Il tessitore di vite
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Il tessitore di vite

  1. 228 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il tessitore di vite

Informazioni su questo libro

Napoli, un'estate di luce accecante. Massimo è un antropologo, da poco separato dalla moglie, che predica a se stesso una cupa misoginia ma non disdegna le grazie delle sue studentesse. Caterina insegna sociologia all'università e si divide tra una figlia che le somiglia al punto da ripetere i suoi stessi errori, una vecchia madre da assistere e il desiderio di sentirsi finalmente affrancata da un'esistenza che non le ha risparmiato alcuna asprezza. Lia, personalità travolgente ed energia contagiosa, continua a tentare di fare la giornalista in prima linea, ma deve lottare per tener viva la passione per il suo lavoro in una realtà che più grigia non potrebbe essere. Miranda è alle prese con la gravidanza inattesa della giovanissima figlia e con un segreto che la scava nell'anima come una maledizione. E Pietro, che invece vive al Nord, sotto l'aspetto di manager impeccabile, padre affettuoso e marito devoto, nasconde una doppia vita inconfessabile.
Nulla unisce, all'apparenza, queste cinque persone ormai nella loro piena maturità. Eppure c'è un uomo, Riccardo, che con la pazienza di un tessitore silenzioso cerca di costruire tra loro un sotterraneo tessuto connettivo che gli consenta di rivelare a tutti un segreto.
Con quali parole potrà svelare loro la verità di cui è venuto suo malgrado a conoscenza? Come reagiranno? Ha diritto di sconvolgere vite ormai consolidate e compiute?
Tra le pagine di questo romanzo - che trae spunto da un reale fatto di cronaca - si dipanano i percorsi di ricerca personali di uomini e donne giunti a un giro di boa delle loro esistenze di adulti, quando ormai si è ben più genitori che figli, e insieme il filo rosso di una ricerca che li coinvolge tutti, e che è destinata a incidere sulle loro radici più profonde e sensibili. Una recherche destinata a portarli a confronto diretto con le loro stesse origini.
Titti Marrone dà vita a un racconto al tempo stesso inquietante, ironico e divertente, pervaso da profonda umanità: e narrando di una vicenda "estrema" ci parla con straordinaria grazia della vita, della ricerca di senso, di radici, d'amore che è propria di tutti noi.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
Print ISBN
9788804624868
eBook ISBN
9788852037948

La testa nella sabbia

Il giorno dopo il suo ritorno da Stromboli, la prima domenica mattina di settembre, Caterina Carola è di umore plumbeo. Ha smesso di fumare da tre mesi, ma si sente la stessa bocca amara delle giornate da trenta sigarette.
Appena sveglia si è trascinata subito al computer e ha cominciato ad andare a spasso in rete in cerca di sé. Sa che comunque non è un bell’affare quando si digita il proprio nome su Google. E, un attimo prima di comporre con trepidazione “Caterina Carola” nella stringa accanto alla scritta colorata, già prevede ciò che l’aspetta. Quello affidato al motore di ricerca è un vero e proprio verdetto: e quante volte troverà il proprio nome ricorrere nella rete, e a proposito di che cosa, e in quali link, e in quali altri siti... Diciamo la verità, uno lo fa per appurare quanto conta, almeno nel web, ragiona. È una specie di aggiornamento del cogito ergo sum cartesiano: mi clicco quindi ci sono.
Perché poi c’è da mettere in conto alcune cose per niente chiare: per esempio, conviene inserire il nome tra virgolette o lasciarlo libero? Mah. È utile o no “ripetere la ricerca includendo i risultati omessi”? Una cosa è certa: guai a fidarsi del numero indicato al primo colpo. Se lo si fa – e le è già capitato –, si è destinati a rimanere terribilmente delusi.
Ma poiché nella vita si tende a commettere sempre gli stessi errori, piccoli o grandi che siano, anche quella mattina, pur sapendo a che cosa va incontro, Caterina procede nella navigazione. Inserisce il suo nome nella stringa di Google. E che bella risposta le sembra quel “risultati trovati 13.546”. C’è anche il sito Tutti i libri di Caterina Carola. Per la verità i libri sarebbero solo due, uno dei quali è un’antologia di scritti di sociologhe americane sui rapporti di coppia, che lei ha raccolto e commentato con una breve introduzione. Ma quel ritrovamento ha un effetto eccellente sul suo umore: il sito potrebbe essere stato notato da qualcuno dell’università.
Neanche il tempo di godersi la sorpresa ed ecco arrivare la doccia fredda. Andando a spulciare uno a uno i 13.546 risultati, dopo le prime venti pagine che la citano per i saggi e gli articoli, la partecipazione ai convegni, i programmi delle lezioni universitarie e i calendari degli esami, il nome “Caterina” appare, sì, richiamato in associazione con “Carola”, però scisso dal suo cognome. Diamine, venti pagine di gratificazioni e poi basta. Lei non esiste più. E alla fine, facendo bene i conti, i risultati veri che la riguardano saranno sì e no duecento. Duecentoventi, a voler esagerare.
Dopo circa due ore di vagabondaggio tra siti d’informazione varia e blog di sociologia, in stato di torpore ipnotico, Caterina consulta la casella della posta. Ce n’è un bel po’ di arretrata, perché in vacanza si è presa una pausa dalle e-mail. C’è, del 31 di luglio, il messaggio di Riccardo. Vuole il suo IBAN, da girare al professor Santarelli. E che, non me lo poteva chiedere direttamente lui?, si domanda.
Per curiosità cerca su Google il nome “Massimo Santarelli”. Quel verme. Come ha insistito, Riccardo, per farglielo incontrare. È stato solo per amicizia che Caterina ha accettato di affittare a Santarelli la casa di Stromboli. A parte che lui non le ha ancora pagato l’affitto, la sera della cena si è comportato malissimo. Lei si è sforzata di mostrarsi gentile, di fare uno straccio di conversazione, lui è stato laconico, sfuggente, a tratti anche maleducato, rispondendo a monosillabi e andandosene via quasi di corsa, con il pretesto di un’improvvisa quanto palesemente inventata emicrania. E chi sarà mai Massimo Santarelli.
“Risultati trovati 356.243.” Cavoli. Caterina non ne apre nessuno, il celebrato antropologo non merita nemmeno la sua curiosità. Ci voleva pure questo per farle precipitare il morale in un pozzo nero. E, come le capita sempre più spesso, tanto basta per aprire nella mente il file personale, pieno di link negativi. Ecco qua: otto anni che non pubblica un libro. Il saggio breve da mandare alla rivista della Società italiana di sociologia ancora inchiodato alla seconda cartella. Il rapporto con il suo preside a dir poco pessimo. Quanto al privato, meglio stendere un velo pietoso.
Gracchia il citofono. Lo stridio interrompe il silenzio angosciante, da domenica mattina ecologica senza auto, e la fa sobbalzare.
«Chi sarà?» A Caterina sembra proprio di non aspettare nessuno. «Sono ancora in vestaglia» borbotta, ma le tocca schiodarsi dalla scrivania e andare a rispondere. Si alza malvolentieri e trascina il suo pessimo umore in corridoio.
«Pronto, prof? Sono Giusi Falanga. La sua tesista.»
«Ci sono anch’io, Serena, la sorella di Giusi» dice una seconda voce.
«Ah, sì» ricorda Caterina. «Ma non avevamo detto di vederci dopo le dieci?»
«Eh, prof, veramente sono le undici, ma se è troppo presto ripassiamo.»
Caterina sbuffa. «No, no, però aspettate prima di salire, vi apro tra un attimo» dice perentoria, sfoderando la sua bella voce flautata, priva d’inflessioni dialettali. Se l’è costruita tanto tempo prima, negli anni in cui viveva in provincia di Torino, sottoponendosi a un corso di dizione per eliminare la tara dell’accento napoletano.
Sempre fastidiose queste studentesse, pensa. E chi se lo ricordava l’appuntamento con la tesista. Almeno si è portata Serena, che è una brava ragazza. Caterina la conosce bene perché lavora allo sportello della banca sotto casa.
Fulminea, s’infila in un paio di jeans, mette su un maglione, annoda i capelli in una coda di cavallo. Riesce perfino a mettersi un filo di trucco per attenuare il colorito verdastro che le sembra abbia già preso il sopravvento su quel po’ di abbronzatura conquistata a Stromboli.
«Adesso potete salire. Ultimo piano» scandisce nel citofono.
Non ricorda niente di questa Giusi Falanga e nemmeno l’argomento della tesi. L’incursione, inaspettata e non desiderata, la disturba. Fino a qualche anno fa non era così. Anzi. Le dava allegria conoscere i ragazzi che si laureavano con lei, scoprirne il carattere, le inclinazioni. Le piacevano le serate di fine corso, tutti insieme in pizzeria a ridere e scherzare al di fuori della formalità delle lezioni.
Sua figlia Sara non finiva mai di stupirsi dell’attrazione esercitata dalla madre sugli studenti. «Sembri fatta apposta per piacere ai ragazzi. Capisci tutti tranne me» la rimproverava, mentre la vedeva conservare, ordinate per anno accademico, le foto scattate alle sedute di laurea, dove appariva materna e sempre un po’ commossa, a stringere fasci di fiori accanto ai suoi laureati.
Ma da qualche tempo il tedio è diventato il termometro di tutti i suoi rapporti. Specialmente di quelli con gli studenti. Tant’è che, lei lo sa bene, alle sue spalle è tutto un mormorio su come la professoressa Carola sia diventata avara di tesi. “Stitica” è la parola usata dai suoi colleghi, perché lei non ne concede che tre o quattro all’anno, al di sotto dello stretto indispensabile. Cosa che il preside non manca di rimarcare a ogni pie’ sospinto come segno di scarsa produttività accademica.
Se ha ceduto assegnando una tesi a questa Giusi Falanga è stato solo per intercessione della sorella Serena, il tipo di ragazza che, come ha detto una volta la portiera, tutti vorrebbero come figlia. Una trentenne carina e semplice, senza nessuna ostentazione. Di famiglia povera, ha sentito dire, con il padre in dialisi, il fratello disoccupato. Ma in casa è lei a farsi carico dei guai dei suoi. In banca colpisce per la sua aria professionale e insieme disponibile, amichevole. È sempre abbigliata impeccabilmente: camicette candide, capelli raccolti in un piccolo chignon dorato, microscopici orecchini e sottile filo di perle. Una presenza rassicurante e familiare alla delicata postazione dello sportello. Con il sorriso sulle labbra Serena Falanga si accolla mille fastidiose incombenze e risolve i piccoli problemi dei correntisti anziani. Comprese Caterina, che è disordinata e va sempre di fretta, e sua madre, vecchia, malata e bisognosa di assistenza.
Le due ragazze bussano alla porta. Caterina apre e le fa entrare.
Giusi Falanga è una ragazza tremula e fiammeggiante, molto somigliante a sua sorella, però bruna, un po’ più giovane, in versione pin-up. Ma quella mattina anche Serena sembra diversa: niente divisa da lavoro, gambe nude, capelli fluenti sciolti sulle spalle, grandi occhiali da sole. Lei biondo cenere, Giusi mora, entrambe slanciate. Due cerbiatte scattanti, le gambe fasciate da piccolissime gonne colorate. Caterina le guarda e prova un sottile disagio, come un senso di vertigine o forse di nausea. Sarà il troppo caffè bevuto a digiuno, si convince.
«Prego, seguitemi di qui, nello studio.» Caterina precede le due ragazze percorrendo il lungo corridoio dove si schiudono le stanze illuminate dal chiarore della mattina di settembre.
«Che meraviglia la sua casa, prof» dice Serena guardandosi intorno. «Se io vivessi qui, non uscirei mai.»
Effettivamente la vista è a dir poco spettacolare. Oggi poi la luce è abbagliante e dal terrazzo dello studio entra un azzurro totale che trascina in casa il cielo e la superficie liscia del mare su cui si allunga Capri. Per un attimo Caterina contempla l’aria splendente attraverso lo sguardo delle ragazze, ha come un tuffo al cuore. Ma dura troppo poco perché possa arrivare a gioirne. Subito torna ad avvolgerla il tedio di sempre.
«Dunque, Giusi, mi ricordi a che punto siamo con il tuo lavoro?»
La domanda è posta in maniera abile, sufficientemente generica da occultare la smemoratezza della docente a proposito della tesi assegnata. Al posto di Giusi, già confusa dal semplice suono delle sue parole, a rispondere con prontezza è la sorella Serena.
«Sì, prof. Come ricorderà, il titolo provvisorio era Lo sguardo dell’uomo sul corpo delle donne» dice la ragazza, tirando fuori alcuni fogli dattiloscritti. «Lei aveva già indicato a Giusi la bibliografia. È annotata qui. Giusi ha letto i libri e ha anche buttato giù un abbozzo di indice.»
«Giusi, perché fai parlare tua sorella?» chiede lei ridendo. «Chi è che deve laurearsi, tu o lei?»
Non c’è rimprovero nella voce di Caterina, che anzi appare divertita dall’intraprendenza di Serena e intenerita dalla timidezza della sorella minore.
«Scusi, prof, è che Serena la conosce meglio, per questo parla lei» dice Giusi in un sospiro, tormentando le mani sulle lunghissime gambe accavallate. «Io... io non voglio rubarle troppo tempo. Vorrei solo chiederle il suo parere, sapere se l’indice che avevo ipotizzato va... può andare bene. Se possiamo... se posso continuare, provare... a scrivere il primo capitolo.»
«Facciamo una cosa, cara. Stamattina non ho molto tempo. Lasciami qui sia la bibliografia che l’indice e insieme la tua e-mail. Io guarderò il tutto e ti risponderò stasera, al massimo domani.»
«Poi, se ci sono problemi, può sempre farlo sapere a me, tanto mi trova in banca qui sotto quando vuole» s’intromette Serena. «A proposito, ho le ricevute di quei bonifici che mi aveva chiesto di fare per conto di sua madre: preferisce che gliele porti a casa?»
«Sei gentilissima, ma non preoccuparti, passo io in banca da te, domattina o dopo» risponde Caterina, e intanto nota come l’attenzione di Giusi sia stata catturata dai particolari del suo studio spalancato sul mare. Gli occhi della giovane corrono lungo le pareti dove sono allineati scaffali e scaffali di libri, scrutano le foto disseminate sulla scrivania. Quelle antiche, di ragazza spavalda, quelle dei tempi felici con il suo ex marito Sergio, in cui entrambi sorridono inconsapevoli verso un punto imprecisato, e le foto di sua figlia Sara. Bambina al mare con secchiello e palette. Con il tocco sulla testa e il sorriso largo nel giorno della laurea. Con il suo bimbo accanto, gli occhi socchiusi, sfiniti e felici di quando ha appena partorito.
Caterina si sente infastidita da quegli sguardi silenziosi, dalla curiosità di Giusi intenta a sfiorare il suo mondo come una mosca che ronza in volo e si appoggia qua e là. Così si alza con il fare di chi si accinge al commiato.
«Be’, care...»
«Allora prof, sì, noi andiamo. Grazie del suo tempo e scusi per l’invasione» dice subito Serena tirando per un braccio sua sorella. «Ancora complimenti per la bellissima casa.»
Le due ragazze percorrono il corridoio dirette verso la porta d’ingresso, seguite da Caterina, e lasciano dietro di sé una scia di profumo di mughetto e ribes. Caterina lo annusa, lo fiuta come un segugio, lo agguanta e lo riconosce. Forse è Cacharel, lo stesso che lei usava da ragazza, secoli fa. Quello con il flacone di smalto bianco bombato, colorato dai fiori di un tenue lilla. Esiste ancora? Inaspettatamente il profumo diventa la sua madeleine, le riporta il passato. E nella scia odorosa lasciata dalle ragazze, nel gesto timido della mano sollevata da Giusi per salutarla, la donna che ha superato i cinquant’anni ritrova la venticinquenne che fu. Si rivede com’era e allora quasi le viene di fermare le due giovani, di parlare alla studentessa tremula e alla sorella già lanciata nel lavoro. Come se fosse possibile mostrare loro per un istante l’altra se stessa di tanti anni fa, indicargliela perché ci si specchino.
“Voi ancora non sapete che cosa c’è in agguato dietro le vite delle persone, dentro gli anni che vi stanno aspettando” vorrebbe dire loro. “Guardate me, non sono stata sempre così arcigna. Mettevo anch’io la minigonna, avevo il vostro stesso profumo. Poi, andando avanti, esplode l’incomprensibilità del dolore, la semplice banale tragedia a cui nessuno è preparato: scoprire che l’esistenza è una tragedia. Succedono cose che, quando sei giovane, nemmeno potresti immaginare. Cose che possono farti andare in mille pezzi di colpo, o che ti rodono piano piano di dentro la giovinezza e l’allegria, come un topo che rosicchia il formaggio. E alla fine non rimane altro che la crosta dura e ingiallita.”
Direbbe così, Caterina. Però si trattiene dal parlare. Le ragazze si chiudono la porta alle spalle e lei resta a chiedersi quand’è che ha smesso di essere giovane.
Come sono lagnosa stamattina, si rimprovera. Di tanto in tanto le capita di sentirsi di peso a se stessa, e oggi è una di quelle volte. E allora si predispone ad aiutarsi con un espediente per stemperare la malinconia: ridere un po’ di sé, sia pure rimuginando da sola. Ha sempre potuto contare su questa benefica risorsa, pronta a soccorrerla quando ce n’è bisogno.
Si comincia a invecchiare... quando? Forse quando ci si fa la prima mammografia. La prima volta che il radiologo ti spiaccica i seni tra due lastre, comprimendoli come cotolette. O forse un’avvisaglia di vecchiaia è il momento in cui ci si sorprende a sbirciare le vetrine di Luisa Spagnoli. Ma com’è che gli anni inducono a certi cedimenti, si domanda Caterina, come l’acquisto dissennato di bluse leopardate e ballerine dorate, una volta oggetto di assoluto disprezzo? Ci dev’essere un ormone che agisce sottotraccia e orienta i gusti. Una folla di neuroni che si mette in moto intorno ai quarantacinque, segreta e sogghignante, che ti deforma le preferenze mentre nascostamente fa avvampare le tue guance, lasciandoti in un palese imbarazzante arrossimento. Misteri della menopausa.
Di nuovo il citofono. Stavolta è Lia, la sua amica giornalista. Amica solo da qualche mese. Un regalo inaspettato dell’età adulta, quando è così difficile stringere nuovi rapporti. Invece a loro due è capitato. Caterina l’ha incontrata una sera a teatro con Riccardo e Gabriella, e sono diventate immediatamente intime. Con lei sente di avere un’affinità misteriosa ancora da esplorare, una confidenza che non ha neanche con persone frequentate da decenni.
Lia è una spilungona alta un metro e ottanta, che ha intrapreso la lotta contro la lima del tempo puntando sull’opzione salutista. Ha cominciato per neutralizzare le ore passate al desk nel lavoro redazionale, e da qualche anno si è trasformata in un’integralista della dieta e dell’esercizio fisico. Niente sigarette, alimentazione vegetariana ricca di fibre, nuoto, jogging, yoga. Ora, magra come un chiodo, ansima piegata dalla fatica, con una mano premuta sul fianco. Per riprendere fiato si è fermata sotto casa dell’amica, a metà della sua corsa mattutina.
«Ciao, Caterina, ti va una passeggiata?» le chiede al citofono.
«No, Lia, non ho nessuna voglia di muovermi. Mi sento un po’ giù. Poi ho promesso a mia madre di andare a pranzo da lei, anche se sicuramente lo ha già dimenticato.»
«E dài. Un paio di ore all’aria aperta.»
«Se n’è appena andata una studentessa, ho la valigia di...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il tessitore di vite
  3. Billy o Besta?
  4. La testa nella sabbia
  5. Colleganza
  6. Bella di mamma
  7. Cinque dita di una mano
  8. Caramelle per i bambini
  9. Il sangue non è acqua
  10. La meta è il viaggio
  11. Dietro a tutto questo
  12. Copyright