Gli ultimi fuochi
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Gli ultimi fuochi

  1. 280 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Monroe Stahr, produttore cinematografico, è un condottiero dell'industria, l'ultimo campione dell'individualismo, un eroe romantico destinato a una fine tragica. Il romanzo che documenta la triste esperienza dello scrittore a Hollywood.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
Print ISBN
9788804485803
eBook ISBN
9788852038655

V

Fresca come il mattino, andai a trovarlo una settimana dopo. O così credevo; quando Wylie passò da casa mia, avevo indossato la tenuta da cavallerizza per dar l’impressione di essere stata fuori nella rugiada sin dall’alba.
«Vado a gettarmi sotto le ruote dell’automobile di Stahr, stamane» annunciai.
«Che ne direste di questa automobile?» egli propose. «È una delle migliori che Mort Fleishacker abbia mai venduto di seconda mano.»
«Non voglio calpestare un velo fluttuante al vento» risposi come un libro stampato. «Avete una moglie nell’Est.»
«È il passato» disse lui. «Voi disponete di un grande atout, Celia... il valore che attribuite a voi stessa. Credete che qualcuno vi degnerebbe di uno sguardo se non foste la figlia di Pat Brady?»
Le malignità non ci offendono come avrebbero offeso le nostre madri. Nulla... nessuna osservazione di un coetaneo assume molta importanza. Ti dicono di essere furba, perché ti sposano per i soldi, oppure sei tu a dirlo a loro. È tutto più semplice. Ma lo è poi davvero? come eravamo soliti domandarci.
Tuttavia, mentre accendevo la radio e l’automobile correva nel Laurel Canyon tra gli accordi di Il battito tonante del mio cuore, non credetti che avesse ragione. Avevo bei lineamenti, a parte il viso troppo rotondo, e una pelle che agli uomini sembrava far piacere toccare, e gambe ben fatte, e non ero costretta a portare il reggiseno. Non ho un buon carattere, questo sì, ma chi era mai Wylie per rimproverarmi una cosa simile?
«Non vi pare che sia scaltra ad andare da lui di mattina?» domandai.
«Già. Dall’uomo più affaccendato della California. Lo apprezzerà. Perché non lo avete svegliato alle quattro?»
«Per l’appunto. La sera è stanco. Ha veduto persone per tutto il giorno, e alcune di loro non sono male. Io mi presento in mattinata e do l’avvio a tutto un concatenamento di pensieri.»
«Non approvo. È un’impudenza.»
«Voi che cosa avete da offrire? E non siate scortese.»
«Vi amo» disse, senza molta convinzione, «vi amo più di quanto sia affezionato al vostro denaro, e questo vuol dir molto. Forse vostro padre mi nominerebbe supervisore.»
«Preferirei sposare l’ultimo straccio d’uomo e andare ad abitare a Southampton.»
Sintonizzai la radio e pescai o Fuggita o Perduta... erano canzoni molto in voga, quell’anno. La musica ricominciava a migliorare. Nei miei anni verdi, durante la crisi economica, non era stata così appassionata, e i motivi migliori risalivano al decennio 1920-30, Cielo azzurro, ad esempio, sonato da Benny Goodman o Quando il giorno è passato, con Paul Whiteman. Non rimaneva che ascoltare le orchestre di musica da ballo. Ma ormai mi piaceva quasi tutto, tranne il babbo, quando cantava Ragazzina, hai avuto una giornata piena, per tentar di creare un’atmosfera paterna-e-filiale tra noi.
Perduta e Fuggita non si addicevano al mio stato d’animo, ragion per cui girai di nuovo la manopola della sintonia e pescai Bella a guardarsi, ch’era il mio genere di poesia. Mi voltai indietro mentre superavamo il crinale delle colline... con l’aria così limpida che si distinguevano le foglie sulla Sunset Mountain, a più di tre chilometri di distanza. Stupisce, a volte... null’altro che aria, senza ostacoli, senza complicazioni.
«Bella a guardarsi... de-liziosa a co-noscer-si» canterellavo.
«Canterete per Stahr?» domandò Wylie. «Se è così, inserite un verso sul fatto ch’io sarei un abile supervisore.»
«Oh, la conversazione sarà riservata soltanto a Stahr e a me» dissi. «Mi guarderà e penserà: “Non l’avevo mai veduta davvero prima d’ora”.»
«Questa battuta non è più di moda» disse lui.
«Allora dirà: “Piccola Cecilia”, come la sera del terremoto. Dirà di non essersi mai accorto che sono diventata donna.»
«Non avrete bisogno di far nulla.»
«Me ne starò zitta e sboccerò. Quando mi avrà baciata come si potrebbe baciare un bambino...»
«Tutto questo è nella mia sceneggiatura» si lamentò Wylie «e devo mostrargliela domani.»
«... si metterà a sedere, nascondendosi il viso tra le mani e dicendo di non aver mai pensato a me in quel modo.»
«Intendete dire che fareste un rapido lavoretto durante il bacio?»
«Sboccio, vi ho detto. Quante volte devo ripetervi che sboccio?»
«La cosa incomincia a sembrarmi piuttosto spinta» disse Wylie. «Che ne direste di parlare d’altro? Devo lavorare, stamane.»
«Poi lui dirà che gli sembra di essere sempre stato destinato a questo.»
«A rimanere nel campo dell’industria cinematografica. Il sangue del produttore.» Finse di rabbrividire. «Non sopporterei che me ne facessero una trasfusione.»
«Poi dirà...»
«Le conosco già, le sue battute» osservò Wylie. «Io voglio sapere piuttosto quello che direte voi.»
«Entrerà qualcuno» continuai.
«E voi salterete su dal divano dei provini, lisciandovi la gonna.»
«Volete che scenda e me ne torni a casa?»
Eravamo a Beverly Hills, già reso splendido dagli alti pini hawaiani. Hollywood è una città perfettamente suddivisa in quartieri, per cui puoi sapere con esattezza la categoria economica delle persone che abitano in ciascuno di essi, dai dirigenti e dai registi, passando per i tecnici, nei loro villini, fino alle comparse. Quello era il quartiere dirigenti, faceva pensare a un mucchio di torte assai fantasiose. Non aveva un aspetto romantico come i più squallidi villaggi della Virginia o del New Hampshire, ma sembrava grazioso quel mattino.
“Mi domandarono come sapevo” cantava la radio “che il mio grande amore era un sollievo.”
Il mio cuore era fuoco e avevo il fumo negli occhi, e tutto il resto, ma presumevo di poter contare su un cinquanta per cento di probabilità. Mi sarei avvicinata a lui con decisione, come se avessi voluto passargli attraverso o baciarlo sulla bocca... mi sarei fermata a trenta centimetri appena di distanza e avrei detto “Salve” con disarmante modestia.
E così feci... anche se, naturalmente, non andò come mi ero aspettata: i begli occhi scuri di Stahr che fissavano i miei, sapendo, ne sono certissima, tutto quel che pensavo... e senza un briciolo di imbarazzo. Rimasi lì un’ora, credo, senza muovermi, e lui si limitò a far guizzare l’angolo della bocca e a mettersi le mani in tasca.
«Vuoi venire al ballo con me, questa sera?» domandai.
«Quale ballo?»
«Il ballo degli sceneggiatori cinematografici, all’Ambassador.»
«Ah, sì.» Rifletté. «Non posso accompagnarti. Potrei forse fare una capatina più tardi. C’è un’anteprima non preannunciata a Glendale.»
Come tutto è diverso da quel che si è progettato. Quando si fu messo a sedere, mi avvicinai e infilai la testa tra i telefoni, come una sorta di soprammobile, e lo contemplai; e i suoi occhi scuri ricambiarono lo sguardo, cortesi e null’altro. Spesso gli uomini non si accorgono dei momenti in cui potrebbero avere come niente una donna. La sola idea che riuscii a fargli venire in mente fu:
«Perché non prendi marito, Celia?»
Magari avrebbe fatto venire di nuovo Robby, tentando di combinare un matrimonio lì per lì.
«Che cosa potrei fare per interessare un uomo interessante?» gli domandai.
«Dirgli che sei innamorata di lui.»
«Dovrei dargli la caccia?»
«Sì» rispose sorridendo.
«Non saprei. Se non c’è, non c’è.»
«Ti sposerei io» disse inaspettatamente. «Mi sento molto solo. Ma sono troppo vecchio e stanco per intraprendere qualsiasi cosa.»
Girai intorno alla scrivania e gli rimasi accanto, in piedi.
«Intraprendi me.»
Alzò gli occhi stupito, rendendosi conto per la prima volta che dicevo proprio sul serio.
«Oh, no» disse. Per alcuni lunghi momenti parve quasi disperato. «Le mie donne sono i film. Non ho molto tempo...» Si corresse subito: «Non ne ho affatto, voglio dire».
«Non potresti amarmi.»
«Non si tratta di questo» disse e, proprio come nel mio sogno, ma con una differenza: «Non ho mai pensato a te in questo senso, Celia. Ti conosco da tanto tempo. Mi hanno detto che sposerai Wylie White.»
«E tu non hai reagito... in nessun modo.»
«Sì, invece. Volevo appunto parlartene. Aspetta finché avrà smesso di bere per due anni.»
«Non l’ho preso neppure in considerazione, Monroe.»
Eravamo fuori strada e, proprio come nel sogno a occhi aperti, entrò qualcuno... soltanto, ero certissima che Stahr avesse premuto un pulsante nascosto.
Ripenserò sempre a quel momento, quando sentii alle mie spalle la signorina Doolan con il taccuino, come al termine della fanciullezza, al termine del periodo in cui si ritagliano fotografie. L’uomo che guardavo non era Stahr, ma una sua fotografia ch’io ritagliavo e ritagliavo senza fine: gli occhi che, balenando, ti fissavano con sofisticata comprensione e poi, dardeggianti, ti abbandonavano troppo presto, sotto quella fronte ampia, con le sue diecimila trame e i suoi diecimila progetti; il viso che andava invecchiando dal di dentro, per cui non vi si scorgevano rughe fuggevoli di crucci e di irritazione, ma un teso ascetismo, come in seguito a una silenziosa lotta interiore... o a una lunga malattia. Era più bello, per me, di tutti i giovanotti rosei e abbronzati da Coronado a Del Monte. Era la mia immagine, proprio come se lo avessi incollato all’interno dell’armadietto nello spogliatoio, a scuola. Così dissi a Wylie White e quando una donna parla di quell’altro all’uomo che preferisce subito dopo il primo... allora è innamorata.
La notai molto tempo prima che Stahr arrivasse al ballo. Non una bella donna, perché non esistono belle donne a Los Angeles... una singola donna può essere graziosa, ma una dozzina formano soltanto un corpo di ballo. E neppure, ancora, una bellezza professionale... respirano loro in luogo di tutti gli altri e, in ultimo, anche gli uomini sono costretti ad andar fuori a prendere una boccata d’aria. Semplicemente una donna, con la pelle di uno di quegli angeli dipinti negli angoli da Raffaello e un’eleganza che ti induceva a voltarti due volte per vedere se il merito fosse del vestito.
La notai e la dimenticai. Sedeva in fondo, dietro le colonne, a un tavolo il cui ornamento consisteva in una tramontata stellina che, sperando di essere notata e di vedersi gettare una lenza, si alzava e danzava un ballo dopo l’altro con alcuni maschi spaventapasseri. Mi ricordò con un senso di vergogna il mio primo ricevimento, quando la mamma mi aveva fatto danzare più e più volte con lo stesso ragazzo per tenermi in mostra. La stellina tentò di attaccar discorso con varie persone al nostro tavolo ma siccome noi eravamo impegnatissimi in un cicaleccio mondano, non approdò a niente.
Dal nostro punto di vista, sembrava che volessero tutti qualcosa.
«Il vostro atteggiamento dev’essere quello di ignorarli» disse Wylie «... come ai vecchi tempi. Quando si accorgono che non mollate, si scoraggiano. Ecco il motivo di questa atmosfera cupa e orgogliosa... il solo modo per far sì che conservino il rispetto di se stessi consiste nell’essere personaggi alla Hemingway. Ma sotto sotto vi odiano con afflizione, lo sapete.»
Aveva ragione... sapevo che, a partire dal 1933, i ricchi potevano essere felici solo rimanendo nella propria cerchia.
Vidi Stahr entrare nella mezza luce alla sommità dell’ampio scalone e sostare lassù con le mani in tasca, guardandosi attorno. Era tardi e la luce delle lampade sembrava essersi abbassata un poco, benché fosse sempre la stessa. Lo spettacolo sulla pista da ballo era terminato, a parte un tizio che ancora portava un cartello annunciando come, a mezzanotte, nell’Hollywood Bowl, Sonja Henie avrebbe pattinato sulla minestra bollente. Mentre danzava, il cartello sulla schiena di lui diventava sempre meno comico. Pochi anni prima, vi sarebbero stati u...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. di Francis Scott Fitzgerald
  3. Gli ultimi fuochi
  4. Introduzione di Fernanda Pivano
  5. Cronologia
  6. Bibliografia
  7. Premessa di Edmund Wilson
  8. GLI ULTIMI FUOCHI
  9. I
  10. II
  11. III
  12. IV
  13. V
  14. VI
  15. Note
  16. Copyright