L'amante senza fissa dimora
eBook - ePub

L'amante senza fissa dimora

  1. 280 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Il luogo è Venezia. Il mese novembre. La durata dell'avventura tre giorni. Lei è una principessa romana. Ma chi può essere Lui? L'enigma di un personaggio assolutamente sfuggente.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
Print ISBN
9788804325772
eBook ISBN
9788852037993

XI

Delle due cose che avevo cominciato

1
Delle due cose che avevo cominciato a capire nel corso dell’“interrogatorio’’, una era che David, secondo Raimondo, potesse essere matto. L’altra era che lo stesso David (sempre secondo Raimondo) se non era matto dovesse essere un pericoloso truffatore.
Ma siccome (secondo me) non era escluso che fosse ammattito Raimondo, i suoi sospetti non m’impensierivano troppo. Anzi in qualche modo mi rassicuravano, quanto almeno al futuro immediato: potevo sperare, in fondo, che David dipendesse dalla sua misteriosa organizzazione (o che altro) meno di quanto m’avesse detto. E che quindi potesse ancora decidere... chissà...
Capivo comunque che le “rivelazioni fatte a Cosima” durante il colloquio alla finestra, Raimondo non riusciva a mandarle giù. Per cui insisteva a confrontarle sia con versioni di altra fonte, sia con la stessa storia come potevo saperla io.
Una specie d’esame di maturità, insomma, dove Raimondo era l’esaminatore e io la candidata. È così che mi rivedo in questa seconda parte dell’inchiesta.
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D) Arti e mestieri
Esaminatore – Mi parli dei mestieri, arti o professioni esercitati dal Silvera prima di quello, vero o presunto, dell’accompagnatore turistico.
Candidata – Sì. Dunque a quanto ne so... o a quanto posso supporre, perché bisogna distinguere tra...
E – Non si preoccupi di distinguere e, con parole sue, mi tracci brevemente il quadro d’insieme. Eventuali precisazioni gliele chiederò io.
C – D’accordo. Dunque: avviato dalla famiglia agli studi talmudici, il Silvera, temperamento irrequieto e dubitativo, ben presto li abbandona anche per influenza dello Spinoza, che incontra a Rijnsburg. Ma non che l’incontri davvero, beninteso. È solo che passando da Rijnsburg, dove lo Spinoza abitò, egli...
E – Signorina, le ho già detto che eventuali precisazioni gliele chiederò io. Vada avanti, per favore.
C – Avviato agli studi talmudici, come dicevo, egli li abbandona per quelli d’arte drammatica e trova temporaneamente impiego presso un teatrino di Brooklyn che va in giro per l’East Coast, come dice il mio libro di testo a pagina 72.
E – Va bene, ma continui con parole sue, non mi ripeta a pappagallo il libro di testo!
C (piccata) – Come vuole. Egli dunque... Cioè, abbandonato anche il mestiere di attore girovago, perché attratto da quello più remunerativo di commesso viaggiatore, egli continua a vagabondare per diversi paesi: ora come rappresentante in gioielli-fantasia, come dice il libro a pagina 16, ed ora come venditore di enciclopedie, a quanto deduco dalle sue vaste conoscenze in ogni campo dello scibile.
E – Bene. Apprezzo questa sua deduzione.
C (incoraggiata) – Dal fatto poi che, abbandonando la Regina dello Jonio, egli si sia portato via il fondo d’emergenza dell’Imperial Tours, deduco anche che a forza di cambiare mestieri, di vivere di espedienti, il suo senso morale si fosse venuto alterando: sviandolo non dico dal retto cammino, perché il suo cammino non è mai stato “retto”, ma da quei principi che dovrebbero pur sempre...
E – Giustissimo. Saprebbe descrivermi le tappe di questo traviamento?
C – Be’, potrebbe essere cominciato da quella moneta falsa che, non essendo mai riuscito ad affibbiare a nessun altro, finì poi per regalare a me.
E – A lei?
C – A una certa signora, diciamo. Sotto la nefasta influenza del Fugger, d’altra parte, eccolo impegnarsi in un’attività ben più losca e pericolosa, come il contrabbando di droghe. Ma i pericoli non l’hanno mai spaventato, come dimostrano le innumerevoli cicatrici di pagina 105.
E – Ferite di guerra, secondo lei?
C – Almeno in parte. Tra i suoi erratici mestieri infatti (prescindendo dalla sua possibile appartenenza ai servizi segreti israeliani) non dev’essere mancato quello del mercenario, del soldato di ventura.
E – E da che cosa lo deduce?
C – Dal fatto che il Silvera, a pagina 127, dice di saper fare una quantità di piccoli lavori domestici – come rammendare calzini, ricucire bottoni, perfino rattoppare scarpe – tipici del soldato e in particolare del mercenario.
E – Ma per quanto riguarda le scarpe, la cosa non le suggerisce altro?... Non potrebbe darsi che il Silvera, oltre che allo studio del Talmud, fosse stato avviato al mestiere del ciabattino, e almeno per qualche tempo lo abbia effettivamente esercitato?
C – Non ci avevo mai pensato.
E – Ci pensi adesso.
E) Ciabattino e gentiluomo
C – No, tutto ben considerato, mi sembra impossibile che uno come il Silvera abbia mai fatto il ciabattino. Innanzitutto perché non è uno che stia mai fermo in un posto, e poi...
E – Ma noi stiamo considerando l’ipotesi che quello sia stato il suo primo e vero mestiere, dopodiché...
C – Sì, ma lo escludo lo stesso, in quanto non si addice assolutamente al personaggio.
E – In che senso?
C – Ma nel senso che la figura del Silvera, malgrado ogni possibile traviamento, resta quella di un gentiluomo! E un ciabattino, è inutile, io non posso...
E – Ma perché lei ragiona nei termini snobistici e, se lo lasci dire, provinciali, del suo ristretto ambiente. In ambienti più aperti e spregiudicati, attività artigiane come quella del ciabattino e del maniscalco, del fabbro, del falegname, non solo non hanno e non hanno mai avuto nulla di basso, di disdicevole, ma spesso si accompagnano ad altri studi e alle attività creative più diverse. Lei lo sa che Spinoza, quali che siano stati i suoi rapporti con Silvera, faceva l’occhialaio?
C – Sì, ma altro è l’occhialaio (e del resto lo Spinoza, a quanto ne so, intagliava soprattutto lenti per microscopi e telescopi), e altro è...
E – E allora pensi a Hans Sachs, il celebre poeta-calzolaio, amico di Dürer e di Lutero, che studiò congiuntamente il latino, il flauto e la risuolatura delle scarpe, ispirando a Wagner i suoi Maestri Cantori di Norimberga. O al ciabattino di Dresda che ospitò Goethe nel 1767, fornendogli il modello dell’Ewige Jude e più tardi dello stesso Faust. O a Shi il carpentiere, onorato da tutta l’antichità cinese!... E il figlio del falegname di Nazareth, che apprese ed esercitò anche lui il mestiere paterno? Non mi dirà che per questo non sia stato un gentiluomo?
C – Dio mio, Cristo è una cosa...
E – E il Silvera un’altra? Fino a un certo punto, signorina. Fino a un certo punto. Ma veniamo ora al problema della lingua, o meglio delle innumerevoli lingue, che il Silvera avrebbe imparato in vita sua.
F) Il problema della lingua
N.B. – Qui la Candidata, malgrado le esortazioni dell’Esaminatore, ripete spesso a pappagallo le parole del suo libro di testo. Alcune delle sue risposte vengono perciò omesse o abbreviate.
E – Che cosa sa dirmi della sua lingua materna?
C – Niente. Cioè, a pagina 72 lui dice... (omissis). D’altra parte il suo cognome indicherebbe un’origine sefardita, vale a dire spagnola o portoghese. Ma questo non ci dice nulla sulla sua lingua, naturalmente, come neppure il fatto che sia nato in Olanda e che di nome si chiami David.
E – David e basta?
C – Sì... Cioè, no. Mi sembra di ricordare che sul suo passaporto, a pagina 48... (omissis). Ashver in italiano sarebbe Asvero?
E – Sì, o Assuero, dal babilonese Ahzhuer. È un nome che tra gli ebrei si diffuse in conseguenza della cattività in Babilonia, appunto. Ma a lei non ricorda altro? In Occidente, la sua grafia più comune è Ahsverus, o Ahasverus.
C – Il problema della lingua l’ho studiato bene, ma in onomastica purtroppo sono poco preparata.
E – Peccato, perché la questione del nome e quella del mestiere sono strettamente legate. Lei non ha mai sentito parlare di un ciabattino di nome Ashver, Asvero, o Assuero che sia?
C – Non mi pare. Comunque sul mio libro non c’è.
E (irritato) – Ma c’è sul mio!... E adesso mi dica come farebbe il Silvera, secondo lei, a conoscere tutte le lingue che pretende di conoscere.
C (sbalordita) – Come sarebbe “pretende”? Ma se in tutto il libro, dal principio alla fine, lui... (omissis).
E – Lo so, lo so: tutte le lingue occidentali, praticamente, e le orientali dall’indù al cinese; non poche delle australi a quanto mi dicono; e quanto alle africane, l’ho sentito con le mie orecchie... cioè tale Raimondo, alla famosa Cena in casa di Cosima, l’ha sentito con le sue orecchie... scherzare in swahili col moro Issà mentre quest’ultimo gli serviva l’insalata. Le sembra possibile che una sola persona abbia potuto imparare tutto questo?
C – Be’, in quarantacinque anni, per uno che ha sempre girato il mondo...
E – In quarantacinque anni? Ma non basterebbe una vita intera! Non ne basterebbero due! Non ne basterebbero dieci!... Il che ci riporta al problema fondamentale.
C – Che sarebbe... quale?
E – Ma il problema del tempo, signorina!
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A questo punto l’esame – o interrogatorio che fosse – subì un’interruzione improvvisa, dopo la quale il suo corso s’invertì, la scena cambiò radicalmente. Ma la ragione di questa svolta non fu la telefonata di Chiara. Chiara telefonò più tardi. La ragione fu il brusco richiamo di Raimondo al problema fondamentale del tempo.
Come avevo fatto a non accorgermene, a non capirlo prima da me, che era “fondamentale” nel senso che tutto riportava lì e tutto dipendeva da quello?
Eppure il tempo con le sue minacciose piramidi, il maledetto tempo che ormai urgeva, incalzava, precipitava inarrestabile verso la fine, me l’ero trovato tra i piedi fin dal principio in tutte le sue forme, sotto tutti i suoi ingannevoli aspetti. Avevo inciampato nei suoi fili innumerevoli ad ogni passo, dal campo di S. Bartolomeo a quelli di S. Stefano e S. Giovanni in Bragora, dal ponte delle Guglie alla Sacca della Misericordia e all’incantato campiello dell’Abbazia, al desolato pontile di S. Marcuola... E ne avevo ancora parlato, ragionato fino a un minuto fa a proposito delle cose più diverse: navigazione lagunare e trasporti terrestri, pittura a fresco e architettura egizia, contrabbando di droga o di “droghe” (soltanto ora capivo la differenza!), mestieri ambulanti o no, visita (non turistica! non organizzata!) a una casa nei dintorni di Leida, difficoltà di apprendimento del cinese e dello swahili...
Ma non avevo mai collegato. Non m’ero mai detta: tutti i misteri del tuo “mystery man” si riducono, fondamentalmente, a uno solo.
Ora invece, dopo il minuzioso riepilogo a cui ero stata costretta, e in base anche agli oscuri, sporadici indizi che lo stesso Raimondo m’aveva fornito con le sue domande, quell’unico richiamo bastò. Fu come se la parola “tempo”, nel mio cervello intorpidito, avesse fatto scattare l’interruttore generale della luce.
Dieci, cento lampadine s’accesero simultaneamente, rischiarando sentieri dov’ero già passata e ripassata ma come di notte, senza vedere dove camminavo; frontiere che avevo già traversato ma da cieca, come in un tunnel; stanze che avevo già visitato ma come al buio, senza accorgermi di chi o di che cosa ci fosse dentro. La stessa biblioteca dove eravamo seduti da non so più quanto, mi parve di vederla adesso per la prima volta, benché ricordassi di aver guardato sospettosamente intorno, al principio, con l’idea che i misteriosi informatori di Raimondo potessero essere ancora lì. E solo adesso m’accorsi che c’erano davvero.
Ma a proposito di biblioteche, devo anche dire che non sono poi così smemorata o ignorante come a volte mi giudicano, o mi giudico io stessa, fuori del mio mestiere. Molte cose, più o meno vagamente, le so. Ma spesso, proprio come agli esami, basta che qualcuno me le chieda espressamente per cancellarmele del tutto dalla memoria. Così m’era successo all’“esame” con Raimondo. Che la famiglia Fugger, per esempio, fosse “ben nota a Venezia” lo sapevo, e per ricordarmene non avrei avuto che da collegarla col Fondaco dei Tedeschi. Ma non collegai. Che un certo Asvero avesse fatto il ciabattino, lo sapevo anche quello, e me ne sarei ricordata almeno confusamente, se solo l’avessi associato con un nomignolo, o soprannome, che Raimondo m’aveva citato in tedesco. Ma (anche perché il tedesco lo conosco pochissimo) non avevo associato. Mentre adesso, dopo lo scatto dell’Interruttore Tempo, questi collegamenti o relais difettosi scattavano a loro volta e ogni domanda trovava la sua risposta, ogni tassello del mosaico si collocava al posto giusto, e dettagli anche minimi, piccoli incidenti che avev...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. di Fruttero & Lucentini
  3. L'amante senza fissa dimora
  4. I. QUANDO MR. SILVERA SI DECIDE INFINE
  5. II. IL PORTONCINO DI QUERCIA, CHE ERA
  6. III. DIMMI TUTTO DELLE TUE OSCURE MIRE
  7. IV. LE MIE ULTIME ORE NORMALI MI SEMBRANO
  8. V. PUR AVENDO COME SI DICE UN CERTO
  9. VI. MI SVEGLIAI SENZA TRASOGNATEZZE
  10. VII. LA CORPULENTA COPPIA AMBURGHESE
  11. VIII. LA LIVREA DI CASA, GIUBBA DI PANNO
  12. IX. IL MONDO PUÒ CADERTI ADDOSSO
  13. X. L’AVEVA SVEGLIATA SOLO PER SALUTARLA
  14. XI. DELLE DUE COSE CHE AVEVO COMINCIATO
  15. XII. USCIMMO ESCONO USCIAMO SIAMO USCITI
  16. XIII. (POSCRITTO)
  17. Indice sentimentale dei nomi, dei luoghi e delle cose notevoli
  18. Copyright