La stanza dei delitti
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La stanza dei delitti

  1. 476 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La stanza dei delitti

Informazioni su questo libro

Il comandante Adam Dalgliesh, di New Scotland Yard, non avrebbe mai pensato di dover tornare in quel piccolo museo di Londra che aveva visitato appena una settimana prima. Dedicato all'epoca compresa tra le due guerre mondiali - con una sala riservata ai più celebri delitti commessi in quel periodo - il museo è proprietà di tre fratelli, uno dei quali è stato ritrovato carbonizzato all'interno della sua auto. È proprio dalla modalità di questa morte - che richiama un assassinio commesso negli anni Trenta - che il comandante Dalgliesh parte per fare luce sul caso.
Ma, purtroppo, la scia di sangue è destinata ad allungarsi drammaticamente secondo un copione che pare prestabilito da una mente perversa. Chi sta lanciando il guanto di sfida a Dalgliesh? E qual è il motivo di tanta ferocia?

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
Print ISBN
9788804536727
eBook ISBN
9788852038495

Libro secondo

LA PRIMA VITTIMA

Venerdì 1° novembre – Martedì 5 novembre

1

L’avviso scritto in bella grafia sulla porta della Stanza cinque confermò quello che Tally aveva già sospettato, vista l’assenza di gente nel corridoio: la lezione era stata annullata. Mrs Maybrook si era ammalata ma sperava di esserci il venerdì successivo. Quella sera Mr Pollard sarebbe stato lieto di accogliere gli studenti alle sei nella Stanza sette per la sua lezione su Ruskin e Venezia. Tally si accorse di non avere affatto voglia di destreggiarsi anche solo per un’ora fra le novità di un argomento che non conosceva, con un conferenziere diverso e fra facce sconosciute. Questo era il contrattempo finale di una giornata cominciata in modo tanto promettente, con quegli sprazzi di sole che parevano il riflesso di una crescente speranza che tutto potesse andare comunque nel modo migliore, ma che aveva fatto un cambiamento con il calar della sera. Un vento capriccioso sempre più forte e un cielo quasi senza stelle le avevano fatto provare in modo opprimente la sensazione che niente sarebbe andato a buon fine. E adesso quel viaggio infruttuoso. Tornò al portico deserto dove aveva parcheggiato la bicicletta e aprì con la chiavetta il lucchetto sulla ruota. Era tempo di tornare alle comodità familiari del cottage, a un libro o a un video; di tornare alla compagnia – senza pretese anche se poco affettuosa – di Tomcat.
Mai prima d’ora aveva trovato tanto faticoso il tragitto di ritorno a casa. E non solo perché le raffiche di vento la coglievano di sorpresa. Le pareva di avere le gambe di piombo e la bicicletta era diventata un peso ingombrante che richiedeva tutta la sua forza per essere spinto avanti. Fu con sollievo che, dopo aver aspettato che una breve processione di macchine passasse lungo Spaniards Road, attraversò la strada e cominciò a pedalare lungo il viale. Quella sera sembrava senza fine. Il buio quasi palpabile le mozzava il respiro. Si curvò sul manubrio, osservando il cerchio di luce del fanale della bicicletta ondeggiare sulla striscia di macadam come un fuoco fatuo. Mai in precedenza aveva trovato inquietante il buio. Era diventata una specie di abitudine serale quella di attraversare il suo giardinetto fino al limite di Hampstead Heath, annusare con piacere l’odore di terra che emanava dal suolo e dalle piante intensificato dall’oscurità e osservare in distanza le palpitanti luci di Londra, di uno sfavillio più stridente della miriade di punte di spillo sparpagliate nell’arco del cielo. Ma stanotte non sarebbe più uscita.
Imboccando la curva finale oltre la quale si aveva una panoramica della casa, frenò di colpo confusa e inorridita: la vista, l’odorato e l’udito sembravano essersi alleati per farle sobbalzare il cuore, che si mise a battere a colpi sordi come se volesse esplodere e dilaniarla. Qualcosa alla sinistra del museo stava bruciando. O il garage o il capanno degli attrezzi erano in fiamme. E poi, per pochi attimi, il mondo si disintegrò. Una grossa automobile stava arrivando a forte velocità verso di lei, e i fari l’accecarono. Le fu addosso prima che avesse il tempo di muoversi, perfino di pensare. Si aggrappò d’istinto al manubrio e sentì lo shock dell’impatto. La bicicletta sfuggì dalla stretta delle sue mani e lei si sentì scagliare in aria in una confusione di luci e rumori e metallo aggrovigliato, prima di essere scaraventata sulla bordura d’erba, sotto le ruote della bicicletta che giravano vorticosamente a vuoto. Rimase distesa per pochi secondi, intontita e troppo sconcertata per muoversi. Perfino la capacità di pensare era come paralizzata. Poi la sua mente riprese i collegamenti e lei cercò di spostare la bicicletta. Con gran meraviglia scoprì di essere in grado di farlo, di riuscire ancora a controllare braccia e gambe. Era ammaccata ma non ferita seriamente.
Si alzò in piedi con difficoltà, aggrappandosi alla bicicletta. La macchina si era fermata. Si accorse di una figura di un uomo, di una voce che diceva: «Mi dispiace... Tutto a posto? Sta bene?».
Perfino in quel momento di stress la voce di lui la colpì, era una voce particolare che in altre circostanze avrebbe trovato rassicurante. Anche la faccia china su di lei non era comune: alla tenue luce del viale lo vide chiaramente per pochi attimi, biondo, bello, gli occhi illuminati da un’espressione disperata di supplica.
«Sto perfettamente bene, grazie» gli disse. «Per fortuna non stavo pedalando e sono caduta sull’erba.» Ripeté: «Sto bene».
Lui aveva parlato con evidente preoccupazione ma adesso non le sfuggì che sembrava avere fretta di andarsene. Aveva aspettato soltanto di sentirla rispondere prima di mettersi a correre verso la macchina. Quando fu vicino alla portiera si voltò. Contemplando le fiamme che adesso si levavano più alte, gridò rivolto a lei: «Si direbbe che qualcuno abbia acceso un falò». Poi, con un rombo febbrile, la macchina scomparve.
Nella confusione del momento e nell’ansia disperata di raggiungere il rogo, e di chiamare i vigili del fuoco, non si domandò chi potesse essere quell’uomo e perché, con il museo chiuso, si trovasse lì. Ma l’ultima frase aveva una risonanza raccapricciante: riconobbe le parole pronunciate dall’assassino Alfred Arthur Rouse che si allontanava dal rogo della macchina nella quale la sua vittima stava bruciando viva.
Tentando di salire di nuovo in sella, Tally scoprì che la bicicletta era inservibile: la ruota anteriore era deformata da una gobba. La lasciò cadere di nuovo sulla bordura erbosa e cominciò a correre verso l’incendio, mentre il suo cuore, con quei tonfi sordi, faceva da accompagnamento tambureggiante al rumore dei suoi piedi. Vide ancor prima di arrivarci che il garage era al centro dell’incendio. Il tetto stava ancora ardendo e le lingue di fuoco più alte avevano aggredito il gruppo di betulle bianche alla sua destra. Si sentiva frastornata, tanto era il rumore: il vento che soffiava a raffiche, il sibilo e il crepitio del fuoco, le piccole esplosioni che sembravano pistolettate quando dai rami più alti si staccavano ramoscelli ardenti simili a fuochi artificiali che fiammeggiavano per un momento contro il cielo buio prima di cadere spenti ai suoi piedi.
Davanti alla porta spalancata del garage si fermò di botto, impietrita per il terrore. Gridò ad alta voce: «Oh, no! Mio Dio, no!». Il suo urlo d’angoscia venne disperso da una nuova folata di vento. Ebbe la forza di guardare soltanto per pochi attimi prima di chiudere gli occhi, ma l’orrore della scena non avrebbe potuto essere cancellato. L’aveva impresso nella mente e capiva che ci sarebbe rimasto per sempre. Non provò neanche l’impulso di precipitarsi dentro a tentare un salvataggio: non si poteva più salvare nessuno. Il braccio, che sporgeva dalla portiera spalancata della macchina, rigido come quello di uno spaventapasseri, era stato una volta carne, muscolo e vene e caldo sangue pulsante, ma adesso non era più niente di tutto questo. La palla annerita intravista al di là del parabrezza in frantumi e quei denti, di un candore che spiccava abbagliante contro la carne carbonizzata, fissi in una smorfia che sembrava un ghigno, un tempo erano stati una testa umana. Adesso di umano non avevano più niente.
Le venne in mente all’improvviso, vivida, un’immagine – un disegno visto una volta nei suoi libri su Londra – delle teste di traditori giustiziati, infilzate su pali sopra il London Bridge. Il ricordo la lasciò un attimo disorientata, quasi fosse possibile credere che quel momento non fosse reale ma soltanto un’allucinazione che scaturiva dal passato in un caos di orrore autentico e immaginato. Quel momento passò e lei prese di nuovo, saldamente, il contatto con la realtà. Doveva telefonare ai vigili del fuoco, e in fretta. Il suo corpo le sembrava un peso morto inchiavardato al terreno, i muscoli rigidi come ferro. Ma anche quella sensazione passò.
In seguito non riuscì più a ricordare come avesse raggiunto la porta del cottage. Si tolse e lasciò cadere i guanti, trovò il freddo metallo del mazzo di chiavi nella tasca interna della borsetta e cercò di affrontare le due serrature. Mentre manovrava la chiave di sicurezza si disse ad alta voce: «Stai calma, stai calma». E in effetti adesso era più calma. Continuavano ancora a tremarle le mani ma quel battito sordo e terrificante del cuore si era quietato e riuscì ad aprire la porta.
Una volta entrata, sentì che il cervello si faceva più lucido a ogni istante che passava. Non riusciva ancora a controllare il tremito delle mani ma finalmente i suoi pensieri erano chiari. Prima i vigili del fuoco.
La telefonata al 999 ottenne risposta nel giro di pochi secondi ma l’attesa sembrò interminabile. Quando una voce femminile le domandò quale servizio richiedesse, lei disse: «I vigili del fuoco, ed è urgentissimo per favore. C’è un corpo in una macchina che sta bruciando». Quando la seconda voce, maschile, fu in linea, lei fornì i particolari necessari con calma, rispondendo alle domande, poi sospirò di sollievo mentre riabbassava il ricevitore. Niente poteva essere fatto per quel corpo carbonizzato per quanto in fretta arrivasse l’autopompa dei vigili del fuoco. Ma presto sarebbero arrivati i soccorsi: funzionari, esperti e persone il cui lavoro era affrontare le emergenze. Un peso tremendo di responsabilità e di impotenza le sarebbe stato tolto dalle spalle.
Adesso doveva telefonare a Marcus Dupayne. Sotto l’apparecchio del telefono che si trovava sul suo piccolo scrittoio in quercia, teneva un cartoncino plastificato con i nomi e i numeri delle persone che avrebbe potuto chiamare in caso di bisogno. Fino a una settimana prima il nome in cima alla lista era quello di Caroline Dupayne, ma era stata Miss Caroline in persona che le aveva dato istruzioni perché, adesso che Marcus Dupayne era andato in pensione, fosse informato lui, per primo, di ogni emergenza. Lei aveva riscritto il cartoncino nel suo stampatello chiaro e nitido e adesso compose il numero all’apparecchio.
Quasi immediatamente rispose una voce di donna. Tally disse: «Mrs Dupayne? Qui parla Tally Clutton dal museo. C’è Mr Dupayne per favore? Ho paura che sia successa una terribile disgrazia».
La voce era tagliente. «Che genere di disgrazia?»
«Il garage è in fiamme. Ho telefonato ai vigili del fuoco e adesso li sto aspettando. Mr Dupayne può venire subito, per favore?»
«Non c’è. È andato a trovare Neville nel suo appartamento di Kensington.» La voce si fece aspra. «È lì la Jaguar del dottor Dupayne?»
«Nel garage. Purtroppo sembra che ci sia dentro un corpo.»
Seguì un lungo silenzio. Pareva quasi che fosse caduta la linea. Tally non riusciva neanche più a sentire il respiro di Mrs Dupayne ma voleva che la donna concludesse la telefonata in modo da poter chiamare Caroline Dupayne e Muriel. Non era questo il modo in cui aveva avuto intenzione di dare la notizia.
A quel punto Mrs Dupayne parlò. Il suo tono era urgente, imperioso e non ammetteva obiezioni. «Guardi se lì c’è la macchina di mio marito. È una BMW blu. Controlli subito. Rimarrò in linea.»
Era più semplice ubbidire che discutere. Tally girò di corsa fin sul retro della casa per raggiungere il parcheggio dietro il suo schermo protettivo di cespugli di lauro. C’era parcheggiata soltanto una macchina, la Rover del dottor Neville. Rientrata nel cottage tirò su convulsamente il ricevitore. «Non c’è nessuna BMW blu, Mrs Dupayne.»
Ci fu di nuovo silenzio, ma stavolta Tally poté percepire un piccolo sospiro di sollievo. La voce della donna era più calma adesso. «Lo dirò a mio marito appena ritorna. Abbiamo gente a cena e non tarderà molto. Non posso chiamarlo sul cellulare perché lo spegne quando sta guidando. Nel frattempo, telefoni a Caroline.» Poi interruppe la comunicazione.
Tally non aveva bisogno di sentirselo dire. Miss Caroline doveva essere informata. Qui ebbe maggior fortuna. Al telefono della scuola rispose la segreteria telefonica e Tally aspettò soltanto le prime parole del messaggio registrato di Caroline prima di metter giù il ricevitore e tentare sul cellulare. La risposta fu sollecita. Tally rimase meravigliata per come riuscì a darle il messaggio con calma e in modo conciso. «Sono Tally, Miss Caroline. Purtroppo c’è stata una terribile disgrazia. L’automobile del dottor Neville e il garage sono in fiamme e l’incendio si sta estendendo agli alberi. Ho chiamato i vigili del fuoco e ho cercato di mettermi in contatto con Mr Marcus, ma lui è fuori.» Fece una pausa e poi comunicò tutto d’un fiato quella notizia quasi indicibile: «Ho paura che ci sia un corpo nella macchina!».
Fu sorprendente che la voce di Miss Caroline suonasse come al solito, così controllata. Disse: «Mi sta forse dicendo che qualcuno è morto, arso vivo, nella macchina di mio fratello?».
«Temo di sì, Miss Caroline.»
Adesso la voce era pressante. «Chi è? Mio fratello?»
«Non lo so, Miss Caroline. Non lo so.» La sua voce si alzò fino a diventare un lamento disperato, e lei stessa lo percepì. Il ricevitore le scivolò dalle mani umide di sudore. Lo trasferì all’orecchio sinistro.
La voce di Caroline era impaziente. «È sempre lì, Tally? E il museo?»
«Tutto a posto. Soltanto il garage e gli alberi circostanti stanno bruciando. Ho chiamato i vigili del fuoco.»
Tutto d’un tratto Tally non seppe più controllarsi e si accorse che lacrime cocenti le facevano bruciare gli occhi e che la sua voce si spegneva. Fino a quel momento tutto era stato orrore e paura. Adesso per la prima volta provava un dolore atroce. Non che il dottor Neville le fosse mai stato simpatico o lo avesse conosciuto sul serio. Le lacrime sgorgavano da una sorgente più profonda del rincrescimento per il fatto che un uomo era morto e di una morte tanto orribile. Erano, lo capiva, una reazione allo shock e al terrore, ma solo in parte. Battendo le palpebre e imponendosi con uno sforzo di volontà di calmarsi, pensò: “È sempre la stessa storia quando muore qualcuno che conosciamo. Un po’ piangiamo per noi stessi”. Ma quel momento di profondo dolore era qualcosa di più della triste rassegnazione con cui si accetta il fatto che siamo mortali, faceva parte dell’afflizione universale per la bellezza, il terrore e la crudeltà del mondo.
La voce di Caroline diventò ferma, autorevole e stranamente confortante. «Sì, Tally. Ha fatto bene. Adesso arrivo, mi ci vorrà una mezz’ora ma parto subito.»
Mettendo giù il ricevitore, Tally rimase immobile per un momento. Avrebbe dovuto telefonare a Muriel? Se Miss Caroline avesse voluto che venisse, non l’avrebbe detto? Però Muriel si sarebbe offesa se non fosse stata avvertita. Tally si accorse di non aver la forza di affrontare la prospettiva del malumore di Muriel e in fondo lei era la persona che mandava avanti il museo a tutti gli effetti. La notizia dell’incendio avrebbe potuto essere diffusa dai giornali e dalla televisione durante il weekend. Be’, certo che l’avrebbero diffusa. Fatti del genere diventano sempre notizia. Muriel aveva il diritto di essere avvertita subito.
Chiamò il suo numero ma le rispose il segnale di occupato. Provò di nuovo. Se Muriel stava già parlando con qualcuno, sarebbe stato poco probabile che rispondesse al cellulare, ma valeva comunque la pena di fare un tentativo. Dopo quattro squilli, udì la sua voce. Ebbe appena il tempo di presentarsi, che Muriel esclamò: «Ma perché mi telefoni sul cellulare? Sono a casa».
«Ma era al telefono.»
«No, niente affatto.» Ci fu una pausa, e poi: «Aspetta, per favore». Un’altra pausa, più breve, poi Muriel disse: «Il telefono vicino al letto aveva il ricevitore appoggiato male. Cosa c’è? Dove sei?».
Sembrava di cattivo umore. Tally pensò: “Detesta di dover confessare anche la più piccola sbadataggine” poi rispose: «Sono al museo. La mia lezione di stasera è saltata. Ho paura di doverle dare una notizia tremenda. C’è stato un incendio nel garage e dentro c’era la macchina del dottor Neville. E c’è un cadavere. Qualcuno è arso vivo, ho paura che sia il dottor Neville. Ho chiamato i vigili del fuoco e ho avvertito Miss Caroline».
Stavolta il silenzio fu più lungo. Tally chiese: «Muriel, è ancora lì? Mi ha sentito?».
«Sì, ho sentito» rispose Muriel. «È spaventoso. Sei sicura che sia morto? Non hai potuto tirarlo fuori?».
La domanda era grottesca. Tally disse: «No. Nessuno avrebbe potuto salvarlo».
«Supponi che sia il dottor Neville?»
Tally disse: «Chi altri potrebbe essere nella sua macchina? Ma non ne sono sicura. Non so chi sia. So solamente che è morto. Vuole venire? Pensavo che avrebbe preferito saperlo».
«Naturale che verrò. Sono stata l’ultima a uscire dal museo. Devo esserci. Farò più in fretta che posso. E non dire a Miss Caroline che è il dottor Neville fino a quando non lo sappiamo con sicurezza. Potrebbe trattarsi di chiunque. A chi altri lo hai raccontato?»
«Ho chiamato al telefono Mr Marcus ma non è ancora a casa. Glielo dirà sua moglie. Dovrei telefonare a Mr Calder-Hale?»
La voce di Muriel era spazientita. «No. Lascia che lo faccia Miss Caroline quando arriva. In ogni caso, non vedo che aiuto potrebbe dare. Quanto a te, rimani dove sei. Oh, e Tally...»
«Sì, Muriel?»
«Mi spiace di essere stata brusca con te. Dopo l’arrivo dei vigili del fuoco rimani nel cottage. Farò più in fretta che posso.»
Tally posò il ricevitore e andò alla porta del cottage. Al di sopra del crepitio del fuoco e del fischiare del vento poteva sentire un rumore di ruote in arrivo. Corse verso la facciata principale della casa e proruppe in un grido di sollievo. La grande autopompa, i fari potenti come riflettori, avanzava simile a un gigantesco mostro favoloso, illuminando l’edificio e il prato, spezzando la fragile calma con il suo fragore. Le corse freneticamente incontro, facendo grandi gesti assolutamente non necessari per indicare le guizzanti lingue di fuoco dell’incendio. Un grande peso le si scrollò finalmente dalle spalle. I soccorsi erano fortunatamente arrivati.
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Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. di P.D. James
  3. La stanza dei delitti
  4. Nota dell’autrice
  5. Libro primo - LE PERSONE E IL LUOGO
  6. Libro secondo - LA PRIMA VITTIMA
  7. Libro terzo - LA SECONDA VITTIMA
  8. Libro quarto - LA TERZA VITTIMA
  9. Copyright