato hinterland che molti, per via di una “h” che scompare in fase di scrittura, ritengono erroneamente una riserva per tifosi della BENEAMATA.
BENEAMATA (agg.f.) Antico sinonimo per l’F.C. Internazionale Milano. Poi Moggi provvide a rendere più beneamata la Juve. Cash.
Per qualche anno, l’effetto campagna-alle-porte-della-città ha funzionato ma poi, dato che nel frattempo i transfughi dalla città erano diventati migliaia, anche il traffico si è trasferito in campagna. Così, mentre prima c’era solo la circonvallazione da fare per poi arrivare a casa in due ore stremati, stressati e affamati, oggi vanno aggiunte anche tangenziale, Autostrada dei Laghi, Milano-Genova. Qualcuno per arrivare a casa passa anche dal Brennero. C’è gente che abita a Gallarate o Bereguardo e ormai si è abituata a farsi l’aperitivo sulle piazzole di sosta, insieme a un camionista romeno e una signorina che sta per partire in direzione Arcore, o a cenare al primo autogrill dove il commesso dello Spizzico gli chiede con finto servilismo: “La solita Margherita, dottore?”. I suicidi allo Spizzico sono purtroppo in costante aumento.
Il dato pazzesco, incredibile, inspiegabile neppure alla terza analisi sociologica o al quinto daiquiri, è che si leggono ancora cartelloni pubblicitari di società immobiliari che promuovono e tentano di vendere villette a schiera, disposte nel nulla di una subperiferia trafficata, pista d’atterraggio per le zanzare d’estate e ghiacciata come la tundra in inverno, con l’allettante slogan “A soli tre chilometri dal centro di Milano. In linea d’aria”. Come se l’acquirente all’atto del rogito acquistasse anche la capacità di volare. Peraltro, va detto che chi ci casca un po’ piccione nell’anima lo è.
Il milanese, peraltro, sa organizzare i tempi morti. A costo di ucciderli personalmente. Così ha da tempo trovato il modo di gestire il tempo in modo ottimale durante gli spostamenti. Dell’uso del cellulare parleremo alla voce Telefono (la terza T), mentre vanno qui ricordate (per difetto) solo alcune delle ottimizzazioni acrobatiche più frequenti sulle strade ambrosiane: lettura del giornale aperto sul volante, ricerca della chiave del box caduta sotto il sedile con auto in marcia, smanettamento furibondo delle frequenze autoradio, manipolazioni multiple sul navigatore o computer di bordo per i più ricchi, con interazione e discussioni infinite tra il guidatore e la voce guida, o anche (per i meno abbienti) interminabili discussioni con se stessi, canzoni cantate a squarciagola, sempre e comunque a finestrini sigillati anche per evitare aggressioni o lancio di oggetti dagli altri in coda, sesso acrobatico, sesso acrobatico solitario, brevi numeri di micromagia.
Negli ultimi anni, anche per una situazione ambientale abbastanza insopportabile (persino le rondini, pur di non arrivare senza fiato e con la bronchite alle Canarie, evitano Milano durante le migrazioni), il Comune ha tentato di disincentivare l’uso dell’auto con l’Ecopass – il ticket per auto inquinanti – che ha di molto alzato il “Vadavia il Q.I.” ossia il quoziente intellettuale dei milanesi: i più ricchi hanno risolto comprando una macchina elettrica, anche se non hanno ancora capito come riarrotolare la prolunga alla sera. Gli altri hanno reputato meno costoso rivolgersi al cognato del cugino per farsi togliere le multe. Altro tentativo è stato fatto con le biciclette del Comune. I milanesi le hanno così apprezzate che molti se le sono tenute come ricordo. I più scaltri. Gli altri stanno ancora tentando di risalire dal centro della Terra dove sono precipitati dopo essere finiti in uno dei millanta cantieri dell’Expo. E meno male che i mezzi pubblici… scusate, ho sbagliato esempio. A Milano, purtroppo, i lavori per la metropolitana partono per la tangente ma poi chissà quando arrivano. E intanto riducono la città peggio che Tripoli al millesimo bombardamento. “Scusate il disagio, stiamo lavorando per Voi” c’è scritto sui cartelli. Ma sempre più spesso una mano apocrifa aggiunge: “Io vi scuso anche, ma per carità fermatevi!”.

IL TELEFONO CELLULARE

Il telefono per i milanesi ormai non è più nemmeno uno status symbol, ma una protesi, fondamentale come un pacemaker per un cardiopatico o il cerone per un Presidente del Consiglio. Fino a qualche anno fa un milanese senza telefonino era considerato un poveraccio e per questo evitato da tutti, compresi familiari e amici, che con la scusa di non sapere dove chiamarlo lo ignoravano bellamente. Oggi, nell’epoca dei tre cellulari più un palmare, più uno smartphone, più l’iPhone, e l’iPad, più il tablet con sistema Android e il Googlefonino perché non si sa mai, metti che mi chiamino lì, ebbene proprio in quest’epoca sta sorgendo forte il sospetto che il tizio che ha solo il telefono fisso di casa e nemmeno cordless, ma con il filo, di bachelite grigia, forse ha capito tutto anni fa. Anzi: senza forse.
Ma per il milanese non è così. Egli giustifica con la reperibilità la sua tecnodipendenza. Ne ha almeno tre, di telefonini, e un numero di schede variabile da cinque a “n” tendente a infinito. E non gli basta un telefonino vecchio modello da pochi euro. Egli esige, a costo di non pagare il biglietto del tram (trattasi di balla ad usum controllorii), quello con Internet incluso, traffico dati e fotocamera a milioni di pixel ad altissima definizione, per poter allegare alla chiamata anche un bel MMS con la foto del pirla che si ha appena tamponato perché si stava spedendo una mail – nella migliore delle ipotesi – o del tram che si è agganciato all’incrocio perché si stava aggiornando lo status su Facebook (da qui il celebre modo di dire “TACCHES AL TRAMM”).
TACCHES AL TRAMM (locuzione) Invito a legarsi saldamente a un mezzo di locomozione pubblico. Può significare anche l’esortazione a far da sé dopo che il destinatario dell’invito è mancato in qualche comportamento precedente (Es. “Hai votato la Moratti? Adess tacches al tramm”).
Spesso con l’iPhone ci si chiama sul BlackBerry in modo da rispondere e allontanare lo scocciatore. Un trucco, quello dell’autochiamata, che funziona benissimo anche per ben figurare al ristorante. Una volta (non invento niente) esisteva un’azienda, naturalmente con base a Milano, che ti telefonava all’ora richiesta per simulare impegni di lavoro e popolarità esplosiva. Adesso, al ristorante, si fa così: il giovane manager pieno di gel ma non di amici o colleghi che lo cercano, prende un cellulare e si dirige alla toilette, si chiama da solo, torna al volo al suo posto appena in tempo per sentire la suoneria, spegnere con un gesto risoluto e pronunciare a voce alta la formula classica: “Ancora? Ma chi è che rompe le palle anche a pranzo?”. La solitudine dei primi numeri dal 335 al 393.
Un ruolo fondamentale ricopre la “finta telefonata tattica”, che ci permette varie soluzioni:
  • evitare di continuare discorsi inutili con persone che fan perder tempo e basta (i modelli più recenti hanno una specifica applicazione che può programmare la finta chiamata all’ora desiderata permettendovi di sottrarvi al prolisso rompiscatole: si chiama “I-scassato il caXXo”);
  • evitare di assistere a incidenti per i quali poi si dovrebbe testimoniare fingendo di essere al telefono;
  • idem quando da lontano si avvista un testimone di Geova con le riviste sottobraccio che vi sorride all’uscita del metrò, oppure un venditore cinese di accendini a forma di cesso o di strani animaletti pelosi e luminosi mai contemplati neppure da Darwin;
  • ibidem quando un conoscente o qualcuno vi viene incontro con la tipica faccia di chi non vi vede da anni ma fiuta l’occasione per chiedere un prestito all’impronta: “Sai quel vecchio sogno di aprire un catering filippino?”;
  • e ancora in macchina, in treno e tra poco anche in aereo, e persino al cinema e a teatro, il telefonino acceso che si illumina, che vibra o persino che suona poco prima del decollo o durante la recita permette non solo a chi vi chiama di riconoscervi, ma anche agli altri che vi stanno intorno… perché grazie a quel piccolo gesto, a quel trillo ascendente o a quella luce che vi illumina il volto all’interno di una sala buia con centinaia di persone che ascoltano, ebbene quel piccolo gesto permetterà anche a loro di conoscere l’immenso e immane pirla che siete.
Questo perché per il milanese, GSM o smartphone, banda stretta o larga, HSPA o Internet non contano nulla, quel che conta è che siano “l’ultimo modello”, in modo che gli amici al bar piuttosto che i colleghi in ufficio vedendovelo estrarre come un revolver nel saloon del vecchio West, indossino un’espressione a metà tra lo stupore e il travaso di bile e mormorino: “Ma è nuovo? Non ne ho ancora visto uno così in giro”. Le case che producono telefonini ormai l’hanno capito e così lanciano sul mercato, specie quello meneghino, un modello ogni venti minuti circa, con una velocità poco meno inferiore a quella dei libri di Bruno Vespa.
Comunque grazie all’uso di sempre più telefonini a Milano la gente parla di più, spesso non sapendo con chi, ma parla. Spesso straparla. Tanto che dopo un tot di chiamate perde il controllo e inizia a parlare a voce alta solo perché uno chiama da lontano, a rispondere a monosillabi, mentre intanto guida, corre, gioca a squash, rutta, dimenticando alla fine persino il motivo della chiamata e con chi stava parlando. Proprio a Milano le compagnie telefoniche stanno studiando delle tariffe personalizzate tipo la “Me&Me” (per inciso, a rigor di pronuncia, le iniziali della città) dove il milanese può chiamare se stesso da un telefonino all’altro per soli 9 centesimi al minuto. Per una volta, dato che parla da solo, senza diventare cianotico, arrabbiarsi o alzare la voce. Cioè senza il tratto distintivo delle chiamate “made in Mi”: sempre e rigorosamente lo “scazzo alla risposta”.

CONSIGLI UTILI

Se il problema di Palermo è il traffico, Milano non scherza. Anche qui è pieno di Johnny Stecchino che sono diventati da tempo i piloni dell’economia. Solo che nei piloni c’è, spesso, qualche tizio che sapeva troppo. Poi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Pirla con me
  4. Milano mia… dalla Moratti a Pisapia. LA MILANO ANTICAMENTE MODERNA
  5. Sapessi com’è strano sentirsi milanesi a Milano. SE LI CONOSCI, TI EVITANO
  6. Milanes sem e mai se dismilaneserem. (BEI) TIPI MILANESI
  7. I milanesi estinti
  8. I milanesi infiltrati
  9. Milano e le sue tre T… Tempo. Traffico. Telefono.
  10. Come si mangia per non morire
  11. Banche e poste
  12. Milano rende moda. TUTTO È BENE QUEL CHE FINISCE… E BASTA
  13. Forza H(inter)land. MILANO E DINTORNI: HINTERLAND ÜBER ALLES
  14. Il piano regolatore prêt-à-porter. MILANO COME SARÀ
  15. L’Inter. DECORO CITTADINO
  16. Decalogo per essere (e non apparire) interisti
  17. Come demilanesizzarsi un po’. MIGLIORARE I MILANESI
  18. “Numm vuraiom savè… Nous voulevons savoir… Noi vorremmo sapere”. FRASI UTILI PER SOPRAVVIVERE A MILANO
  19. Copyright