Dagli appunti del dottor Jerbal Argon,
della PsicoFratellanza
1. Artemis Fowl, già autoproclamatosi “adolescente dalla mente criminale superiore”, preferisce ora l’appellativo di “giovane genio criminale”. Sembrerebbe cambiato. (Nota personale: Bah!)
2. Negli ultimi sei mesi, Artemis è stato sottoposto a sedute settimanali di terapia presso la mia clinica di Cantuccio allo scopo di curare un grave caso di Complesso di Atlantide, un disturbo psicologico sviluppato in conseguenza del suo immischiarsi nella magia del Popolo. (E gli sta proprio bene, stupido Fangosetto!)
3. Ricordare di presentare alla Libera Eroica Polizia un conto indecente.
4. Artemis sembra guarito, e pure a tempo di record. Ma è plausibile? O anche solo possibile?
5. Discutere con Artemis la mia teoria della relatività. Potrebbe diventare un capitolo davvero interessante del mio libro virtuale L’arte di incastrare Artemis: scaccomatto al folle Fowl. (Gli editori adorano questo titolo: Tiè!)
6. Ordinare altri antidolorifici per la mia stramaledettissima anca.
7. Redigere un certificato di salute mentale per Artemis. Oggi ultima seduta.
Studio del dottor Argon, Cantuccio,
Strati Inferiori
Il dottor Argon era in ritardo, e Artemis Fowl era sempre più impaziente. Quell’ultima seduta era inutile esattamente come lo era stata l’ultima mezza dozzina. Era completamente guarito, lo era fin dalla diciottesima settimana. Il suo prodigioso intelletto aveva accelerato il processo e non c’era motivo che lui continuasse a girarsi i pollici agli ordini di uno gnomo psichiatra.
Artemis si mise a camminare su e giù per lo studio, ma la cascata alle pareti, con le sue luci rilassanti e il loro dolce pulsare, non ebbe su di lui il benché minimo effetto tranquillizzante; quindi si sedette per un minuto nella cabina per ossigenoterapia, ma trovò che quella lo tranquillizzava un po’ troppo.
Ossigenoterapia mia nonna, pensò, affrettandosi a uscire dalla cabina con le pareti di vetro.
Finalmente la porta scivolò sulle guide con un sibilo, e il dottor Argon fece il suo ingresso nello studio. Il tozzo gnomo puntò dritto alla sua poltrona con la solita andatura zoppicante. Si abbandonò all’abbraccio dei numerosi cuscinetti, armeggiando con i comandi dei braccioli finché il sacco di gel sotto l’anca destra non brillò debolmente.
«Ah!» sospirò. «Quest’anca mi sta uccidendo. Non c’è niente che funzioni, davvero. La gente crede di sapere che cos’è il dolore, ma non ne ha neanche un’idea.»
«È in ritardo» brontolò Artemis parlando in gnomico fluente; nella sua voce non c’era la minima traccia di comprensione.
Argon sospirò beatamente un’altra volta mentre il cuscinetto riscaldato della poltrona incominciava a massaggiargli l’anca. «Sempre di fretta, eh, Fangosetto? Perché non ti sei preso una bella boccata d’ossigeno o non hai meditato davanti alla cascata? Perfino i monaci di Ullallà nutrono una fiducia cieca in quelle cascate.»
«Guardi che io non sono un sacerdote elfico, dottore. Quello che fanno i monaci di Ullallà dopo il primo gong non m’interessa. E adesso possiamo passare alla mia riabilitazione? Oppure preferisce farmi perdere un altro po’ di tempo?»
Argon sbuffò, poi sporse in avanti la grossa stazza e aprì un sottile fascicolo sulla scrivania. «Mi sapresti spiegare com’è che più diventi sano di mente più sei sgradevole?»
Artemis accavallò le gambe e per la prima volta il suo linguaggio corporeo lo mostrò rilassato. «Quanta rabbia repressa, dottore. Da dove le viene?»
«Per il momento concentriamoci su di te, sei d’accordo, Artemis?» Argon estrasse dal fascicolo un mazzo di schede. «Adesso ti mostrerò una serie di macchie di Rorschach e tu mi dirai che cosa ti suggeriscono le loro forme.»
Artemis si lasciò andare a un gemito prolungato e teatrale. «Macchie di Rorschach, ma per carità! La mia aspettativa di vita è di gran lunga inferiore alla sua, dottore, preferisco non sprecare il mio preziosissimo tempo a fare inutili pseudoesami. Tanto varrebbe che ci mettessimo a leggere le foglie del tè o a divinare il futuro dalle interiora di un tacchino.»
«Le macchie di Rorschach sono un indicatore molto affidabile della salute mentale» obiettò Argon. «La loro efficacia è sperimentata.»
«Già, da psichiatri che l’hanno sperimentata per altri psichiatri» sbuffò Artemis.
Argon sbatté una scheda sul tavolo. «Che cosa ci vedi in questa macchia?»
«Ci vedo una macchia d’inchiostro.»
«Sì, ma la macchia che cosa ti suggerisce?»
Artemis ghignò in un modo estremamente fastidioso. «Ci vedo la scheda cinquecentotrentaquattro.»
«Come?»
«La scheda cinquecentotrentaquattro» ripeté Artemis. «Di una serie di seicento schede standard con macchie di Rorschach. Le ho memorizzate durante le nostre sedute. Non perde neppure tempo a rimescolarle.»
Argon controllò il numero sul retro della scheda: 534. Ovvio.
«Conoscere il numero non è una risposta alla mia domanda. Che cosa ci vedi?»
Il labbro di Artemis cominciò a fremere. «Ci vedo un’ascia che gronda sangue. E anche un bambino spaventato e un elfo con indosso la pelle di un troll.»
«Davvero?» Adesso Argon era visibilmente interessato.
«No, non proprio. Vedo un palazzo tranquillo, forse un’abitazione, con quattro finestre. Un animaletto domestico e un viale che dalla casa si perde in lontananza. Se consulterà il suo manuale, verificherà che tutte queste risposte rientrano nei parametri di un soggetto perfettamente sano di mente.»
Argon non ebbe bisogno di controllare: il Fangosetto aveva ragione, come sempre. Magari avrebbe potuto prenderlo alla sprovvista con la sua nuova teoria. Non rientrava nella terapia, ma forse gli avrebbe fatto guadagnare un po’ di rispetto.
«Mai sentito parlare della teoria della relatività?»
Artemis rimase sconcertato. «Mi prende in giro? Ho viaggiato nel tempo, dottore, credo di sapere un bel po’ di cosette sulla relatività.»
«No, non mi riferisco a quella teoria; la mia teoria della relatività sostiene che tutti gli oggetti magici sono collegati tra loro e subiscono l’influenza di antichi incantesimi o punti di accesso magici.»
Artemis si sfregò il mento. «Interessante, ma credo che scoprirà che la sua ipotesi dovrebbe essere chiamata piuttosto teoria della correlazione.»
«Come vuoi» ribatté Argon, non dando peso a quel cavillo. «Ho fatto qualche ricerca e ho scoperto che i Fowl sono stati una spina nel fianco del Popolo a periodi alterni per diverse migliaia di anni. Decine dei tuoi antenati hanno cercato la pentola d’oro, anche se tu sei il solo ad averla trovata.»
Artemis si rizzò a sedere: adesso sì che era interessato. «E io non ho mai saputo perché lei ha sottoposto i miei antenati a uno spazzamente.»
«Esatto» confermò Argon, felice di essere riuscito a calamitare l’attenzione del ragazzo. «Da piccolo, tuo padre è addirittura riuscito a legare per le gambe un nano attirato nella tenuta. Immagino che sogni ancora quel momento.»
«Mi fa piacere per lui.» Poi ad Artemis venne in mente una cosa. «E perché il nano sarebbe stato attirato nella tenuta?»
«Perché lì i residui della magia sono particolarmente abbondanti. Un tempo nella proprietà dei Fowl è accaduto qualcosa. Qualcosa di enorme, dal punto di vista della magia.»
«E i residui di questa energia impiantano idee nelle nostre menti e ci spingono a credere alla magia» mormorò Artemis quasi fra sé e sé.
«Proprio così. Si tratta dell’eterna questione dell’uovo e del goblin: pensavi alla magia e poi l’hai scoperta, oppure è stata la magia a indurti a cercarla?»
Artemis prese qualche appunto sul suo smartphone. «E a proposito di questo enorme evento magico, non potrebbe essere un po’ più preciso?»
Argon fece spallucce. «Le nostre registrazioni non vanno così indietro nel tempo. Direi che stiamo parlando dell’epoca in cui il Popolo viveva in superficie, vale a dire oltre diecimila anni fa.»
Artemis si alzò e si piazzò torreggiante davanti al tozzo gnomo. Si sentiva in debito con il medico per quella teoria della correlazione, che di sicuro meritava di essere approfondita.
«Dottor Argon, da bambino lei aveva il piede varo?»
Argon rimase talmente sorpreso che, cosa del tutto insolita per uno psichiatra, diede una risposta sincera a una domanda personale. «Sì, sì.»
«E l’hanno costretta a indossare scarpe ortopediche con il plantare?»
Argon era molto incuriosito. Erano secoli ormai che non pensava più a quelle orrende scarpe, anzi, fino a quel momento le aveva del tutto dimenticate.
«Solo una, al piede destro.»
Artemis annuì soddisfatto, e Argon si sentì come se avessero di colpo scambiato i ruoli e fosse diventato lui il paziente.
«Direi che il piede è stato forzato a ritrovare l’allineamento corretto, ma nel farlo il femore ha subito una lieve torsione. Un semplice tutore dovrebbe risolvere il suo problema all’anca.» Artemis estrasse dalla tasca un tovagliolino piegato. «Ne ho abbozzato un disegno mentre mi faceva aspettare in queste ultime sedute. Polledro dovrebbe essere in grado di fabbricarglielo. Ho calcolato le misure a occhio, quindi può essere che abbia sbagliato di qualche millimetro, perciò sarà meglio prenderle come si deve.» Posò le mani sulla scrivania. «Adesso posso andare? Ho completato i miei obblighi?»
Il medico annuì torvo, pensando che avrebbe fatto bene a omettere quell’ultima seduta dalla cartella. Rimase a guardare Artemis attraversare lo studio e piegarsi per passare dalla porta.
Osservò a lungo il disegno sul tovagliolino e istintivamente si sentì certo che il Fangosetto non sbagliasse.
O quel ragazzo è la creatura più sana di mente sulla Terra, oppure è talmente disturbato che i nostri test non riescono neppure a scalfirne la superficie, pensò.
Prese dalla scrivania un timbro di gomma e applicò la scritta OPERATIVO a grossi caratteri rossi sulla copertina del fascicolo di Artemis.
Lo spero davvero. Lo spero davvero.
La guardia del corpo di Artemis, Leale, aspettava il suo capo fuori dallo studio del dottor Argon seduto su una grande poltrona dono del centauro Polledro, consulente tecnico della Libera Eroica Polizia.
«Non posso vederti appollaiato così su uno sgabello da membri del Popolo» gli aveva detto Polledro. «Mi offende la vista. Sembri una scimmia al gioco delle sedie.»
«Benissimo, accetto il dono, se non altro per risparmiare i tuoi occhi» gli aveva detto Leale con la sua profonda voce roca.
In realtà, e...