Antonio Moresco
PARTENZA
10 maggio. Sono all’aeroporto di Linate con Laura, che ha deciso di partire lo stesso, anche se ha il menisco lesionato e proprio oggi le avevano fissato la data per l’operazione al ginocchio.
Non ho preparato bene lo zaino, è troppo pesante, tanto più che non c’è la macchina di supporto e dovrò portarmelo a spalla sull’Aspromonte.
Arriva Marina, una nuova camminatrice che non conoscevo. Arriva anche Irene, vestita da Miami Beach o come l’ultimo Elvis, con le zeppe ai piedi.
«Ma vieni a camminare così?» le domando ridendo.
«Vedrai, vedrai...» mi risponde. «Tu non mi conosci!»
Adesso siamo in volo.
Prima di atterrare a Reggio Calabria vediamo dall’alto il cono dell’Etna avvolto in una nube di fumo.
Per stanotte non abbiamo un posto dove dormire. Riusciamo a procurarci una stanza che costa poco, dove dormiremo insieme.
Andiamo a mangiare qualche trancio di pizza. Poi camminiamo per molto sul lungomare di Reggio, con le sue immense piante di ficus dalle radici monumentali. Laura e Marina – che non si conoscevano fino a poche ore fa – parlano tra di loro delle rispettive esperienze di cammino. Poi, rapidamente, in poche parole che sono per loro sufficienti a intendersi, della loro situazione personale: due figli, tre figli... Nient’altro. C’è, in questi anni, una silenziosa potenza femminile in movimento. Non è un caso che anche quest’anno, come l’anno scorso per il cammino da Milano a Napoli, la maggioranza dei camminatori sia costituita da camminatrici. Non è un caso che siano soprattutto le donne ad affrontare l’avventura del cammino.
11 maggio. Siamo a Messina, per afferrare almeno un lembo della Sicilia.
C’è anche Fabiola, che è responsabile insieme a Laura del braccio Sud Ovest della Stella. L’abbiamo incontrata durante il cammino dell’anno scorso. Lavora nelle ferrovie, è una persona forte, tenace, che ha svolto un gran lavoro di preparazione e ha messo a punto le tappe e gli incontri di questo braccio.
Di fronte al Municipio ci aspettano due messinesi, Dario Tomasello e Tonino Cafeo, professore all’Università di Messina e giornalista. C’è anche Graziella, aquilana, con il marito Michele. Hanno deciso di farsi il braccio più lungo della Stella, quello calabrese, e di arrivare a piedi nella loro città distrutta.
Breve incontro nel Municipio. Foto di gruppo.
Partenza.
Camminando verso l’imbarco per riattraversare lo Stretto (perché ancora non abbiamo imparato a camminare sulle acque) Tonino Cafeo mi parla dei movimenti separatisti che stanno fermentando in Sicilia in questo momento di crisi economica e di generale incertezza, del Movimento dei Forconi, di chi c’è dietro, agricoltori e altri che magari fino a ieri intascavano i contributi europei, anche mafiosi...
Nel pomeriggio incontro e conferenza nel Municipio di Reggio Calabria. È presente anche il CAI di Reggio, Legambiente. A un certo punto arriva anche Pierluigi Imperiale dall’Aquila. Ci consegna un bastone della transumanza, vecchio di cinquant’anni, che porteremo per tutto il cammino e che gli riconsegneremo all’arrivo. È molto sottile, ho paura che si possa spezzare. «Non ti preoccupare!» mi dice. «È un legno duro come l’acciaio!» Ha una strana impugnatura a becco. Mi spiega che serve per afferrare le pecore per le gambe e tirarle a sé, per abbassare i rami dei fichi e per mille altre cose. Pendono da sotto l’impugnatura due nastri, uno nero, l’altro verde, i colori dell’Aquila: nero per il lutto, verde per la speranza. Alla fine dell’incontro, davanti al Municipio, non so perché io e lui ci mettiamo a parlare di Cervantes. Mi dice che sarà in Spagna, il giorno del compleanno di Cervantes, nella sua casa. Io gli dico che, se dovessi scegliere un libro solo tra tutti quelli che sono stati finora scritti durante l’intera vita della nostra specie, sceglierei Don Chisciotte. Lui mi risponde di sì, che però ci sono anche l’Iliade, Moby Dick, I fratelli Karamazov. Accidenti, se invece di uno avessi dovuto sceglierne quattro avrei scelto esattamente gli stessi!
Notte in una costruzione sequestrata alla ’ndrangheta, appena fuori Reggio, che raggiungiamo con un trenino. Incontro con i ragazzi dell’associazione Attendiamoci, che la gestisce. Durante la notte tutti noi che ci spostiamo da una stanza all’altra nel buio, per sfuggire alle voraci zanzare.
Ma, prima di andare a dormire, di nuovo a Reggio con il trenino per raggiungere la sede del CAI, dove ci aspettano e c’è una piccola festa per noi e una tavolata ricoperta di salame piccante, capocollo, formaggi, olive e tante altre cose. Discorsi. Firme sulle magliette di Stella d’Italia. Un CAI che non si occupa solo dei sentieri di montagna chiudendo gli occhi su tutto ciò che ci sta intorno. Molti dei presenti cammineranno con noi nella prima tappa che ci porterà sull’Aspromonte, e alcuni anche nella seconda in quota.
12 maggio. Partenza da Reggio. Attraversiamo per una decina di chilometri la città, anche un quartiere di 20.000 abitanti ad alta densità mafiosa. Camminando, conversazioni con Saverio Settimio del CAI, con altri amici di Legambiente, della Cartiera, un’associazione che svolge un gran lavoro nei paesi vicino a Reggio. Saverio è anche di sangue egiziano, ha il diabete da quando era ragazzo, ma è un camminatore formidabile. Gli chiedo come si dice Stella d’Italia in arabo.
La Conca d’oro. Chilometri e chilometri di distese di agrumeti con le arance ancora sugli alberi oppure cadute a terra, perché gli agricoltori non possono pagare la mano d’opera per raccoglierli, vista la miseria che offrono loro i grossisti per ogni chilo. Anche con la Fanta, che gliene comperava un po’ per quella scarsissima percentuale di arancia che la bibita contiene, quest’anno ci sono stati problemi. Uno spettacolo sconvolgente e irreale, per chi paga al supermercato di Milano più di un euro e mezzo al chilo per arance molto meno buone di queste, con poco sapore, stoppose. Ne raccogliamo dagli alberi, lungo la strada. Non ho mai mangiato arance così buone e così profumate.
Dopo una breve sosta in grandi strutture fortificate arriviamo a Villa San Giuseppe. Il sindaco appena eletto e il vicesindaco ci aspettano all’ingresso del paese. Andiamo a mangiare in uno spiazzo d’erba vicino a una necropoli preistorica appena scoperta, su cocuzzoli che ricordano l’Anatolia, dove in buche scavate nella roccia friabile piena di piccole conchiglie seppellivano i morti in posizione fetale. Mangiamo i panini preparati dal CAI e quello che ha portato Paola, che ci segue con lo zaino pieno di cose buone cucinate per noi. E poi ci sono Marcello, che ci porta la marmellata d’arance, Mimmo della Cartiera, che ha una grande passione per la storia e ci fa conoscere molte cose, Francesca che insegna all’Università di Reggio, molti altri.
Riprendiamo il cammino in mezzo alle montagne. Ci spostiamo attraverso sentieri invasi da esplosioni vegetali e su piccole strade bianche. Non c’è nessun altro in giro. A un certo punto si sentono degli spari secchi, cadenzati, sempre più vicini, in questo enorme silenzio. Un camminatore mi spiega che c’è un campione olimpionico di tiro al piattello – così almeno mi sembra di capire – che si allena tutti i giorni, da solo, in un punto vicino a dove stiamo passando. Spara in continuazione, per tutto il giorno, dalla mattina alla sera, in mezzo al silenzio di queste montagne.
Arrivo a Sant’Alessio in Aspromonte. Incontro con il sindaco e altri della giunta all’interno di un vecchio frantoio. Discorsi, foto di gruppo, una birra in un piccolo bar pieno di fotografie di com’era il paese cinquant’anni prima, settant’anni prima, dei volti dei suoi abitanti, delle donne, dei ragazzi, dei vecchi. C’è anche, incorniciato, un volantino con le prestazioni e le tariffe di un casino. Poi una pizza in un locale di questo paese mai visto prima e che nessuno di noi probabilmente vedrà mai più, tutti intorno alla stessa tavolata.
C’è stanchezza, ma c’è anche qualcosa d’altro.
Notte sul pavimento di una canonica.
13 maggio. La mattina dopo a Gambarie. Ci aspetta Antonio, guida dell’Aspromonte, che ci accompagnerà per un paio di tappe.
Prima di partire, una tarantella scatenata in uno spiazzo, con tre suonatori. Saverio dà il via. Molti altri camminatori e camminatrici si buttano. Anche questa sarà una tappa dura, attraverso boschi, ripide salite e discese, con il pesante zaino in spalla. Antonio sbaglia strada in un bosco, dobbiamo fare una buona mezz’ora in più di cammino, forse anche un’ora, arrancando su per salite dure o aggrappandoci ad alberi e arbusti nelle forti discese, per non venire scaraventati in giù dal peso dello zaino. «Avete visto cos’ha combinato la migliore guida dell’Aspromonte?» ci scherza sopra. «Ma era tutto calcolato, che cosa credete! Così non vi dimenticherete mai più dell’Aspromonte.»
Raggiungiamo il punto dove è stato ferito Garibaldi, a una gamba, come si sa, l’albero sotto il quale è stato fotografato. A questo punto Antonio esplode in una filippica contro Garibaldi, che è arrivato qui solo perché gli avevano riferito che sua moglie gli faceva le corna, che poteva invece starsene a casa sua, che ha rovinato i calabresi, che quello delle Due Sicilie era il terzo impero, che noi e loro, quelli del Nord e quelli del Sud, siamo due popoli diversi e inconciliabili, eccetera, eccetera.
Ci rimettiamo in cammino. Attraversiamo a piedi nudi una fiumara, poco prima di un salto, sulle pietre aguzze e viscide, tra i mulinelli, con i pesanti zaini in spalla. Poi ancora un’altra. Non ho mai sentito un’acqua così gelida, neanche quella volta che mi sono gettato nell’Oceano, in Portogallo, e l’acqua era così fredda che sembrava ghiaccio. Ma questa è ancora più gelida, così gelida che all’inizio non riesco a muovermi tanto mi fanno male i piedi.
Ancora molte ore di cammino nei boschi dell’Aspromonte. Un ragazzo che cammina con noi conosce tutti i versi degli uccelli, riconosce i tipi di rapaci anche quando sono solo un puntino nero nel cielo, sa persino se sono maschi o femmine. Incontriamo lungo i sentieri gli interminabili nastri delle processionarie, molti nidi predati. Sono pieni di muschi, di piume. Antonio li raccoglie, li apre. Tira fuori a una a una le piume che ci sono dentro, ci dice il nome di ciascun tipo di uccello a cui appartengono, sa il punto esatto dove i volatili che preparavano il nido sono andati a raccoglierle.
Riprendiamo il cammino. Qualcuno racconta di avere incontrato lungo un sentiero un rospo che stava per essere interamente inghiottito da un serpente. Ha tirato una bastonata al serpente. Il serpente è scappato. Il rospo si è salvato. Era enorme, perché si era gonfiato come un pallone per cercare di non farsi inghiottire. Saltellava via malconcio, con i segni dei denti del serpente sul corpo. Antonio ci parla degli animali presenti sull’Aspromonte: lupi, cinghiali, caprioli, rapaci... I lupi gli hanno sbranato un cane e una pecora, su al rifugio dove vive.
Improvvisamente si ferma.
«Sua maestà il lupo!» ci dice mostrandoci le sue inconfondibili impronte lungo il sentiero.
Arriviamo finalmente al suo rifugio, stanchi, affamati. E allora quello stesso uomo che ci aveva detto che siamo due popoli diversi e inconciliabili che non possono vivere insieme e capirsi, invece di portarci nel posto previsto, dove avremmo dovuto dormire sul pavimento, ci ospita nei letti del suo rifugio, ci invita a usare le sue docce, ci accende un bel fuoco nel camino, dice a sua moglie di prepararci una lauta cena...
Ci sono tutt’intorno delle grandi vacche che pascolano. All’arrivo ci è venuto incontro un cane bianco grande come un orso polare. Il figlio di Antonio, Salvatore, sta accendendo il fuoco del camino. Ci sono altri due ospiti, un ragazzo toscano che si occupa di lupi e che ci descrive la loro vita, le abitudini, il suo incontro ravvicinato con loro. Io gli racconto un fatto che mi è stato riferito da un amico. Questo amico aveva un cane molto aggressivo e audace, un fox terrier che doveva sempre tenere a freno durante gli incontri con altri cani anche molto più grandi di lui. Un giorno lo ha portato nel giardino dove erano soliti andare e qui ha incontrato un vecchio cane spelacchiato, malconcio, che si reggeva appena in piedi. Con suo enorme stupore, appena lo ha visto, il suo cane si è messo a tremare come una foglia, si è accucciato, guaiva, dava segni continui di sottomissione. L’amico si è stupito enormemente che un simile relitto di cane avesse potuto provocare quelle reazioni nel suo, che non si arrendeva mai. E così ha chiesto al padrone dell’altro cane: «Che razza di cane è?». E quello gli ha risposto, a bassa voce per non farsi sentire dalle persone vicine: «Questo non è un cane, è un lupo».
«È possibile questo?» chiedo al ragazzo esperto di lupi. «È possibile che un uomo possa girare con un vecchio lupo al guinzaglio in una grande città?»
«Non è impossibile!» mi ha risposto. «Succedono strane cose, strani incontri, tra gli uomini e gli animali... O forse poteva essere un incrocio, perché i lupi assalgono e sbranano i cani quando questi si frappongono tra loro e la preda, però certe volte si accoppiano con loro. E allora può darsi che il cane del tuo amico abbia immediatamente percepito la presenza del lupo in quel vecchio cane e che questo abbia determinato quella reazione.»
L’altro ospite si occupa di caprioli e di altri animali che si stanno alloggiando in Aspromonte, ma anche in altri boschi italiani. È friulano. Un uomo calmo, gentile. Ci fa vedere sul suo PC immagini carpite attraverso trappole fotografiche: un orso giovane comicamente seduto dopo essersi abbuffato di un’esca, un lupo di notte che se ne va tenendo in bocca un’intera coscia di capriolo...
Prima di cenare chiedo ad Antonio di farmi vedere i suoi cavalli. Usciamo. Li chiama per nome. Arrivano. Si sente il rumore lontano del loro trotto che fa tremare la terra. Sono tre meravigliosi cavalli che vivono liberi: uno nero, due pezzati, proprio come quelli dei pellerossa. Infatti sono cavalli fatti venire dall’America, mi dice.
Ci sediamo a mangiare. È una bella tavolata. La moglie di Antonio è nata ad Antibes da genitori calabresi emigrati, è una brava cuoca. Alla fine – siccome siamo due popoli diversi e inconciliabili – Antonio ci esorta ad assaggiare uno dopo l’altro un gran numero di liquori fatti da loro con le bacche raccolte sull’Aspromonte.
Andiamo a dormire.
Per tutta la notte diluvia.
14 maggio. Partenza col brutto tempo. Piove, c’è molto freddo. Piccoli screzi dovuti alla grande fatica. Davanti al rifugio ci sono il fuoristrada di Antonio e quello del friulano gentile, tutto ingombro di collari elettronici, computer, stampanti. Dopo una discussione, accettiamo per quest’unica volta di fare un piccolo trasporto in macchina, per rendere possibile la tappa in condizioni simili. Poi si riprende il cammino a piedi.
Siamo partiti da Reggio Calabria in tanti, adesso siamo in pochi, ma teniamo saldo il filo del cammino. È stato così anche l’anno scorso. Nei fine settimana in tanti, nei giorni f...