Pensavo di scappare con te
eBook - ePub

Pensavo di scappare con te

  1. 312 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Pensavo di scappare con te

Informazioni su questo libro

Alice non dice mai quello che pensa. Non l'ha mai fatto. Da quando è nata tiene i suoi pensieri per sé. Non dice quello che pensa ai suoi genitori che si stanno separando, a Martina che è scappata di casa, a Chiara che mangia nevroticamente tutto quello che le passa davanti agli occhi, a Mary che si veste come una bambolina sexy anche per andare dal giornalaio; non lo dice a suo fratello, al vicino di casa, alla sua insegnante. Soprattutto non lo dice a Luca, perché scoprire i suoi pensieri vorrebbe dire conoscere i suoi sentimenti e adesso ha troppa paura di dove tutto ciò potrebbe portarla. Alice non dice mai quello che pensa, fino al giorno dell'incidente, quando, in auto insieme alla sua famiglia, precipita da un ponte a quasi cinquanta metri da terra e si risveglia in ospedale. "Si chiama sindrome frontale" le spiegano. "In pratica, dici tutto quello che pensi, non hai più filtri." Alice pensa troppo, ma i suoi pensieri li ha sempre tenuti per sé. Ora tutto sta per cambiare.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
Print ISBN
9788804613466
eBook ISBN
9788852021381
FRANCESCO GUNGUI

Pensavo di scappare
con te

Mondadori
Tutto avviene in un istante. La vita ti scorre davanti agli occhi come la pellicola di un film che si riavvolge alla velocità della luce. Un istante nel quale il cervello umano in normali condizioni non sarebbe in grado di passare in rassegna così tanti ricordi.
E questo fa un po’ rabbia a pensarci.
Evidentemente il cervello vale molto di più di quello che ti fa credere per tutta la vita. Ma ci tiene a fartelo sapere solo nel momento in cui stai per morire.
Una macchina ribaltata sta scivolando lungo una strada a tre corsie. Intravedo mio fratello sul sedile posteriore. È finito a testa in giù. Mio padre accanto a lui cerca inutilmente di aggrapparsi al sedile mentre mia madre, alla guida, sembra priva di sensi.
Ci sono anch’io in quell’auto, sono seduta al posto del passeggero, ma è come se fossi fuori di me quando tutto accade. È come se fossi sospesa qualche metro per aria e osservassi la scena dall’esterno, come in un film.
La macchina va a sbattere a gran velocità contro il guardrail e finisce fuori dalla strada. Strada che in realtà è un ponte alto circa una trentina di metri, quelli che l’auto si accinge a percorrere in caduta libera.
È in quel momento che la pellicola della mia vita comincia a riavvolgersi. Solo che per qualche ragione, dopo un paio di belle foto di me da bambina al mare, il meccanismo si inceppa e scivola fino a tre giorni fa. Ci sono anche dei sottotitoli.
Dicono: tutto è cominciato lì.

UNO

Tre giorni prima mi trovo sulla cima del Duomo, a Milano, con Luca. Sta cercando di convincermi che ripetere un anno scolastico è in realtà un’esperienza eccezionale che tutti dovrebbero fare. È il 14 novembre, ma l’inverno quest’anno tarda ad arrivare. Ci sono quindici gradi e soffia un vento leggero e tiepido.
— Pensaci — mi dice convinto. — Un sacco di volte diciamo che ci piacerebbe tornare indietro nel tempo per poter rivivere le stesse cose, ma con la consapevolezza di quello che è successo dopo.
— Quindi?
— Quindi la verità è che tutti noi desideriamo inconsciamente essere bocciati per avere la possibilità di ripetere la vita.
— Questa te l’ha detta il cugino ubriaco di Freud.
— Guarda che ha un senso, se ci pensi bene. La fregatura della vita è che è una sola, e che non fai in tempo a imparare qualcosa che quell’esperienza non ti serve più a niente. A meno che tu non ripercorra esattamente la stessa strada, lo stesso percorso, una seconda volta. Ali, la bocciatura è un affare.
— Non so se ridere o prenderti a schiaffi.
— Non rinunciare a niente, ridi prendendomi a schiaffi.
Luca ride, e a me non rimane che fare altrettanto, anche se nessuno mi convincerà mai che essere stata bocciata è stata la cosa giusta per me. La scuola è cominciata da appena due mesi e i sette che mi separano dall’estate mi sembrano un’eternità. Un’eternità che ho già vissuto.
Guardo Luca. Mi sta dando le spalle. Oltre la sua testa i tetti di Milano somigliano a un’infinita distesa di colline di tegole e cemento. Ad avere le gambe sufficientemente lunghe si potrebbe correre da un tetto all’altro e arrivare fino alle Alpi innevate che si vedono all’orizzonte senza toccare terra.
— E noi siamo stati bocciati o promossi? — chiede Luca, ponendo una domanda piena di complicate implicazioni.
— Forse stiamo ancora facendo i compiti delle vacanze — rispondo, e non sono nemmeno troppo certa di ciò che potrebbe voler dire la mia metafora.
— O forse dobbiamo fare gli esami di riparazione — aggiunge Luca.
— Ma quelli si fanno a settembre.
— Quelli scolastici. Quelli delle amicizie si fanno a novembre con calma.
Luca allunga le braccia dietro alla schiena, senza voltarsi. Io lo abbraccio e appoggio il mento sulla sua spalla.
— Che casino che siamo… — gli sussurro nell’orecchio. — Forse dovrebbero proprio bocciarci, così potremmo rifare tutto per bene. Siamo da bocciare sia come amici che come fidanzati. Ci dovrebbero rispedire in prima elementare. Sai quante cazzate in meno faremmo se tornassimo indietro nel tempo?
Luca scuote piano la testa, mentre un piccione viene a posarsi su una guglia del Duomo a un paio di metri da dove siamo noi.
— C’è veramente qualcosa che rifaresti in modo diverso?
— Sì. No. — Sospiro. — Non lo so…
— Con una risposta così ci bocciano di nuovo.
— È tutto così legato che mi farebbe paura cambiare anche solo un bivio della nostra strada.
Luca si gira liberandosi piano dal mio abbraccio. Mi guarda e sorride. Osservo le sue labbra, il suo viso che è sempre mezzo allegro e mezzo triste, mentre alcune piccole gocce di pioggia si posano sui suoi capelli.
— Dovremmo decidere prima o poi — mi dice.
— Dobbiamo per forza?
— No, ai nostri figli spiegheremo serenamente che “la mamma e il papà sono solo amici”. Non dovrebbero prenderla male, né loro né gli assistenti sociali.
— Cretino. È che ho paura di rovinare questo…
— Questo cosa?
— Questo nostro rapporto indefinibile e ho paura che se cercassimo di infilarlo dentro binari normali faremmo un casino.
Ancora una volta la discussione sul nostro rapporto rimane senza soluzione. Ci avviamo così verso le scale, seguendo lentamente il camminamento sopra i tetti di marmo. Scendiamo e sbuchiamo dietro la piazza, dove centinaia di persone si incrociano ininterrottamente. Alcuni hanno già tirato fuori l’ombrello, mentre i turisti si riparano alla meglio sotto i porticati di corso Vittorio Emanuele, in mezzo agli artisti di strada che fanno le caricature.
Io e Luca siamo amici. E credo che se veramente potessimo rivivere le vacanze estive rifaremmo tutto uguale. Perché in fondo sono convinta che se non avessimo fatto tutta una serie di errori probabilmente adesso saremmo semplicemente amici, migliori amici, come siamo sempre stati, ma non amici nel modo in cui lo siamo ora. E non è colpa mia se esiste solo la parola “amicizia” per definire un rapporto tra due individui non fidanzati, perché è evidente che quella parola non basta.
Se non ci fossimo persi, inseguiti, lasciati, rincorsi, se io non avessi pianto, urlato, se lui l’estate scorsa non mi avesse raggiunto in Puglia dove io stavo con un altro ragazzo, se non fossero successe tutte queste cose, ora penso proprio che saremmo amici. Ma il punto è un altro: come si fa ad accettare che un sacco di cose belle siano in realtà il risultato di una sequenza disordinata di casini? Come si fa a trasformare questo principio del caos in una rassicurante regola? Quali casini generano nuove strade, alimentano nuove vite, e quali fanno casino e basta?
— Chissà cosa avrà organizzato Martina — dice Luca, interrompendo il filo dei miei pensieri. — Credi che saranno tutti vestiti eleganti?
— Luca, è il suo diciottesimo compleanno, ha deciso di festeggiarlo così. Mi sa che sarà una cosa esage-rata.
— Tipo? — mi chiede guardandomi con aria preoccupata. Luca non è decisamente il tipo da feste, tanto meno da feste esagerate.
— Tipo super catering, camerieri, dj, praticamente un matrimonio. E poi il posto, quello sì che è esagerato.
— A proposito, vuoi dirmi dove stiamo andando?
— Siamo arrivati.
Luca solleva la testa. Siamo in piazza del Duomo, dove inizia la Galleria Vittorio Emanuele, proprio sotto al balcone da dove trasmettono TRL, il programma di MTV. Il balcone del locale dove questa sera festeggeremo i diciotto anni di Martina.
— Un posto come un altro — scherza Luca.
— Sì, o lo faceva qui o nella taverna di sua nonna.
— Devono anche aver pagato poco.
— Sicuro, per una bettola così.
Rido, sono sempre la prima a ridere quando facciamo queste gag.
Dal balcone accanto alla galleria si vedono la piazza, Palazzo Reale, l’Arengario e naturalmente la facciata del Duomo. Quindi la vista fa tutt’altro che schifo e deve aver pagato sul serio un sacco di soldi per avere un posto così. Intanto ha iniziato a cadere una fitta pioggia sottile che ha reso il sagrato lucido e scivoloso. È in momenti come questi che mi tornano alla mente i ricordi dell’estate, quando avevo gli occhi pieni di sole, cielo azzurro e mare.

DUE

Tre mesi fa, in Puglia, la nostra estate insieme.
Un motorino che corre veloce sulla strada e la sensazione di sapere perfettamente dove sto andando.
Il vento mi scompiglia i capelli e il sole bollente picchia sulla mia testa. Due braccia mi stringono forte in vita. So dove devo andare ed è una bella sensazione.
Tre mesi fa, l’estate della mia bocciatura a scuola.
Sto correndo in mezzo agli ulivi e ai vigneti carichi d’uva. Destinazione: Lecce. Martina è venuta con me perché conosce la strada, e non solo per quello. Appena arrivo in stazione, sento l’annuncio che dice che il treno per Roma è in partenza. È il suo. Corro al binario e il treno è ancora lì.
Luca è in piedi sugli scalini e si sta guardano attorno.
— Luca! — urlo.
Lui mi sente e mi guarda mentre gli corro incontro.
— Non partire.
— Perché?
— Perché non voglio, scendi e basta, dai. Ho bisogno di te.
— E Martina?
— Vivrà con noi, penserà alla casa e si occuperà dei nostri figli.
— Okay…
— Martina adesso non ha importanza, tu scendi dal treno intanto!
— Non so se voglio scendere. Ma Daniele l’hai lasciato?
— No, è anche lui qui fuori, lui farà le pulizie e porterà a spasso il cane… certo che l’ho lasciato!
— Ah, okay.
— Allora?
— Guarda che io i dread non me li faccio, e questa è l’ultima estate che mi vedi ballare, mi sono già umiliato abbastanza.
— Qualcos’altro?
— La birra scura non mi piace.
— Neanche a me. Vuoi che decidiamo il nome da dare ai nostri figli?
— No, quelli li decido io. Però, Ali, tu mi conosci già, io sono, insomma lo sai, non sono sempre facile…
— No, ma va…
— Ecco, lo so che lo sai, quindi…
— Luca, non ci dobbiamo sposare, devi solo scendere da ‘sto cazzo di treno. Non mi importa che musica ascolti, come ti vesti, se balli o se non balli alle feste, mi piaci tu, e basta, mi piaci così.
Luca mi guarda e sorride, emozionato, arrabbiato e adesso io non so più se voglio trascinarlo giù dal treno o saltarci sopra e scappare con lui. Mi dà la mano, scende uno scalino e io ne salgo uno. Ed è lì che ci baciamo, le sue labbra o le mie sanno di sale, io o lui tremiamo mentre ci stringiamo l’uno all’altra. Lo bacio e mi viene da ridere da quanto sono contenta, perché temevo di averlo perso.
Apro e chiudo gli occhi e vedo frammenti di lui, del cielo azzurro sopra di noi, del treno che parte mentre noi restiamo qui. Sento le sue mani che mi stringono, prima piano, poi con forza, e non ci importa delle persone attorno che ci guardano, perché in questo istante ci siamo solo noi. Finalmente ci siamo solo noi e la nostra felicità. So che niente potrebbe rovinare questo momento, è qualcosa che mi posso tenere dentro, posso custodirl...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Pensavo di scappare con te
  3. Copyright