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CATTIVE ABITUDINI
JOYCE CAROL OATES
Vennero a prenderci da scuola. Non ci dissero perché. Nessuna domanda! Era scritto chiaro sulle loro facce.
Zio S. e Zia B. I loro volti erano così stravolti che quasi non li riconoscemmo.
Ci portarono via, di corsa. Nel corridoio il preside ci fissava immobile. Che succede? Un’emergenza familiare? Cosa…?
Il volto allarmato degli adulti. Quel volto che scruti, ansioso di conoscere il tuo destino.
D. aveva tredici anni, T. undici, A. era il più piccolo, e tratteneva a stento le lacrime.
Provare. A non. Piangere.
Zio S. guidava. Zia B. fissava la strada.
D. era seduta in mezzo, tra di noi, sul sedile posteriore. D., nostra sorella grande, ci stringeva forte le mani.
Come sull’ottovolante, sei intrappolato, non puoi scappare; scali a una lentezza straziante un’ impossibile pendio fino alla cima, e poi giù, giù, giù!
Giù, sempre più giù! Urlando.
Nessuna domanda! Nessuna domanda!
A. piagnucolava e si sfregava il naso: sapeva che Mamma era morta.
T. guardava fuori dal finestrino: era convinto si trattasse di Papà; sì, stavano andando in ospedale a trovare Papà che aveva avuto un infarto a lavoro.
D. chiuse gli occhi, sforzandosi di non pensare a cosa ci stava aspettando a casa. Sforzandosi di non pensare che la casa era andata a fuoco.
Sforzandosi di non pensare che probabilmente entrambi, Mamma e Papà, erano morti. Sforzandosi di non provare quel brivido di eccitazione: un’orfana, quanto speciale sarebbe stata a scuola!
Sui sedili anteriori Zio S. e Zia B. parlottavano a voce bassa. Parole indistinte dal tono inconfondibile: emergenza.
Fu presa una decisione, Zio S. svoltò nella nostra strada che, dopo pochi isolati, si rivelò essere picchettata; mostrò la patente a un poliziotto e chiese di farci passare. I flash delle macchine fotografiche puntati contro Zio S., che si copriva il volto con la mano; li implorava con voce rotta: No, non sono SUO fratello, sono il fratello di lei.
Ci fu permesso di superare il blocco.
Era successo qualcosa nell’isolato di casa nostra. Qualcosa come un incendio o un’esplosione. I vicini erano ammassati nei loro giardini e si facevano schermo dal sole con le mani, mentre fissavano.
Sconosciuti si affollavano per strada e sui marciapiedi. C’erano molti poliziotti in uniforme, fotografi che rincorrevano la nostra macchina. Del nastro giallo circondava la casa.
Del nastro giallo intorno a casa nostra! Appena oltre il confine del prato che Papà teneva pulito e libero da sanguinelle e soffioni. Appena oltre il confine della nostra proprietà, dove c’era il recinto alto quasi un metro che d’estate Mamma nascondeva con le rose rampicanti.
Che strana era casa nostra! Anche se nulla di fatto era cambiato.
Dovunque guardassimo c’era qualcosa di strano. Le luci accecanti dei flash. Le facce degli Sconosciuti come maschere dai lineamenti distorti. Un vocio rumoroso e indistinto.
Zia B. ordinò Su i finestrini! Giù la testa!
Zio S. girò nel vialetto di casa, dove gli sconosciuti non potevano seguirci. Agenti di polizia stazionavano verso la porta sul retro. All’improvviso sbucò Mamma. All’improvviso Mamma si precipitò in macchina. Mamma era tutta ingobbita e si proteggeva il volto con le mani.
Mamma si ficcò con noi sul sedile posteriore. Mamma sollevò A., il piccolo, e se lo mise in sulle gambe. Zio S. richiuse lo sportello, Mamma era troppo debole per questo. Portatemi via! Via da qui! Dio mio!
Ora sapevamo: era accaduto qualcosa di brutto, e c’entrava Papà.
Zio S. e Zia B. scelsero una strada tortuosa per portarci a casa loro, a diverse miglia di distanza. Ma anche lì gli sconosciuti ci stavano aspettando, per strada, sul prato, nel vialetto.
Cronisti, fotografi, troupe televisive; e una sola macchina della polizia, parcheggiata davanti all’entrata.
Eccoli! La moglie! I figli!
Zia B. iniziò a gridare. Zio S. imprecava. Sul sedile posteriore Mamma ci abbracciava forte, tutti e tre, quasi volesse difenderci, anche se nascondeva la faccia rigata dalle lacrime nei capelli di D.
Zio S. protestò per la presenza di intrusi nella sua proprietà privata, ma continuarono a prenderci d’assalto. Continuarono a placcarci. I poliziotti li lasciavano fare. Mamma ci abbracciò stretti stretti mentre correvamo verso casa. Ormai, avevamo imparato a tenere la testa incassata. Avevamo imparato a correre tutti curvi cercando di ignorare le grida scagliate contro di noi.
Signora! Potrebbe dirci qualche…
…suo marito sia innocente?
…colpevole?
…non se l’aspettava?
…nessun sospetto?
…indizi nel suo comportamento?
…e i rapporti sessuali?
Ci nascondemmo in casa. Al piano di sopra. Tutte le finestre erano serrate e le veneziane abbassate. Sempre. La casa non era sicura. Mamma giaceva nel letto con le coperte tirate sulla testa. La potevamo sentire pregare Dio mio, Dio onnipotente, aiutaci. Aiuta mio marito. Aiutaci. Fa che sia tutto un sbaglio.
Anche al piano superiore, le veneziane erano sempre giù e noi nascosti nel letto. Non ci era permesso guardare la televisione, la casa non era sicura. C’erano sconosciuti per strada e facevano capannello. Per strada la gente ha il diritto di fare capannello. C’erano troupe televisive: WBEN-TV, WWSB-TV, WTSM-TV. A. non riusciva a dormire da solo. E con A. c’era il rischio che bagnasse il letto. T. non riusciva a dormire. D. non riusciva a dormire. Eravamo tutti e tre in una stanza. Ci veniva dato da mangiare. Dormivamo insieme, come una cucciolata. Chiedevamo dove fosse Papà. Ci veniva risposto che Papà era via. Potevamo sentire le voci dalla strada. Un elicottero della televisione ronzava sulle nostre teste. Mamma si nascondeva sotto le coperte. Per molto tempo Mamma non parlò. Mamma iniziò a piangere. Mamma iniziò a urlare. Mamma era sotto shock, ci fu spiegato.
In stato di shock, povera donna non si riprenderà mai.
Non è possibile, no; ci dev’essere stato un errore…
Sposata a quell’uomo per quindici anni, che…
…che sciocca, non sapeva nulla. Non sospettava.
E i bambini! Pensa ai bambini!
Figli di Cattive Abitudini? Oppure…
Non ci era permesso uscire di casa. Non ci era permesso giocare fuori. Non ci era permesso andare a scuola. Ci fu detto che la nostra sola “presenza” sarebbe stata una distrazione per i compagni. Ci fu detto che non avevamo fatto niente di brutto o cattivo, niente di grave o sbagliato ma, comunque, a scuola non ci volevano.
Mamma ci faceva inginocchiare con lei. Pregate! Pregate la Grazia di Dio! D. si rifiutava di inginocchiarsi. D. si rifiutava di pregare. D. scongiurava di essere riammessa a scuola. D. era appena stata eletta nel consiglio degli studenti quando ci avevano fatto smettere di andare a scuola. D. era appena stata eletta rappresentante di classe nel consiglio degli studenti. D. urlava che era ingiusto. D. urlava che odiava Papà. Mamma iniziò a tremare. Mamma iniziò a barcollare. Mamma aveva male al petto e non riusciva a respirare. Mamma non aveva ancora quarant’ anni ma le faceva male il petto e non riusciva a respirare e la dovettero ricoverare d’urgenza. Non ci era permesso andare a trovare Mamma in ospedale. Non ci era permesso andare a trovare Papà, dovunque egli fosse.
Ci portarono in un’altra casa. Ci seguirono. Un furgone della WXCT-TV ci affiancò; ci puntarono addosso gli obiettivi. I megafoni urlavano. I microfoni incalzavano verso di noi.
Sorpresi dall’arresto di vostro padre? Pensate sia innocente? Gli volete bene? Credeva ciecamente nella disciplina? Sarete presenti al processo? Vi dispiace per i vostri coetanei strangolati? Pregate per vostro padre? C’è un ricordo che volete condividere con i nostri telespettatori?
Ora vivevamo con Nonno e Nonna. Un’ altra casa in un’altra città. Un altro tempo. Non vedemmo Papà per molto tempo. Quando chiedevamo di Papà ci veniva detto Volontà di Dio e Nessuna domanda! Mamma era di nuovo a casa. Mamma era stata dimessa. Mamma puzzava di ospedale. Mamma avrebbe voluto abbracciarci e baciarci ma noi ci divincolavamo. Nonno e Nonna erano i genitori di Mamma. Nonno e Nonna erano molto anziani. Nonno, per impedire agli sconosciuti di sbirciare, oscurò dall’interno tutte le finestre con la carta alluminio. Nonna abbassò tutte le veneziane di tutte le finestre. Non era mai giorno, sempre notte. La televisione era solo per gli adulti. I giornali erano solo per gli adulti. Ci portavano in chiesa. Ci era permesso andare in chiesa con Nonno, Nonna e Mamma. Non era la nostra vecchia chiesa, ma venivano recitate le stesse preghiere. Intonati gli stessi inni. Letti gli stessi passi della Bibbia. Predicati gli stessi sermoni. Nella nostra vecchia chiesa Papà era stato eletto da poco rappresentante dei fedeli. Nella nuova chiesa il pastore pregava per Papà e per la famiglia di Papà. Mamma era la moglie di, noi eravamo i figli di. C’erano meno fotografi adesso, ma dovevamo ancora stare all’erta, perché potevamo esser presi d’assalto quando meno ce lo aspettavamo.
Nonno andava su tutte le furie, “come una biscia”, disse Nonna. Nonno si rifiutava di uscire senza cappello. Nonno per uscire di casa incominciò a coprirsi la testa calva e bitorzoluta con la carta alluminio. Nonna teneva serrate le veneziane di tutte le finestre. Nonna non riusciva più a lavorare a maglia o a fare l’uncinetto per via delle mani tremanti, deformate dall’artrite. Nonna fu trovata scalza, in camicia da notte che vagava nel quartiere. Nonna subì cure pesanti per combattere una malattia chiamata discrasia. Ci vergognavamo di Nonno e di Nonna e speravamo morissero presto. Volevamo tornare ad abitare nella nostra vecchia casa e andare nella nostra vecchia scuola e che quello che era successo a Papà non fosse successo. Volevamo!
Cattive abitudini. Stavamo acquisendo cattive abitudini.
Il ricordo di Papà non era più nitido. A volte, entrando in una stanza ci sembrava di vedere la sua ombra che incombeva sulla parete, fino al soffitto. A volte, ci svegliavamo di notte e lo sentivamo aggirarsi e mormorare, al piano inferiore. A volte, c’era il suo cattivo odore nel bagno. C’era il suo ricordo negli occhi lucidi di Mamma.
È solo un brutto sogno, bambini. Un terribile errore. Io prego perché sia così, e voi dovreste fare lo stesso.
Odiavamo Mamma! No, amavamo Mamma ma non potevamo sopportare quell’odore di ospedale.
Ci era vietato sapere qualunque cosa avesse a che fare con Papà, sarebbe stato “troppo sconvolgente”, “assurdo”, “doloroso” per noi ma, ovviamente, venimmo anche noi a conoscenza di certi fatti. Sapevamo che Papà appariva spesso in televisione e sui giornali, perché in tutto il Midwest non c’era nessuno più famoso di lui. Nessuno era più conosciuto; nessuno più discusso e chiacchierato. Per nessuno si pregava di più nelle chiese. Nessuno era più ingiuriato e insultato. Quando gli adulti sonnecchiavano, noi sgusciavamo fuori di casa. Persino A., che non voleva restare da solo. Allo spaccio fissavamo imbambolati i titoli dei giornali. La copertina di una rivista scandalistica. La foto di Papà in prima pagina, Papà era “Cattive Abitudini”. C’era un uomo, nelle foto, un uomo che avremmo potuto non riconoscere immediatamente, più vecchio di come lo ricordassimo, con la barba incolta, gli occhi umidi, sottili come due fessure sotto le sopracciglia ingrigite, una smorfia ripugnante sulle sue labbra tumide, come se trattenesse un sorriso. “CATTIVE ABITUDINI”, ACCUSATO DI 19 OMICIDI. PRESUNTO SERIAL KILLER NON RISPONDE ALL’INTERROGATORIO. 12 ANNI DI ATROCITÀ, OMICIDI, TERRORE E MINACCE. PERCHÉ? IMPIEGATO PUBBLICO, 53 ANNI, ARRESTATO PER OMICIDI PERVERSI. RIVELATA L’IDENTITÀ DEL FAMIGERATO “CATTIVE ABITUDINI”: MARITO, PADRE DI 3 FIGLI, EX RAPPRESENTANTE DEI BOY SCOUT, “DEVOTO” MEMBRO DELLA CHIESA DI CRISTO.
Di colpo D. iniziò a ridere, e T., che era restato assorto con gli occhi sgranati, iniziò a ridere; A., anche se non era convinto che questo tizio fosse Papà, lanciò un urlo di rabbia e rovesciò lo scaffale dove i giornali erano esposti mandandoli tutti per aria; scappammo via, prima che il commesso sbalordito potesse fermarci.
Le cattive abitudini di quell’estate.
D., che un tempo era stata orgogliosa dei suoi capelli, cominciò a strapparseli uno ad uno, quasi inconsciamente.
T. in...