Un amore più forte di me
eBook - ePub

Un amore più forte di me

  1. 396 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Un amore più forte di me

Informazioni su questo libro

Blanca Perea è una donna all¿apparenza invulnerabile, stimata docente universitaria e pilastro di una famiglia felice. Improvvisamente, vede crollare tutte le sue certezze quando scopre che il marito sta per avere un figlio da un'altra donna. Fuggire da Madrid sembra essere l'unico modo per salvarsi e, senza pensarci, accetta una borsa di studio di tre mesi in California, all'Università di Santa Cecilia. Deve catalogare e archiviare tutte le carte di Andrés Fontana, importante letterato spagnolo trasferitosi negli Stati Uniti e morto già da trent'anni, un lavoro apparentemente noioso ma che si rivela invece decisamente intrigante. Ad aiutarla c'è l'ex allievo prediletto di Fontana, Daniel Carter, che si precipita a Santa Cecilia appena viene a sapere che qualcuno sta finalmente mettendo mano al lascito del suo maestro. Insieme esplorano una parte di documenti fino ad allora sconosciuta, gli studi che il professore aveva dedicato al Camino Real, la catena di missioni che i frati francescani fondarono in tutta la California. Ma l'interesse di Daniel per l'impresa e le ricerche sul nuovo materiale non fanno che scatenare in Blanca una serie di interrogativi via via più urgenti. Perché nessuno - soprattutto Daniel - ha finora recuperato l'eredità di Fontana? E perché farlo proprio ora? Per ottenere le risposte che sta cercando, Blanca dovrà scavare nel passato, indagare il legame che univa Daniel e Fontana, affrontare retroscena impensati e svelare interessi politici nascosti. Ma dovrà soprattutto tornare a credere in se stessa e riscoprire la voglia di aprirsi all'amore, per trovare finalmente la chiave per cambiare il suo futuro.
Dopo il grande successo di La notte ha cambiato rumore, María Dueñas torna a parlare ai suoi lettori attraverso la voce di una donna capace di affrontare le sconfitte con il coraggio di mettersi in discussione. Un amore più forte di me è una storia luminosa che si sviluppa tra la Spagna e la California, tra gli anni Cinquanta e oggi, dove si intrecciano le vicende di personaggi carichi di passione e umanità, convinti che l'avventura più emozionante della propria vita è sempre quella che si sta per vivere.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Un amore più forte di me di Maria Duenas in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
Print ISBN
9788804629801
eBook ISBN
9788852039966

1

A volte la vita ci cade addosso, pesante e fredda come una palla di piombo.
Ebbi questa percezione aprendo la porta dell’ufficio. Così vicino, così caldo, così mio. Prima.
Eppure non avevo motivo di stare male. A prima vista, tutto era rimasto tale e quale come l’avevo lasciato. Gli scaffali carichi di libri, il pannello di sughero coperto di orari e avvisi. Cartelline, dossier, manifesti di vecchie esposizioni, buste con il mio nome. Il calendario fermo a due mesi prima, luglio 1999. Tutto era rimasto intatto nello spazio che per quattordici anni era stato il mio rifugio, il luogo che, corso dopo corso, aveva accolto frotte di studenti smarriti nei loro dubbi, nei loro reclami e nelle loro aspirazioni. In realtà era tutto come sempre. Erano cambiati solo i puntelli che mi sostenevano. Mi sentivo spaccata in due, da cima a fondo.
Erano passati due o tre minuti da quando ero arrivata. Forse dieci, o neanche uno. Abbastanza, in ogni caso, per prendere una decisione. Il primo passo fu comporre un numero di telefono. Come risposta ottenni solo la gelida cortesia di una segreteria telefonica. Ero tentata di riattaccare, ma non lo feci.
«Rosalía, sono Blanca Perea. Devo andarmene e ho bisogno del tuo aiuto. Non so dove, fa lo stesso. In un posto dove non conosco nessuno e dove nessuno mi conosce. So che l’inizio dell’anno accademico è un pessimo momento, quando stanno per cominciare i corsi, ma chiamami appena puoi, per favore.»
Dopo aver lasciato quel messaggio mi sentii meglio, come se mi fossi liberata dal morso di un cane nel bel mezzo di un incubo spaventoso. Sapevo di poter contare su Rosalía Martín, sulla sua comprensione, sulla sua forza di volontà. Ci conoscevamo da quando entrambe avevamo cominciato a muovere i primi passi all’università, quando io ero ancora una giovane professoressa con un misero contratto a termine e lei la responsabile dello sviluppo dei nuovi programmi per gli scambi internazionali. Forse la parola amiche era esagerata, nel nostro caso, forse il nostro legame si era affievolito con il passare degli anni, ma conoscevo il carattere di Rosalía ed ero sicura che il mio grido non sarebbe caduto nel vuoto, nel dimenticatoio.
Solo dopo la telefonata riuscii a mettere insieme le forze necessarie per fare fronte ai doveri del mese di settembre, che era appena incominciato. La posta elettronica si aprì davanti ai miei occhi come una marea debordante e per un bel pezzo mi immersi nel suo flusso, rispondendo ad alcuni messaggi e scartandone altri ormai vecchi o privi di interesse. Finché il telefono mi interruppe e risposi con un secco «sono io».
«Cosa ti è successo, sei impazzita? Dove pensi di andare, adesso? E perché tutta questa fretta?»
La voce concitata mi riportò subito alla memoria tanti momenti vissuti anni prima. Ore eterne di fronte allo schermo in bianco e nero di un computer preistorico. Visite fatte insieme a università straniere in cerca di scambi e convegni, camere doppie in alberghi anonimi, notti di attesa in aeroporti deserti. Il tempo aveva diviso le nostre strade e forse il senso della vicinanza aveva perduto vigore. Ma era rimasto qualcosa, i segni di una vecchia complicità. Per questo le raccontai tutto senza riserve. Con una sincerità asciutta, omettendo i giudizi. Senza piagnistei né aggettivi. Senza rete.
Nel giro di un paio di minuti Rosalía seppe quello che doveva sapere. Che Alberto se n’era andato di casa. Che la presunta solidità del mio matrimonio era andata in pezzi all’inizio dell’estate, che i miei figli avevano ormai cominciato a camminare sulle loro gambe, che avevo passato gli ultimi due mesi cercando di adattarmi goffamente alla mia nuova realtà e che, all’idea di affrontare il nuovo corso, mi mancavano le energie per tenermi a galla nel solito scenario di ogni anno: per tuffarmi ancora una volta nella routine e nelle responsabilità come se nella mia vita non ci fosse stato un taglio netto e deciso, un vetro affilato che penetra nella carne.
Con i novanta chili di senso pratico del suo corpo imponente, Rosalía inquadrò subito la situazione e capì che l’ultima cosa di cui avevo bisogno erano soluzioni pietose o consigli sdolcinati. Quindi non si soffermò sui particolari e non mi offrì una spalla per piangere. Si limitò a prospettarmi una previsione che in un primo momento, come immaginavo, non era affatto rosea.
«Be’, dovremo darci da fare, tesoro.» Parlò al plurale, assumendo subito la faccenda come una cosa che riguardava entrambe. «I termini per progetti interessanti sono scaduti» aggiunse. «E ai bandi per le borse di studio che contano mancano alcuni mesi. In ogni caso dammi un po’ di tempo, perché abbiamo appena ricominciato e magari nelle ultime settimane è uscita qualche novità; a volte arrivano cose isolate o impreviste. Lasciami cercare fino a stasera, se trovo qualcosa poi ti dico.»
Trascorsi il resto della mattinata girando per l’università. Firmai documenti arretrati e restituii libri alla biblioteca, poi presi un caffè. Nulla mi impegnò abbastanza, tuttavia, da permettermi di rimanere in paziente attesa della chiamata. Non mi davo pace, non ci riuscivo. Alle due meno un quarto bussai alla porta socchiusa del suo ufficio. Dentro, massiccia e senza complessi, con i capelli tinti di viola, Rosalía era al lavoro.
«Stavo per chiamarti» annunciò senza darmi il tempo di salutarla. Puntò l’indice contro lo schermo come un missile e iniziò a riferirmi le notizie che aveva in serbo per me. «Ho trovato tre cose niente male. Sono arrivate durante le vacanze. Più di quanto mi aspettassi, a dire il vero. Tre istituzioni e tre attività diverse. Lituania, Portogallo e Stati Uniti. California, per la precisione. Nessuna delle tre è una passeggiata, occhio, ci sarà da sgobbare, e non aggiungerebbero molto al tuo curriculum, ma è pur sempre qualcosa, no? Da dove vuoi che cominci?»
Mi strinsi nelle spalle e serrai le labbra per cercare di contenere l’ombra di un sorriso: il primo barlume di speranza da troppo tempo. Lei intanto si sistemò gli occhiali con la montatura verde e ricominciò a guardare la schermata.
«Lituania, per esempio. Cercano specialisti in pedagogia linguistica per un nuovo programma di formazione dei docenti. Due mesi. Hanno una sovvenzione dell’Unione Europea che prevede un gruppo internazionale. È il tuo campo, no?»
In effetti era il mio ambito di lavoro. Linguistica applicata, didattica delle lingue, programmi dei corsi. Mi muovevo in quel territorio da vent’anni. Ma prima di arrendermi al primo canto di sirena, preferii indagare un po’.
«E il Portogallo?»
«Universidade do Espírito Santo, a Sintra. Privata, moderna, un mucchio di soldi. Hanno messo su un master per l’insegnamento dello spagnolo come seconda lingua straniera e cercano esperti di metodologia. Il termine per la presentazione delle richieste è venerdì, in pratica subito. Un modulo intensivo di dodici settimane con ore di lezione da capogiro. Non pagano male, perciò immagino che le domande fioccheranno. Ma tu hai molta esperienza e in più abbiamo rapporti ottimi con la Espírito Santo, quindi magari non è così difficile da ottenere.»
L’offerta sembrava infinitamente più attraente di quella lituana. Sintra, con i suoi boschi e i suoi palazzi, così vicina a Lisbona, e anche a casa. La voce di Rosalía mi strappò alle mie fantasticherie.
«E infine la California» continuò senza staccare lo sguardo dallo schermo. «Come alternativa mi sembra più vaga, ma possiamo prenderla in considerazione, non si sa mai. Università di Santa Cecilia, a nord, vicino a San Francisco. Le informazioni che abbiamo sono piuttosto scarse, per il momento: il bando è appena arrivato e non ho ancora fatto in tempo a chiedere ulteriori chiarimenti. A quanto pare la borsa di studio è finanziata da una fondazione privata, ma il lavoro sarebbe presso l’università. Il compenso non è principesco, ma basterebbe per sopravvivere.»
«In che cosa consiste, a grandi linee?»
«Ha a che vedere con la sistemazione e la classificazione di documenti, e cercano qualcuno di nazionalità spagnola con un dottorato in qualunque materia umanistica.» A quel punto si tolse gli occhiali e aggiunse: «Questo tipo di borsa è rivolto a persone meno qualificate di te, quindi saresti avvantaggiata nel momento in cui saranno valutati i candidati. E la California, ragazza mia, è una vera tentazione, quindi, se vuoi, posso chiedere altre informazioni».
«Sintra» insistetti, rifiutando la nuova offerta. Dodici settimane. Sufficienti, forse, perché le mie ferite smettessero di bruciare. Abbastanza lontano per staccarmi dalla mia realtà, abbastanza vicino per tornare di frequente se la situazione si fosse capovolta e tutto fosse tornato come prima. «Sintra senza dubbio» ribadii con decisione.
Mezz’ora dopo uscii dall’ufficio di Rosalía dopo aver inviato la domanda via mail. Avevo la testa piena di informazioni, un plico di fogli in mano e la sensazione che forse la fortuna, anche se molto di striscio, cominciasse a sorridermi.
Il resto della giornata trascorse in una specie di limbo. Mangiai un panino vegetariano senza appetito al caffè della facoltà, nel pomeriggio continuai a lavorare piuttosto deconcentrata e alle sette assistetti con scarso entusiasmo alla presentazione del nuovo libro di un collega dell’Istituto di Preistoria. Cercai di scappare subito dopo la fine dell’evento, ma non riuscii a sottrarmi e alcuni colleghi mi trascinarono con loro a bere una birra ghiacciata. Quando finalmente arrivai a casa, erano quasi le dieci. Prima ancora di accendere la luce, nella penombra, vidi lampeggiare insistentemente la segreteria in un angolo del soggiorno. Ricordai che avevo spento il cellulare all’inizio della presentazione e che mi ero dimenticata di riaccenderlo alla fine.
Il primo messaggio era di mio figlio Pablo, il più piccolo. Incantevole, incoerente e vago; con musica ad alto volume e risate in sottofondo, faticai a capire le sue parole impetuose.
«Mamma, sono io, dove sei finita… Ti ho chiamato al cellulare un mucchio di volte per dirti… per dirti che… che non torno neppure ’sta settimana, rimango al mare, e che sì… insomma, ti richiamo, va bene?»
Pablo, mormorai mentre cercavo il suo volto tra gli scaffali della libreria. Eccolo lì, fotografato decine di volte. A volte era solo, ma quasi sempre c’era anche il fratello, cui somigliava così tanto. Gli eterni sorrisi, i ciuffi neri sugli occhi. Sequenze scarmigliate dei loro ventidue e ventitré anni. Indiani, pirati e Flintstones nelle recite scolastiche, torte con le candeline sempre più numerose. Campi estivi, scene natalizie. Scampoli impressi su carta Kodak, ritagli di memoria di una famiglia compatta che, come tale, aveva smesso di esistere.
Con mio figlio Pablo che mi danzava ancora nella mente, premetti di nuovo il tasto della segreteria per sentire il messaggio successivo.
«Ehm… Blanca, sono Alberto. Non rispondi al cellulare, non so se sei a casa. Ehm… ti chiamo perché… per dirti che… Be’, meglio se te lo dico in un altro momento, quando ti trovo. Ti chiamo più tardi. Ciao, a presto, ciao.»
La voce impacciata di mio marito mi inquietò. Del mio ex marito, anzi. Non avevo idea di che cosa volesse dirmi, ma il suo tono faceva presagire notizie poco gradevoli. Il mio primo impulso fu, come sempre, pensare che potesse essere successo qualcosa a uno dei miei figli. Dal messaggio precedente sapevo che Pablo stava bene, così estrassi in fretta il cellulare dalla borsa, lo accesi e chiamai David.
«Stai bene?» indagai con impazienza non appena sentii la sua voce.
«Sì, certo, sto bene. E tu come stai?»
Sembrava teso. Forse era solo una percezione falsata dalla distanza. O forse no.
«Io, insomma, più o meno… Mi ha chiamato papà e…»
«Lo so» mi interruppe. «Ha appena chiamato anche me. Come l’hai presa?»
«Come ho preso cosa?»
«La faccenda del bambino.»
«Quale bambino?»
«Quello che avrà con Eva.»
Non pensavo, non capivo, non vedevo. Con la sensibilità che può avere una statua di marmo o il cordolo di un marciapiede, rimasi sospesa per un tempo che non riuscii a quantificare. Quando tornai alla realtà, sentii urlare David dal telefono che mi era caduto in grembo.
«Sono qui» risposi alla fine. E senza dargli il tempo di indagare ulteriormente, troncai la conversazione. «Va tutto bene, ti chiamo più tardi.»
Rimasi immobile sul divano, a contemplare il nulla mentre cercavo di digerire la notizia che mio marito avrebbe avuto un figlio con la donna per la quale mi aveva lasciato appena due mesi prima. Il terzo figlio di Alberto: quello che non aveva mai voluto avere con me, nonostante le mie continue insistenze. Un figlio che sarebbe nato da un ventre che non era il mio, in una casa che non era la nostra.
Sentii un’angoscia incontenibile risalire dallo stomaco, preannunciando ondate di nausea e desolazione. Con lunghi passi frettolosi, incespicando e sbattendo contro le pareti e gli stipiti delle porte, raggiunsi a fatica il bagno. Mi piegai sul water e, inginocchiata, vomitai.
Rimasi così per un momento interminabile, con la fronte appoggiata contro le piastrelle fredde della parete mentre cercavo di ritrovare un briciolo di coerenza in mezzo al caos. Quando riuscii ad alzarmi, mi lavai le mani. Lentamente, con cura, lasciando che l’acqua e la schiuma mi scorressero fra le dita. Mi lavai i denti coscienziosamente, per dare al mio cervello il tempo di lavorare senza fretta in parallelo. Alla fine tornai in soggiorno. Con la bocca e le mani pulite, lo stomaco vuoto, la testa a posto e il cuore arido. Cercai il cellulare e vidi che era caduto sul tappeto. Feci un numero, ma non rispose nessuno. Ancora una volta, lasciai il mio messaggio sulla segreteria.
«Sono ancora Blanca. Cambio di programma. Devo andare più lontano, per più tempo, immediatamente. Scopri tutto quello che puoi sulla borsa di studio californiana, per favore.»
Nove giorni dopo atterravo all’aeroporto di San Francisco.

2

L’improvvisa interruzione delle martellate mi riportò alla realtà. Guardai l’orologio. Mezzogiorno. Solo a quel punto mi resi conto delle ore che avevo passato a scartabellare tra i fogli senza la minima idea di che cosa ne avrei fatto. Mi alzai a fatica dal pavimento con le articolazioni intorpidite. Mentre scuotevo via la polvere dalle mani, mi misi in punta di piedi e guardai fuori dalla finestrella vicina al soffitto. Come unico paesaggio scorsi un cantiere momentaneamente fermo e i grossi stivali di alcuni operai che stavano pranzando in mezzo a pile di assi di legno. Sentii una fitta allo stomaco: un misto di debolezza, confusione e fame.
Ero arrivata in California quella notte cambiando tre aerei e dopo mille ore di volo. Una volta recuperati i bagagli, dopo qualche secondo di disorientamento vidi il mio nome su un piccolo cartello. Scritto con un pennarello blu con la punta spessa, in mano a una donna robusta dallo sguardo assente e dall’età imprecisata. Trentasette, più di quaranta forse. Vestito color panna e capelli lisci tagliati all’altezza della mascella. Mi avvicinai, ma lei non mostrò di accorgersi della mia presenza neppure quando mi ebbe di fronte.
«Sono Blanca Perea, credo che stia aspettando me.»
Mi sbagliavo, non mi stava aspettando, non aspettava né me né nessuno. Era incantata e assente, persa in mezzo alla massa in movimento, estranea al concitato brulichio del terminal.
«Blanca Perea» insistetti. «La professoressa Blanca Perea, dalla Spagna.»
Alla fine reagì aprendo e chiudendo rapidamente gli occhi, come se fosse appena tornata da un viaggio astrale. Mi tese la mano e la scosse con una stretta brusca, poi prese a camminare in silenzio, senza aspettarmi, mentre io mi sforzavo di seguirla facendo acrobazie con due valigie, un borsone e il computer portatile a tracolla.
Nel parcheggio ci aspettava un fuoristrada bianco posteggiato in diagonale, che aveva invaso senza pudore ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Un amore più forte di me
  3. Della stessa autrice in edizione Mondadori
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. 18
  22. 19
  23. 20
  24. 21
  25. 22
  26. 23
  27. 24
  28. 25
  29. 26
  30. 27
  31. 28
  32. 29
  33. 30
  34. 31
  35. 32
  36. 33
  37. 34
  38. 35
  39. 36
  40. 37
  41. 38
  42. 39
  43. 40
  44. 41
  45. 42
  46. 43
  47. 44
  48. 45
  49. Ringraziamenti
  50. Copyright