
- 192 pagine
- Italian
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- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Perché Milano è meglio di Roma
Informazioni su questo libro
Vivere a Milano è molto meglio di quanto credi. Se impari a farci caso.
Provocatorio, divertente, illuminante. Il libro che ti insegna a goderti davvero la tua città.
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Informazioni
Motivo 1
È più educata
(a livello verbale)
A come Abbella
“Avrei dovuto capirlo al primo abbella.”
“Cosa?”
“Che in macchina mi avrebbe detto càrcola che da qui a casa mia so’ venti minuti.”
“Dài, poteva andarti peggio.”
“E sotto casa ammazza, ’n c’è ’n buco a pagallo.”
“Okay, è peggio. Che altro?”
“Niente, siamo finiti a letto insieme. Sul più bello sai che m’ha detto?”
“Che sei un fiorellino di maggio?”
“Ahó, lèvate che sto a venì.”
Motivo 1
C’è un momento in cui arrivi a Roma d’estate e anche se fa caldo è tutto bellissimo, sei lì con la tua valigia, il sole splende, gli uccellini cantano, ti perdi un momento nei tuoi pensieri prima di incamminarti nella direzione in cui devi andare e da dietro ti arriva un: “Ahó, te mòvi? Me stanno a schiumà le ascelle”.
Eccoti qua. Benvenuto a Roma, terra di ardite metafore e loquela ruspante. Funziona come a Parigi: se parli in inglese ’n te se fila nessuno. E neanche in italiano, se è per quello: quando il romano dice “parlo in romanesco solo con la famiglia e gli amici” è abbastanza chiaro che intende che gli altri con cui parla in italiano li considera un po’ dei poveri pirla.
Che il romanesco sia lingua dominante, del resto, è fuori discussione. Mette al tappeto qualunque altro idioma, regionale o straniero che sia. Con armi implacabili quali: semplificazione, accentazione, elisione, rotacizzazione. Non c’è gara: le altre parlate ne escono zampinsù come scarafaggetti dopo il Raid.
Un esempio per tutti: la coniugazione del verbo essere. L’infinito viene subito ridotto a una consonante: èsse. Facile. Per il presente si regola così: so’, sei, è, sémo, séte, so’. Già coi due so’ recupera quattro lettere; tra sémo e séte arriva a sei. Fosse economia anziché linguistica ’a capitale non avrebbe più problemi.
Il verbo avere diventa avécce, e al presente è così organizzato: ciò, ciai, cià, ciavémo, ciavéte, cianno. Non sto neanche a farvi il conto delle lettere, che dico, delle sillabe risparmiate. In più, quasi tutti gli infiniti perdono il suffisso in -re: finì, vedé, magnà. Visto? Si capisce lo stesso. Romanesco uno, italiano zero.
Un ragionamento a parte va fatto per le consonanti doppie: annamo, raggione, chevvordì contro bira, guèra, maróni. Può sembrare strano che il romano si accanisca solo sulla doppia R – la sua lettera del cuore – ma in realtà no: si rifà poi rotacizzando gli articoli. E come dargli torto: se c’è una lettera frocia, è la L.
Per finire, si dedica al suo esercizio preferito: il taglia e accenta. Lo fa soprattutto coi nomi di persona, rendendoli democraticamente tutti uguali e curiosamente simili a note musicali accentate: Ré, Mì, Fà, Là. Con quelli che non lo aiutano tipo Anna è tentato di risolverla in À, ma a volte è magnanimo e si contiene.
Forte di questo cesellato e potente strumento linguistico il romano esce di casa e si confronta col resto del mondo. Potreste chiedervi perché mai, dato che in fondo sa di avécce sempre raggione lui, ma se ci pensate un attimo lo capite da soli: lo fa per voi. Deve scolarizzarvi, fornirvi le basi. È la sua missione. Dai tempi dell’Impero.
Deve anche, di conseguenza, usare un tono di voce appropriato. E dunque si avvale di una gamma di amplificazione diversa, da un minimo di me deve sentì mi’ madre ar terzo piano a un massimo di sto a annà a foco e lo deve sapé tutta la popolazione. Ragionevolissimo, se vi mettete nei suoi panni. Appropriato, perfino.

A proposito, se siete anime delicate è bene teniate conto anche di un’altra cosetta: il romano non si pone alcun problema su cosa sta per comunicarvi, o con quali parole. Ciò che conta per lui è arrivare dritto ar core della questione; e, intanto che lo fa, raggiungere il massimo dell’espressionismo linguistico.
Per dire. State camminando sereni per strada, e accanto a voi c’è una frugoletta con la sua bambola. Sua nonna, in ciavatte e vestaglia, ha l’impellente necessità di chiederle se è già andata in bagno quella mattina. E dice: “Hai fatto ’a piscia a nonna?”.
O ancora. Avete appuntamento con una signorina de li Castelli, ma restate bloccati nel traffico. Ovviamente la chiamate per avvisarla, ma prima che riusciate a dire pronto lei vi precede con grazia: “Te dai ’na mossa che me sta a venì l’herpes?”.
Non c’è bisogno di dire che questo teatrino è divertentissimo le prime volte in cui vai a Roma. L’effetto è quello di un film di Sordi – Verdone se sei più giovane – e c’è sempre un momento, più o meno breve a seconda dei casi, in cui il romanesco ti sembra la lingua più bella del mondo, al punto di volerla quasi fare tua.
Solo dopo mesi di ininterrotta romanitudine ti accorgi fino a che punto il romanesco ti stia alle costole. Lo sapevi anche prima, ma ora ne hai la certezza: non ce n’è uno che non lo bazzichi, dal presentatore televisivo alla maestra elementare. Ti si appiccica addosso da tutte le parti, non ti molla un attimo, non c’è tregua.

Poi un giorno soccombi.
E dici: “Ahó”.
La tua prima parola in romanesco.
Ed è a quel punto che capisci che il romano di Roma è sadico. Fino al secondo prima ti ha infarcito del suo idioma in tutte le salse e in tutte le cotture, ora ti dice: “Sta’ zitto, non imitamme che ’n sei bbòno, me fai venì i bbrividi”. E tu ti ritrovi come i poveri pirla di cui sopra. Non più italiano, non ancora romano. Una tristezza infinita.
A Milano
Se gli chiedi di parlare in milanese l’abitante medio di Milano ci pensa su un attimo, poi attinge alle sue fonti – da Pozzetto al signor Zampetti – e ne cava una specie di parodia. Questo perché a Milano, l’abbiamo già detto all’inizio, ci sono pochissimi milanesi: anche i nostri amati vecchi, depositari della lingua e dell’accento originari, si fanno vedere sempre più di rado, chiusi dentro le loro osterie, i loro bar tabacchi e le loro bocciofile.
Certo, c’è il gergo dei ggiovani bauscia – uè, bella zio e tutto il circondario. Non così diffuso, per nostra fortuna. In compenso, se un turista chiede un’informazione a Milano, il cinquanta per cento degli abitanti sa rispondergli in inglese. Fate anche il sessanta se parliamo di giovani. No, così.
Motivo 2
È meno accanita
B come Bus per Colli Albani (409)
Stazione Tiburtina. Sei appena sceso dal treno e devi andare verso il Pigneto. Ti indirizzano verso il bus 409, che arriva in quel momento. È il capolinea, quindi non c’è ancora nessuno a bordo. Sali fiducioso. Vieni istantaneamente travolto dall’equivalente umano di una mandria di rinoceronti. Un minuto dopo siete accatastati come chip di polistirolo in una scatola. Ovviamente le porte del bus non si chiudono, ma ecco che da lontano giunge baldanzosa una vigilessa. Dall’alto del suo metro e sessanta di altezza e forse cinquanta chili di peso annuncia: “Signori, si scende” e inizia a tirar giù gente per la collottola. Il bus si riempie di cori da stadio.

Motivo 2
Mentre ci vivevo ho avuto come la sensazione che Roma fosse un tantinello aggressiva. Non so dire dovuta esattamente a cosa. Dev’essere iniziata il secondo giorno che ero lì, quando la mia coinquilina è tornata a casa smadonnando perché le avevano rigato la macchina. Però si è consolata in fretta: “Domani je faccio ’a posta e je ’a rigo io”. Eccoci.
Questa cosa che Roma non è proprio rilassatissima la capisci subito quando ci arrivi. Se non hai fianchi e ti vesti carina ti guardano storto (dentro ’a bbótte piccola ce sta l’aceto). Se dici “per favore” e sorridi molto è indubbio che t’a stai a cercà. Se non fumi e non hai una macchina è come fossi nata femmina a Sparta. Deboluccia, pure. So’ cazzi tua.
E lo sono davvero, tenerezza mia. Amari, anche. Perché il romano medio si sveglia la mattina e sta già a rosicà. Ci ho impiegato un po’ di tempo, lo ammetto, a capire questa cosa del rosicare. D’altra parte neanche loro capivano come fosse possibile che io non rosicassi. Ricordo che il mio fidanzato di allora mi presentava agli amici dicendo: “Lei è serena”. Così, tanto per vedere la reazione.
Rosicare, per il romano, è uno stile di vita. È un karma antico, riconducibile forse a Remo. Sapete, no? La lotta per la fondazione della città, il fratricidio e compagnia bella. Ci nascono, i romani, con l’idea di aver subito un torto. E affilano le unghie. Occhio per occhio, dente per dente.
A questo proposito. Forse non tutti conoscono le origini della cosiddetta legge del taglione. Risalgono alla Bibbia, Antico Testamento nello specifico: “Pagherai vita per vita, occhio per occhio...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Perché Milano è meglio di Roma
- Introduzione - Arrivederci Roma
- Motivo 1 - È più educata (a livello verbale)
- Motivo 2 - È meno accanita
- Motivo 3 - È più elegante
- Motivo 4 - Non perde il tuo tempo
- Motivo 5 - Le importa di più
- Motivo 6 - È meno invadente
- Motivo 7 - È più fresca d’estate
- Motivo 8 - È più esterofila
- Motivo 9 - È meno coatta
- Motivo 10 - Si gira meglio 1 (viabilità cittadina)
- Motivo 11 - Si gira meglio 2 (tangenziali)
- Motivo 12 - Si gira meglio 3 (metropolitana)
- Motivo 13 - Ama con più senso
- Motivo 14 - È meno dispersiva
- Motivo 15 - Lavorarci non è un incubo
- Motivo 16 - È più meritocratica
- Motivo 17 - Non è così stronza
- Motivo 18 - Non ti si impone
- Motivo 19 - Si tiene meglio
- Motivo 20 - Ha più senso civico
- Motivo 21 - È più tollerante
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