I cercatori di conchiglie
eBook - ePub

I cercatori di conchiglie

  1. 770 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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I cercatori di conchiglie

Informazioni su questo libro

Sullo sfondo della Seconda guerra mondiale, la vita di Penelope Keeling, eccezionale figura femminile, serena e fiduciosa: i suoi entusiasmi, le sue amarezze, le sue emozioni.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804331186
eBook ISBN
9788852040023

Richard

Quando venne l’estate del 1943, Penelope Keeling, come la maggior parte della gente, aveva la sensazione che la guerra dovesse durare in eterno, di più, che sarebbe continuata per sempre. La vita aveva il ritmo monotono della noia più assoluta – scarsità di viveri, di merci di ogni genere, e oscuramento –, ravvivata da occasionali lampi di orrore, o paura o ferme risoluzioni, quando navi da guerra inglesi venivano colpite o distrutte in mare o qualche disastro colpiva le truppe alleate, o Mr. Churchill si presentava alla radio per dire a tutti gli inglesi che si stavano comportando valorosamente.
Era come avviene nelle due settimane che precedono il parto, quando ci si convince che il bambino non arriverà mai e che si continuerà a restare con la forma da pallone aerostatico per tutto il resto della vita. Oppure come essere nel bel mezzo di un lunghissimo tunnel ferroviario, in curva, quando ci si è già lasciati la luce del giorno alle spalle e il puntolino di luce all’altra estremità del tunnel non si vede ancora. Ci si sarebbe arrivati, un giorno. Su questo nessuno aveva dubbi. Ma per intanto tutto era immerso nell’oscurità. E si andava avanti, un piede dopo l’altro, continuando a cercare di risolvere, giorno per giorno, il problema di nutrire la famiglia, tenerla al caldo, badando che i bambini avessero le scarpe e cercando di arrestare il processo di decomposizione di Carn Cottage, che cadeva a pezzi da tutte le parti.
Penelope aveva ora ventitré anni e talvolta pensava che, all’infuori del film che si sarebbe proiettato la settimana prossima nel piccolo cinema del paese, pareva proprio che non ci fosse nulla da aspettarsi. Andare al cinema era diventato una sorta di culto per lei e per Doris. Doris ne era appassionata e non perdevano mai un solo film. Avendo abbandonato ogni capacità selettiva, sedevano davanti allo schermo qualunque cosa venisse loro presentata, semplicemente perché era l’unico mezzo per sfuggire, anche se soltanto per due ore, al tedio della loro esistenza quotidiana. Alla fine della rappresentazione, dopo essere state doverosamente in piedi, sull’attenti, ad ascoltare in religioso silenzio il disco rotto che ripeteva Dio salvi il Re, uscivano a tentoni nella strada, nel buio pesto, o istupidite dall’eccitazione o traboccanti di sentimentalismi, e si avviavano verso casa tenendosi a braccetto, ridacchiando debolmente, inciampando nel gradino del marciapiede e salendo, sotto la luce delle stelle, per le stradine strette che le riportavano a casa.
Come Doris commentava invariabilmente, era un piacevole cambiamento.
Ed era vero. Un giorno, Penelope immaginava, questo limbo grigio della guerra sarebbe finito, ma era difficile credervi e ancor più difficile immaginarselo. Essere in grado di comprare bistecche o marmellata d’arancia; non sentirsi battere il cuore dalla paura al momento del bollettino, lasciare le luci accese la sera davanti alle finestre aperte, senza il timore dei rimproveri del colonnello Trubshot. Lei pensava alla possibilità di ritornare in Francia, andando in macchina verso il Sud, incontro alle mimose e al calore del sole. E le campane che suonavano dai campanili ridotti al silenzio, non per avvertire del pericolo, ma per celebrare la vittoria.
Vittoria. I nazisti sconfitti, l’Europa liberata. I prigionieri di guerra, raccolti come pecore dietro il filo spinato nei campi sparsi in tutta la Germania, sarebbero tornati a casa. I soldati sarebbero stati smobilitati, le famiglie riunite. Quest’ultimo era il suo punto di inciampo privato. Altre mogli pregavano per i loro mariti e vivevano nell’attesa di vederli tornare sani e salvi, ma Penelope sapeva che non le sarebbe importato molto se non avesse più dovuto vedere Ambrose. Non si trattava di mancanza di cuore, era soltanto che, man mano che i mesi passavano, i ricordi che aveva di lui svanivano sempre più e tutto diventava, in un certo qual modo, sempre più irreale. Lei desiderava che la guerra finisse – soltanto un pazzo poteva non desiderarlo – ma non gioiva alla prospettiva di riprendere la vita con Ambrose – quel suo marito che conosceva appena e che le pareva quasi di aver dimenticato – e di cominciare sul serio a vivere quel suo sconsiderato matrimonio.
A volte, quando si sentiva molto depressa, dal suo inconscio saliva una vergognosa speranza che andava a rintanarsi sul fondo del suo cervello. La speranza che qualcosa accadesse ad Ambrose. Non che venisse ucciso in guerra, naturalmente. Questo era impensabile. Lei non sarebbe mai stata capace di desiderare la morte di una persona e tanto meno di un uomo giovane e pieno di vita come lui. Ma se soltanto, fra le battaglie nel Mediterraneo e il pattugliamento notturno degli U-Boot, gli fosse capitato di fare tappa in qualche porto e qui far la conoscenza di qualche bella ragazza – un’infermiera, magari, o anche un’ausiliaria, perché no? – infinitamente più bella e attraente di lei, di sua moglie, e lui si fosse perdutamente innamorato, una donna che col tempo avesse preso il posto di Penelope realizzando i più folli sogni di felicità di Ambrose...
In tal caso, naturalmente, lui le avrebbe scritto per dirle di questa complicazione amorosa.
Cara Penelope,
detesto di doverlo fare, ma questo è il solo modo per dirti la verità. Ho incontrato un’Altra. Ciò che è accaduto fra noi è troppo grande per entrambi perché possiamo lottare. Ci amiamo eccetera, eccetera...
Ogni volta che riceveva una delle sue non frequenti missive – di solito aerogrammi impersonali, una pagina ridotta alla misura e al formato di una istantanea – il suo cuore si apriva alla debole speranza che potesse finalmente trattarsi di una lettera del genere, ma ogni volta era condannata alla delusione. Leggendo quelle poche righe scribacchiate, che le davano notizie di suoi compagni del quadrato ufficiali che lei non avrebbe mai conosciuto, o in cui le descriveva un party a bordo di un’altra nave di cui non sapeva neppure il nome, capiva che nulla era cambiato. Lei continuava a essere sposata con Ambrose. E allora faceva scivolare l’aerogramma nella sua busta e più tardi – talvolta giorni più tardi – si sedeva a tavolino cercando di rispondergli, scrivendo una lettera ancora più insulsa di quella che Ambrose aveva scritto a lei. “Abbiamo preso il tè con Mrs. Penberth. Ronald si è iscritto negli scouts della Marina. Nancy è già capace di disegnare una casa.”
Nancy. Nancy non era più una neonata e mano a mano che cresceva e si sviluppava, Penelope ne rimaneva affascinata e si sentiva inaspettatamente materna. Vedendola trasformarsi da poppante in un trottolino che stava ritto sulle sue gambette, era come guardare un germoglio aprirsi e diventare un fiore – un processo lento, meraviglioso. La bambina era, come papà aveva promesso, un vero Renoir, tutta rosa e oro, con lunghe ciglia scure incurvate e dentini come perline, e rimaneva la cocca prediletta di Doris e della maggior parte delle amiche di Doris. Talvolta Doris spingeva la carrozzina verso casa tornando da qualche riunione, portando in trionfo un vestitino ricamato a nido d’ape lasciato a Nancy da qualche altra giovane madre che non poteva più utilizzarlo perché sua figlia era cresciuta. Il nuovo capo di vestiario veniva lavato e stirato e poi, immacolato, fatto indossare a Nancy, che si pavoneggiava nella sua nuova eleganza. Nancy adorava pavoneggiarsi. «Non è una bellezza?» tubava Doris, rivolgendosi sia alla bambina sia a chiunque altro, e Nancy sorrideva, molto soddisfatta, e si lisciava addosso il nuovo vestitino con le ditine grassocce.
In quei momenti era tutta Dolly Keeling, fatta e finita, ma neppure questo bastava a sciupare il piacere di Penelope e il suo divertimento. «Sei una vera signorina» diceva e sollevava la bambina nelle braccia, l’abbracciava e la teneva in alto.
Mantenere puliti e ben vestiti Nancy e i due ragazzi e dar da mangiare a tutta la famiglia prendeva ogni minuto della giornata sua e di Doris. Le razioni si erano ridotte a proporzioni addirittura risibili. Ogni settimana lei andava giù per le stradine del paese fino al negozio di drogheria di Mr. Ridley. Lei era “registrata” presso Mr. Ridley. Lì presentava il libretto delle razioni di tutta la famiglia e, in cambio, poteva comperare infinitesimali quantità di zucchero, burro, margarina, lardo, formaggio e bacon. Per la razione di carne era ancora peggio, perché bisognava fare la coda lungo il marciapiede per delle ore, e quando si comperava frutta o verdura dal fruttivendolo, tutto veniva messo nella grossa borsa di corda così come veniva tolto dalla terra, con il terriccio e tutto, perché non c’era carta per fare i sacchetti e chiederne uno sarebbe apparso poco patriottico.
Nei giornali venivano pubblicate strane ricette inventate dal Ministero dell’Alimentazione, consigliate non solo come economiche, ma come nutrienti e gustosissime. Un certo pasticcio di Mr. Woolton, composto di una pasta quasi senza grassi e un pezzetto di corned beef. Un dolce, reso più morbido da carote grattugiate e una sorta di stufato in casseruola, fatto quasi esclusivamente di patate. VAI PIANO CON IL PANE, MANGIA INVECE PATATE, ammonivano i manifesti, nello stesso modo in cui esortavano a VANGARE PER LA VITTORIA e a non parlare: CHIACCHIERE SBADATE COSTANO VITE. Il pane voleva dire frumento che bisognava importare, dall’altra parte dell’Atlantico, con pericoli immensi per le navi e per le vite umane. Il pane bianco era sparito da un pezzo dagli scaffali dei fornai e al suo posto c’era qualcosa che veniva chiamato la “Pagnotta Nazionale”, che era di un marrone grigiastro e aveva dentro strani filamenti secchi. Pane al tweed, lo chiamava Penelope, e fingeva di trovarlo buono, ma papà fece notare che aveva esattamente lo stesso colore e la stessa struttura della nuova carta igienica, decidendo che le strade del ministro dell’Alimentazione e del ministro dei Rifornimenti – i due signori che si presumeva fossero i responsabili per tali necessità della vita – dovevano essersi incontrate in qualche punto non specificato.
Era tutto molto difficile, eppure, a Carn Cottage, loro stavano meglio della maggior parte degli altri. Avevano sempre le oche e le galline di Sophie e facevano grande uso delle molte uova che quelle servizievoli creature producevano. E poi avevano Ernie Penberth.
Ernie era un uomo di Porthkerris, aveva vissuto a Downalong tutta la vita. Suo padre era il fruttivendolo del paese, che raccoglieva la merce e la consegnava a domicilio con il suo carro tirato da un cavallo; sua madre, Mrs. Penberth, con un temibile caratterino, era una colonna dell’Associazione delle Donne e andava regolarmente in chiesa. Da ragazzo Ernie si era preso la tubercolosi e aveva trascorso due anni in sanatorio a Tehidy ma, una volta guarito, Sophie gli aveva spesso dato dei lavoretti da fare; veniva quindi quando c’era bisogno di un aiuto nei lavori più pesanti in giardino oppure per qualche riparazione. D’aspetto era piuttosto modesto, perché era basso di statura e alquanto gialliccio di carnagione, e anche perché, a causa della sua malattia, non era passato alla visita medica dell’esercito. Così, invece di andare a far la guerra da soldato, Ernie lavorava in campagna, dando una mano nelle fattorie dove, essendo i figli richiamati alle armi, mancavano ovunque braccia nei campi. Ma ogni minuto che poteva rubare a quel lavoro lo dedicava a dare una mano al piccolo ménage di Carn Cottage e, con l’andare degli anni, Ernie si era reso sempre più indispensabile, perché aveva dimostrato di essere un uomo capace di fare di tutto: non soltanto coltivare magnifica verdura, ma aggiustare siepi e la falciatrice per il prato, riparare le tubature rovinate dal gelo e cambiare le valvole dell’impianto elettrico. Sapeva persino tirare il collo a una gallina, quando nessuno della famiglia si sentiva il cuore di mettere a morte una di quelle fedeli creature che li aveva mantenuti a uova per tanti anni, ed era ora lei stessa pronta per andare in pentola.
Quando il cibo divenne veramente troppo scarso e la razione di carne fu ridotta alla giuntura di un osso di bue, Ernie, con qualche magia, partiva sempre alla riscossa e arrivava alla porta della cucina portando un coniglio o un paio di sgombri o una bracciata di piccioni di bosco cui aveva sparato lui stesso.
Intanto Penelope e Doris facevano del loro meglio per cercare di portare un po’ di varietà nei pasti. Fu in quel periodo che Penelope riprese l’abitudine di tutta una vita, che consisteva nel portare con sé, ogni volta che andava a fare una passeggiata, una bisaccia, un secchiello o un cestino. Nulla era troppo modesto per essere osservato, raccolto, portato a casa. Una rapa o un cavolo, caduti da un carrett...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. di Rosamunde Pilcher
  3. I cercatori di conchiglie
  4. Prologo
  5. Nancy
  6. Olivia
  7. Cosmo
  8. Noel
  9. Hank
  10. Lawrence
  11. Antonia
  12. Ambrose
  13. Sophie
  14. Roy Brookner
  15. Richard
  16. Doris
  17. Danus
  18. Penelope
  19. Mr. Enderby
  20. Miss Keeling
  21. Copyright