Chiunque tenti di trovare un fine in questa narrazione sarà perseguito dalla legge; chiunque tenti di trovare una morale sarà messo al bando; chiunque tenti di trovare una trama sarà passato per le armi.
PER ORDINE DELL’AUTORE
per G.G., L’UFFICIALE D’ORDINANZA
In questo libro si usano vari dialetti, e cioè: il dialetto negro del Missouri; la forma più stretta del dialetto di frontiera del Sud-Ovest; il normale dialetto di «Pike County» e infine quattro varianti modificate di quest’ultimo. Le sfumature tra l’uno e l’altro non sono state buttate lì a casaccio, né ho tirato a indovinare; esse sono state individuate con grande scrupolo e fedeltà grazie alla mia familiarità con queste diverse forme di linguaggio orale.
Faccio questa avvertenza per una semplice ragione: non vorrei che i lettori pensassero che i personaggi cercano di parlare tutti nello stesso modo senza riuscirci.
L’AUTORE
1
Voi non mi conoscete, a meno che avete letto un libro che si chiama Le avventure di Tom Sawyer, ma fa lo stesso. Quel libro è di Mark Twain, che ha detto la verità, il più delle volte. Un po’ di cose le ha pompate, ma il più delle volte ha detto la verità. Ma fa niente. Non ho fatto che incontrare gente che caccia balle, prima o poi, a parte zia Polly, o la vedova, o forse Mary. Zia Polly – sì, la zia Polly di Tom – e Mary e la vedova Douglas sono tutte in quel libro, che perlopiù è un libro vero, solo un po’ pompato, come dicevo prima.
Dunque il libro finisce così: io e Tom troviamo i soldi che i ladri hanno nascosto nella grotta e diventiamo ricchi. Ci toccano seimila dollari a cranio – tutti d’oro. Una pila di soldi da far paura. Be’, il giudice Thatcher se l’è presi, li ha messi in banca e ci dava un dollaro al giorno a cranio per tutto l’anno che manco sapevi cosa farci con un fracco di soldi così. La vedova Douglas m’ha adottato dicendo che voleva civilizzarmi, ma era dura vivere in quella casa se pensi che vita squallida, regolata e perbene faceva la vedova; e così quando proprio non ce l’ho fatta più, ho levato le tende. Mi sono messo gli stracci di prima e via di corsa nel barile dello zucchero,1 libero e contento. Ma Tom Sawyer m’ha scovato e m’ha detto che voleva metter su una banda di ladri e se tornavo dalla vedova e facevo il bravo potevo entrarci anch’io. Così sono tornato.
La vedova ha frignato un po’, ha detto che ero un agnellino smarrito e un sacco di altre cose ma mica per offendermi. M’ha rimesso i vestiti nuovi e io ero sempre sudato tanto mi sentivo impedito. Be’, poi è ricominciata la stessa solfa di sempre. Quando la cena era pronta, la vedova suonava un campanello e tu dovevi arrivare puntuale. Una volta a tavola non potevi metterti subito a mangiare ma dovevi aspettare finché la vedova abbassava la testa e borbottava qualcosa sulla roba da mangiare anche se proprio non c’era niente che non andava. Cioè, tranne che ogni cosa veniva cotta per conto suo. In un barile di avanzi, invece, è diverso: le cose vanno insieme e il sugo bagna tutto e così è più buono.
Dopo cena tirava fuori il libro e m’imparava di Mosè e dei giunchi e io non stavo più nella pelle perché volevo sapere tutto fino all’ultima virgola; ma poi s’è lasciata scappare che Mosè era morto da un pezzo e allora la storia non mi prendeva più perché a me dei morti non me ne frega un tubo.
Subito dopo m’è venuta voglia di fumare e ho chiesto il permesso alla vedova. Ma lei non me l’ha dato. Ha detto che era una cattiva abitudine e non faceva bene alla salute, dovevo sforzarmi di non farlo più. Certa gente ragiona così. Si fissano su una cosa quando non sanno un fico secco. Si scaldava tanto per Mosè, che non era manco suo parente e a cosa serviva non si sa visto che era già sotto terra, e poi mi faceva la predica a me per una cosa che in fondo non era un male. E poi lei sniffava tabacco, ma su quello niente da ridire, ovvio, perché era lei che lo faceva.
Sua sorella, Miss Watson, una zitella quattr’occhi tutta pelle e ossa che era appena venuta a vivere con lei, mi s’è fiondata addosso dicendo che voleva impararmi a leggere e a scrivere. Mi torchiava per un’ora o giù di lì e poi la vedova gli diceva di mollare un po’. Di più non reggevo. Poi per un’ora era una noia mortale e io friggevo. Miss Watson diceva: «Huckleberry, non mettere i piedi là sopra»; e subito dopo: «Non stare gobbo, Huckleberry, su bello dritto»; e poi ancora: «Huckleberry, non sbadigliare e non stirarti a quel modo, perché non ti comporti come si deve?». Poi s’è messa a raccontarmi del postaccio e io ho detto che volevo tanto andarci. Lei allora ha dato fuori di matto ma io non volevo dire niente di male. Volevo solo andare da qualche parte; volevo solo cambiare, mica fare il difficile. Ma lei ha detto che ero cattivo perché avevo detto quella cosa lì; lei no che non la diceva neanche per sogno una cosa così, voleva vivere in modo da andare nel bel posticino, lei. Be’, che vantaggio c’era a andare dove andava lei? Così ho deciso che lì non ci volevo finire. Ma non l’ho mica detto, se no mi mettevo nei guai e poi non serviva a un tubo.
Adesso che aveva cominciato non la finiva più di raccontarmi del bel posticino. Uno non doveva fare altro, diceva, che andarsene in giro tutto il giorno con un’arpa a cantare, per tutti i secoli dei secoli. Così non è che la cosa m’interessava granché. Ma non l’ho mica detto. Gli ho chiesto se pensava che ci andava anche Tom Sawyer; manco dipinto sul muro, ha detto lei. Io ero proprio contento perché volevo restare con lui.
Miss Watson continuava a rompere e io ero stufo marcio e mi sentivo sempre più solo. Dopo un po’ chiamano in casa i negri e attaccano a pregare, e poi vanno tutti a dormire. Io allora sono salito in camera mia con un pezzo di candela e l’ho messa sul tavolo. Poi mi sono seduto vicino alla finestra cercando di pensare a qualcosa di allegro, ma niente. Mi sentivo così solo che volevo soltanto morire. Le stelle brillavano e le foglie del bosco si lamentavano; poi ho sentito un gufo, lontano, che faceva uh-uh perché era morto qualcuno, e anche un succiacapre e un cane che piagnucolavano perché qualcuno stava per morire; il vento cercava di bisbigliarmi qualcosa ma io non capivo cosa e sentivo dei brividi freddi dappertutto. Poi, lontano nei boschi, ho sentito quel tipo di suono che fanno i fantasmi quando vogliono dirti qualcosa che hanno in mente ma non riescono a spiegarsi e così non possono starsene tranquilli nella fossa e devono andarsene in giro di notte a frignare. Mi sentivo così triste e avevo così tanta strizza che avevo proprio bisogno di un po’ di compagnia. Un attimo dopo un ragno mi s’è arrampicato sulla spalla, io gli ho dato un colpetto per buttarlo giù ma lui è finito nella fiamma della candela e prima ancora di avere il tempo di muovermi, quello era già bell’e che stecchito. Non c’era mica bisogno di dirmi che era un bruttissimo segno e che portava sfiga, così m’ha preso una strizza che per poco non ci resto secco. Mi sono alzato e ho girato in tondo tre volte facendomi ogni volta il segno della croce sul petto; poi ho legato una piccola ciocca di capelli con un filo per tenere lontane le streghe. Ma non mi sentivo mica tanto sicuro. Questa qui è una cosa che fai quando perdi il ferro di cavallo che hai trovato invece di inchiodarlo sopra alla porta, ma non avevo mai sentito dire che c’è un modo per tenere lontana la sfiga quando uccidi un ragno.
Mi sono seduto di nuovo tremando come una foglia e ho tirato fuori la pipa, perché adesso nella casa c’era un silenzio di tomba e così la vedova mica veniva a saperlo. Be’, dopo un bel po’ ho sentito l’orologio giù in paese che faceva bum-bum-bum, dodici botti e poi di nuovo silenzio, silenzio più che mai. Un attimo dopo, nel buio tra gli alberi ho sentito un ramo che si spezzava: c’era qualcosa che si muoveva. Sono rimasto fermo e ho teso l’orecchio. Riuscivo a sentire appena un miao-miao. Che bello! «Miao! miao!» ho detto io più piano che potevo, poi ho spento la candela e dalla finestra sono saltato giù sulla legnaia. Poi mi sono lasciato scivolare a terra, ho strisciato tra gli alberi e lì, poco ma sicuro, c’era Tom Sawyer che mi aspettava.
2
Ci siamo incamminati in punta di piedi per un sentiero tra gli alberi che portava in fondo al giardino della vedova, chinandoci di tanto in tanto per non sbattere la testa contro i rami. Passando vicino alla cucina ho inciampato in una radice e ho fatto rumore. Ci siamo accucciati e siamo rimasti immobili. Il negro grande e grosso di Miss Watson, di nome Jim, era seduto proprio davanti alla porta della cucina; lo vedevamo benissimo perché dietro di lui c’era la luce. Lui s’è alzato e ha allungato il collo per un minuto buono, tendendo gli orecchi. Poi ha detto: «Chi va là?».
Ha teso di nuovo gli orecchi, quindi s’è avvicinato in punta di piedi e s’è fermato proprio in mezzo a noi due: potevamo quasi toccarlo. Be’, i minuti passavano e non si sentiva volare una mosca, e intanto noi due eravamo lì appiccicati. A un certo punto ho sentito prurito a una caviglia ma non mi sono grattato; poi sento prurito a un orecchio, quindi alla schiena, proprio in mezzo alle spalle. Se non mi gratto, ho pensato, muoio. Da allora l’ho notato un sacco di altre volte. Se sei con gente perbene, o a un funerale, oppure cerchi di addormentarti quando non hai sonno – se sei da qualche parte dove non puoi grattarti, garantito che ti viene prurito in almeno un migliaio di posti. Un attimo dopo Jim fa: «Ehi, chi siete? Dove siete? Mi prenda un colpo se non ho sentito qualcosa. Be’, lo so io cosa faccio. Mi siedo qui con gli orecchi ben aperti finché non li sento di nuovo».
Così s’è seduto per terra tra me e Tom. Ha appoggiato la schiena contro un albero e ha allungato le gambe fin quasi a toccarmene una delle mie. Io ho cominciato a sentire prurito al naso. Prudeva così forte che mi sono venute le lacrime agli occhi. Però non me lo sono grattato. Poi ha cominciato a prudere dentro. Quindi il prurito s’è spostato sotto. Non sapevo più come fare a star fermo. Quello strazio sarà andato avanti sei o sette minuti però a me m’è sembrato un bel po’ di più. Ormai avevo prurito in undici posti diversi. Pensavo di non poter resistere un minuto di più ma ho stretto i denti per cercare almeno di provarci. Proprio in quel momento Jim ha cominciato a respirare pesante e poi a russare – e un attimo dopo m’erano passati tutti i miei mali.
Tom m’ha fatto un segno – una specie di verso con la bocca – e così ci siamo allontanati a quattro zampe. Dopo una decina di passi Tom m’ha detto sottovoce che voleva legare Jim all’albero, così, tanto per ridere, ma io ho detto di no: capace che si svegliava e si metteva a far casino così s’accorgevano che non ero in casa. Poi Tom ha detto che non aveva abbastanza candele e voleva intrufolarsi in cucina a prenderle. Io però non volevo. Jim magari si sveglia e ti viene dietro, ho detto. Ma Tom ha voluto rischiare; allora ci siamo infilati in cucina, abbiamo preso tre candele e Tom ha messo cinque cent sul tavolo per pagarle. Poi siamo usciti e io ero tutto sudato perché volevo scappare; Tom, però, non voleva saperne e è tornato a quattro zampe nel punto dove si trovava Jim per fargli qualche dispetto. Ho aspettato un’eternità, tutto era così calmo e desolato.
Non appena Tom è tornato, abbiamo preso il sentiero che girava intorno allo steccato del giardino e dopo un po’ ci siamo ritrovati sani e salvi in cima alla collina dall’altra parte della casa. Tom ha detto che aveva tolto il cappello a Jim e lo aveva appeso a un ramo proprio sopra di lui, e Jim s’era mosso appena ma non s’era svegliato. Dopo Jim ha raccontato che le streghe gli avevano fatto una fattura e quando lui era ormai in trance gli erano saltate in groppa e lo avevano portato in giro per tutto lo stato, poi lo avevano riportato sotto gli alberi e avevano appeso il cappello a un ramo sopra di lui per fargli vedere chi era stato. E la volta dopo che l’ha raccontata ha detto che l’avevano portato fino a New Orleans; e dopo ancora, ogni volta che la raccontava la faceva sempre più grossa, finché dopo un po’ ha cominciato a dire che gli avevano fatto fare il giro del mondo e lui alla fine era stanco morto e aveva la schiena che era una vescica sola. Jim era fierissimo della faccenda e ha cominciato a guardare gli altri negri dall’alto in basso. I negri del circondario facevano miglia e miglia a piedi per ascoltare Jim, che è diventato il negro più ammirato della zona. I negri forestieri se ne stavano a bocca aperta e lo squadravano da capo a piedi, manco era una delle sette meraviglie del mondo. I negri non fanno che parlare delle streghe e del buio quando siedono vicino al fuoco della cucina; ma non appena qualcuno cominciava a parlare e a raccontare, Jim saltava su e diceva: «Ma va là! Che ne sai tu delle streghe?» e così quel negro chiudeva il becco e se ne andava mogio con le pive nel sacco. Jim aveva sempre la moneta da cinque cent appesa al collo e raccontava a tutti che era un amuleto che il diavolo gli aveva dato con le sue mani dicendogli che con quello poteva guarire chi voleva e chiamare le streghe ogni volta che gli andava, bastava dire certe parole anche se, però, non ha mai detto quali erano. I negri arrivavano da ogni parte e davano a Jim tutto quello che avevano soltanto per vedere la moneta da cinque cent, ma non la toccavano perché l’aveva tenuta in mano il diavolo. Con tutte le arie che si dava per via che aveva visto il diavolo e le streghe gli erano saltate in groppa, come servo Jim ormai non valeva più un tubazzo.
Be’, quando io e Tom siamo arrivati in cima alla collina e abbiamo guardato giù verso il paese, abbiamo visto tremolare tre o quattro lucine, forse dove c’era gente malata; le stelle sopra di noi brillavano belle come mai e, giù vicino al paese, c’era il fiume, largo più di un miglio, incredibilmente calmo e grande. Siamo scesi giù per la collina e, nascosti nella vecchia conceria, abbiamo trovato Jo Harper, Ben Rogers e altri due o tre ragazzi. Allora abbiamo slegato una barca, siamo scesi lungo il fiume per due miglia e mezzo, fino alla grande balza sul fianco della collina, e siamo tornati a riva.
All’altezza di un gruppo di cespugli Tom ha fatto giurare a tutti di mantenere il segreto e poi ci ha fatto vedere un buco nella collina, proprio dove i cespugli erano più fitti. Poi abbiamo acceso le candele e siamo andati avanti a quattro zampe. Dopo duecento metri circa siamo arrivati a uno slargo. Tom s’è messo a cercare l’entrata e un attimo dopo s’è infilato sotto la parete della roccia dove nessuno poteva accorgersi che c’era un buco. Attraverso un passaggio stretto siamo entrati in una specie di stanza umida e fredda e piena di goccioline e ci siamo fermati. Tom fa: «Adesso fondiamo una banda di briganti e la chiamiamo “la banda di Tom Sawyer”. Chi vuole entrarci deve fare giuramento e scrivere il suo nome col sangue».
Volevano entrarci tutti. Allora Tom ha tirato fuori un foglio di carta dove aveva scritto il giuramento e l’ha letto. Diceva che ogni ragazzo doveva giurare fedeltà alla banda e non rivelare mai nessuno dei suoi segreti, e se qualcuno faceva qualcosa a un membro della banda, il ragazzo che riceveva l’ordine di uccidere quella persona e la sua famiglia doveva farlo per forza, e non doveva mangiare né dormire finché non li aveva ammazzati e non gli aveva fatto una croce sul petto, che era il segno della banda. Chi invece non faceva parte della banda non poteva usare quel segno; se lo faceva doveva essere processato e se lo faceva un’altra volta doveva essere ammazzato. E se qualcuno della banda rivelava i suoi segreti, bisognava tagliargli la gola, bruciare il cadavere e sparpagliare le ceneri tutt’intorno; e poi bis...