Il dolore si fa gioia
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Il dolore si fa gioia

San Pio e Natuzza - due vite un messaggio

  1. 636 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il dolore si fa gioia

San Pio e Natuzza - due vite un messaggio

Informazioni su questo libro

"Possiamo credere o non credere, ma con Natuzza e Padre Pio ci troviamo davanti a un mistero di grande fascino, capace di dare pace e serenità a chiunque. Non c'è stato nessuno c
he, dopo aver incontrato l'uno o l'altra, sia rimasto come prima." LUIGI RENZO
Vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea È sorprendente scoprire quanti punti in comune ci siano tra i due grandi mistici Padre Pio e Natuzza Evolo. Due persone umili che cercano Dio non nei discorsi dei filosofi ma nella propria esperienza di vita, d'amore e di sofferenza, nel proprio modo di "portare la Croce". Pio e Natuzza sono stati perseguitati dalla Chiesa, accusati di pazzia, e ad entrambi è stato poi riconosciuto il dono della bilocazione e quello di comunicare con l'aldilà e con gli angeli.
Luciano Regolo, già autore di libri di grande successo su Natuzza, compie un appassionante confronto tra queste due grandi personalità: una straordinaria ricerca arricchita da testimonianze inedite raccolte da lui stesso che rendono ancora più emozionante e viva la lettura.
Le coincidenze che emergono sono talmente tante che lasciano supporre che Padre Pio e Natuzza siano stati inviati sulla terra per portare lo stesso messaggio: se accetti la sofferenza in nome di Dio, il Paradiso scende sulla terra, e puoi provare la vera gioia.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
Print ISBN
9788804628439
eBook ISBN
9788852037894

1

Scelti e mandati dal Cielo

La similitudine, il percorso comune tra san Pio e Natuzza parte dai luoghi in cui sono venuti al mondo. Due piccoli centri rurali del Sud: Pietrelcina, il cui nome deriva da “Pietra Pucina” (“piccola pietra”), e Paravati, che, secondo la tesi più accreditata, verrebbe dall’espressione greca parà bathùs (“vicino al profondo, al burrone”). Curiosamente, sia la pietra sia il burrone sono termini associabili a insegnamenti ed episodi evangelici d’intenso significato. L’apostolo Pietro spiega:
Egli [Gesù] è la pietra che è stata da voi edificatori sprezzata, ed è divenuta la pietra angolare. E in nessun altro è la salvezza. (At 4,10-12)
Allo stesso discepolo il Cristo aveva detto: “Tu sei Pietro e su questa Pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,14-18). Mentre Luca ha scritto riguardo a san Giovanni Battista:
Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: “Voce di uno che grida nel deserto/ Preparate la via del Signore / raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sia riempito/ ogni monte e ogni colle sia abbassato/ i passi tortuosi siano diritti / i luoghi impervi spianati. / Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!”. (Lc 3,1-6)
Se parole e luoghi rievocano un disegno celeste, si tratta, quindi, di un disegno di salvezza, strettamente legato, nell’ottica cristiana, all’amore che ha spinto Gesù a farsi uomo, a vivere e morire per noi. Pietrelcina e Paravati, inoltre, sono due paesi dove tuttora trionfa la natura e dove, nel passato, la vita nei campi scandiva le giornate della maggior parte delle famiglie.
La prima infanzia di Francesco Forgione e Natuzza Evolo scorre nell’umiltà e nella contemplazione silenziosa della bellezza della natura, con il suo imperscrutabile equilibrio, le sue dinamiche inarrestabili, le sue fioriture e i suoi raccolti, forieri di una gioia contagiosa, percepiti da sempre come un dono di Dio. Tutto ciò che la città, con i suoi nevrotici automatismi quotidiani, impedisce di cogliere, riemerge prepotente e incantatore nella campagna, spingendo a cercare tracce del divino in ogni creatura, in ogni piccola pianta che cresce e germoglia. Non è certo un caso se, nelle parabole evangeliche, ricorrono le similitudini con il lavoro dell’agricoltore. Gesù ha scelto un linguaggio e dei paragoni semplici per spiegare che, se non alimentiamo con trasporto la relazione con il prossimo e con il mondo, non riusciremo a nutrire la nostra fede e il nostro rapporto con Lui.
Pio e Natuzza, testimoni di fede del nostro tempo, ci richiamano a questo insegnamento fin dal loro avvento sulla Terra. Il nostro è un tempo dove la percezione dell’altro, dei suoi bisogni e dei suoi sentimenti, complici videogame e social network che “virtualizzano” ed estraniano le esistenze, si affievolisce sempre di più. In un contesto come questo, l’avvicinarsi alla natura può essere un modo per riscoprire il valore della creazione e trovare il credo più autentico.
L’intuizione della natura quale via di accesso alla fede è stata indicata con chiarezza da sant’Agostino che, nelle Confessioni, parla della “creazione visibile”, la quale, manifestando la propria bellezza e perfezione, esprime la propria dipendenza dal Creatore e spinge a intraprendere un cammino volto ad accogliere la rivelazione divina e ad accedere al mistero di Dio. Un altro grande santo, san Francesco d’Assisi, fu il primo a intessere un rapporto del tutto nuovo e vivificatore della fede con il Creato: in sintonia profonda con tutte le creature, fraternizzando con esse. Il santo di Assisi non è stato solo un uomo di lode e contemplazione, che sfuggiva alle realtà materiali con le sue estasi: l’amore profondo per Dio e per la natura lo faceva sentire piuttosto parte di Lui e del mondo intero. Questo stesso amore spontaneo e partecipe troviamo sia in Padre Pio sia in Natuzza fin dalla tenera età. Le loro prime preghiere, i loro primi contatti col trascendente avvengono nell’umile campagna, dove tuttavia si percepisce d’istinto la grandezza divina.
Curando il piccolo gregge di famiglia, di appena cinque pecorelle, il santo, da bambino, si appartava spesso dai coetanei che lo vedevano, in un angolo del podere dei Forgione, a Piana Romana, raccolto in preghiera e con gli occhi bassi, la corona del Rosario sempre nella mano destra.1 La strada da lui percorsa in quegli anni per raggiungere il terreno dove l’attendevano i genitori, Grazio e Beppa, intenti al lavoro nei campi, attraverso il rione Pantaniello e le verdi, ondeggianti colline di Pietrelcina, oggi è chiamata “via del Rosario” ed è un itinerario di devozione proposto ai pellegrini.
Nella quiete ombrosa di Piana Romana, dove Padre Pio, davanti a un olmo, riceverà le stigmate, tuttora si conservano quei macigni che lui chiamava “il Seggiolone”. Seduto lì sopra, in continuità, negli anni, assaporava la pace del posto ed elevava la sua grata preghiera al “Creatore di tutte le cose visibili e invisibili”, unendo il canto interiore della sua anima a quello festoso degli uccelli in cielo o nei nidi sugli alberi del boschetto. Da ragazzino descrisse lui stesso, in un componimento scolastico, quanto la bellezza della campagna gli facesse sentire gioiosamente la grandezza e la generosità di Dio:
Tutti i contadini erano sparsi per le campagne ed anche i pastori uscivano con i loro greggi. Gli usignoli pianamente entro le macchie cinguettavano. Qua si sentivano belar pecore, là si vedevano saltellare agnelletti. Tutto il Creato era lietissimo...2
Anche Natuzza, nel 1938, riceverà i primi segni visibili della sua partecipazione alla Passione del Cristo nel podere dei Colloca, la famiglia di Mileto presso la quale prestava servizio come domestica da ragazzina: i piedi le cominciarono a sanguinare inspiegabilmente, sotto gli occhi attoniti3 di donna Alba, la “padrona”, e di Concetta Cicchello, l’anziana cameriera. E al pari del frate di Pietrelcina, l’infanzia della Evolo fu scandita dalla vita agreste poiché i nonni materni, Antonino Valente e Giuseppina Rettura, la portavano spesso con loro nei campi. Se, con gli anni, Francesco-Pio, complici gli studi per il sacerdozio, sostituirà ai pensieri fervidi ma semplici di bambino letture e riflessioni sacre seduto sul suo spuntone roccioso, Natuzza, invece, analfabeta, manterrà inalterata l’immediatezza di quel contatto col Sacro che le ispirava la natura.
Gli aghi di pino silani raccolti da terra davanti alla sua casetta di montagna la spingevano a chiedere a Gesù, per ciascuno di essi, un’anima salvata. E così i piselli, quando, provvedendo per il pranzo, doveva prepararli per la sua famiglia. Di questa curiosa devozione domestica, la mistica di Paravati parlò anche col Cristo in due apparizioni del 2003:
Mi sono ricordata che dovevo sbucciare i piselli. Li ho presi. C’era la presenza anche del diavolo che mi disturbava: mi cadeva la pentola, i piselli... Signore, per ogni chicco voglio un’anima salvata.4
Qualche giorno dopo, mentre Natuzza è intenta alla stessa mansione in cucina, rivede Gesù che le dice:
A me fa piacere che dici: “Ogni chicco un’anima in Paradiso”, mi dà gloria e gioia. Tu sei sicura che la sofferenza è un dono, quindi sei sicura che bene o male il Paradiso te lo guadagni. [...] Le sofferenze sono un dono e quando faccio un dono faccio pure una ricompensa.
Corollario del particolare rapporto con la natura come dono di Dio è, sia per Natuzza sia per san Pio, l’amore tenero per gli animali, frutto della consapevolezza che anch’essi contengono un “soffio divino”. Il piccolo Francesco Forgione partecipava di rado alla caccia dei nidi dei passeri coi coetanei, ma rifiutava sempre di sottrarli dall’albero: per lui erano inviolabili. E lo stesso, devoto rispetto manifestava per le lumache, quando si trattava di ripulirne i gusci dall’“inquilino” per ricavarne dei lumini a olio da mettere nel presepe. Un manoscritto degli anni Venti del XX secolo, portato a galla da Renzo Allegri, documenta inoltre un insolito episodio accaduto nel convento di San Giovanni Rotondo. Nelle ore di svago, a volte Padre Pio partecipava a delle partite a bocce nell’orto del monastero. Un giorno, mentre stava tirando una boccia, un gatto attraversò il piccolo spazio. Gli altri presero a gridare per cacciarlo e il micio, spaventato, imboccò proprio la traiettoria della boccia, già lanciata da Padre Pio. L’impatto sembrava inevitabile e la vita del micio in estremo pericolo. Ma ecco accadere qualcosa di misterioso: la boccia si fermò incredibilmente in aria e poi cadde di lato. Il gatto era salvo e il frate sorrise, beato.5
Sempre al convento di San Giovanni Rotondo, per un certo periodo, fu ospite un cane lupo, piuttosto aggressivo e temibile, tanto da spaventare ogni ospite. Durante il giorno era incatenato, veniva liberato solo alla sera, quando non c’erano più visitatori. Ebbene: ogni notte, immancabilmente, appena svincolato, il cane saliva di corsa al primo piano e andava a “grattare” con la zampa alla porta della cella di Padre Pio. Se ne andava solo dopo che il frate lo aveva accarezzato.
Analoghi segni di questa prodigiosa armonia con il Creato costellano la vita di Natuzza. Nel 2005, da uno dei suoi dialoghi celesti con Gesù riaffiora un singolare dettaglio che lei aveva sempre taciuto. Il Signore infatti le appare dicendole: “Amore mio, perché piangi? Ti ricordi quando hai accarezzato un passerotto morto ed è ritornato in vita? [...] Tu fai rinascere le persone morte nel profondo, dal peccato...”.6
Dettando queste parole per la trascrizione del colloquio, la mistica fu costretta ad ammettere che aveva avuto così la conferma di uno strano episodio accadutole quand’era bambina e, in campagna, avendo trovato un passerotto a terra che non dava più segni di vita, si era commossa fino alle lacrime e l’aveva preso con tenerezza tra le sue mani. Ma, improvvisamente, il passerotto aveva spiccato il volo, allegro e pieno di vita, proprio come lei aveva desiderato di vederlo...
Italia Giampà e altri figli spirituali che furono accanto alla Evolo nel 1956, quando era in attesa del suo quinto e ultimo figlio, Francesco Nicolace, poterono assistere con i loro occhi agli strani comportamenti di una capretta che era stata donata alla mistica perché ne desse il latte ai suoi bambini. Quando la sua gravidanza fu avanzata, la bestiola, perché Natuzza non facesse fatica a mungerla, un giorno prese l’abitudine di saltare su un tavolinetto, mettendosi in posizione, dopo aver lanciato a Natuzza uno sguardo dolcissimo. Un’altra volta, mentre la Evolo e un gruppetto di persone recitavano il Rosario, la capretta, grattando il terreno con la zampa, compose la scritta “Ave Maria”.7 Tutti restarono di sasso, ma lei continuava a muoversi rapida e a belare contenta, come se la preghiera le mettesse allegria.
Un episodio, quest’ultimo, che presenta alcune analogie con quello raccontato dalle sorelle Ventrella sugli incontri di formazione che Padre Pio tenne a volte a casa loro, dove c’era un “canarino che appena vedeva quelle persone riunite si metteva a cantare in modo insolito, quasi volesse partecipare alla loro gioia spirituale. E cantava, cantava, tanto da disturbare lo svolgimento della conferenza”. Così, un giorno Padre Pio disse: “Oggi gli darò l’obbedienza di non aprire il becco”. E lo fece davvero prima di iniziare a parlare. L’uccellino tacque istantaneamente: “Saliva e scendeva, andava di qua e di là, senza avere tregua, dentro la sua gabbietta, ma di canto neanche un accenn...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il dolore si fa gioia
  3. Dello stesso autore
  4. Prefazione di monsignor Luigi Renzo
  5. IL DOLORE SI FA GIOIA
  6. 1. Scelti e mandati dal Cielo
  7. 2. Messaggeri d’amore tra due mondi
  8. 3. “Beati i perseguitati”: padre Gemelli e altre mortificazioni in seno alla Chiesa
  9. 4. Quel filo segreto con la Madonna di Fatima
  10. 5. Perdutamente innamorati del Cristo
  11. 6. “In missione” con gli angeli
  12. 7. In guerra contro Satana
  13. 8. Stigmate ed emografie: il mistero del sangue ci parla
  14. 9. Profumi dal Paradiso, viaggi in spirito e lettura dei cuori
  15. 10. Guarigioni impossibili, nel corpo e nello spirito
  16. 11. Prodigi sulla natura ed enigmi clinici
  17. 12. L’incontro a San Giovanni Rotondo e i tanti, oltre il tempo e lo spazio
  18. 13. Padre e madre di un’immensa famiglia
  19. 14. Testimoni di fede e di gioia. Per sempre...
  20. INSERTO FOTOGRAFICO
  21. Copyright