«La naiba, accidenti, niente che quadri!»
Codrina ha un moto di disappunto e si mordicchia le unghie in cerca di soluzione.
Ha consultato su internet il sito del Salone del libro e ha visto che venerdì 11 maggio alle 15 Mircea Cărtărescu, il suo scrittore preferito, terrà un incontro nello spazio di Casa Romania, ma ha anche letto che il servizio di baby-sitting letterario al Bookstock Village comincerà solo alle 16.
E purtroppo non basta, perché alle 16 di venerdì Leone deve essere da Cindy e:
a) la lezione di inglese non si può né saltare né spostare, se no la vipera è capace di piantare una grana;
b) sempre nel pomeriggio di venerdì Gloria tornerà dalla clinica con la bambina;
c) Leo avrà la luna storta e sarà intrattabile.
Insomma, un bel casino, ma lei l’incontro con Mircea Cărtărescu non vuole perderlo per nessun motivo e no, si dice, orice s-ar intampla, non esiste proprio che ci rinunci.
Fa un giro di telefonate, si informa e alla fine si accorda con Raluca, una sua ex compagna di università.
Nella seconda giornata di apertura del Salone, il piazzale davanti al Lingotto è gremito di scolaresche di ogni età in attesa di entrare. Nella brezzolina tiepida del mattino si intrecciano pigolii bisbigli ciarle urletti risate grida richiami, mentre maestre e professori già accaldati si affannano a ricomporre le fila delle loro ondeggianti e sparpagliate ciurme. Le code davanti alle biglietterie sembrano serpentoni che si crogiolano sotto il sole primaverile.
Codrina, incurante dei passi riottosi di Leo che, incuriosito dalla folla dal luogo e dal vociare, trascina i piedi, si dirige risoluta all’ingresso espositori ed esibisce il pass che le ha procurato la sua amica, ma viene fermata dall’addetto al controllo:
«E il bambino?»
«È mio fratello. Ho bisogno di lavorare, stamattina non so dove lasciarlo. Lo tengo nello stand con me.»
Il bambino alza gli occhi a guardarla e sta per dire qualcosa, ma una strizzata di mano lo dissuade.
«Va bene, entrate. Anch’io ho bisogno di lavorare.»
«Hai detto una bugia e stanotte ti cresce il naso» puntualizza Leo subito dopo.
«Ce ne vogliono tre di fila per farlo crescere.»
«Non è vero, ne basta una.»
«Al mio Paese tre.»
«Ma sei in Italia.»
«Sì, ma per me valgono le leggi romene.»
«Ah» fa Leo a corto di argomenti. Ma riparte subito: «Voglio un Twix».
«Ne hai già mangiato uno dopo colazione.»
«Ne voglio un altro.»
«Ma poi prometti che stai buono? Che leggi il libro e non dai fastidio a Raluca?»
«Prometto. Guarda.»
Incrocia davanti alla bocca gli indici di destra e sinistra e fa giurin-giuretta.
Codrina gli consegna il Twix, che Leo si mette in tasca, poi si piega a stampargli un bacione sulle guance.
Gloria si osserva i piedi. Giusto per non avvertire troppo il doloroso fastidio che le procura l’allattamento di Marta. È un’idrovora, non una lattante, pensa. La guarda distrattamente: grinzosa, rossa per lo sforzo del succhiare, quasi calva. Bruttina, come quasi tutti i neonati. Speriamo che crescendo migliori, come è capitato a suo fratello.
Sono proprio belli i miei piedi, si compiace invece: le dita digradanti in scala dall’alluce a… alluce melluce trillice pondolo mellino, sì, al mellino; la pelle morbida e liscia, nessuna asperità e unghie perfette, farebbero impazzire un feticista podofilo e però Daniele non li considera e non me li bacia mai. L’unica parte del corpo che non ha subito danni, l’unica che non mi tocca restaurare. Creme gel lozioni ma soprattutto sfiancarsi con la ginnastica, sperando che basti. Però gravidanze stop, ho già dato, voleva la coppia e io gliel’ho scodellata giusta giusta, ma finisce qui. Lui, a dispetto dell’apparenza, è nato pater familias, io invece tutto questo bisogno di figliolanza non l’ho mai sentito tanto, forse mi sarebbe venuto più avanti, chissà.
Stacca dal seno sinistro la bambina che subito mugola e poi piange, l’attacca sbuffando a quello destro e si chiede se avrà davvero la pazienza di lasciarsi mungere per sei mesi, come le ha ripetuto il neonatologo il giorno prima.
Appena sono scesi dal pulmino dell’asilo, Loretta ripete le raccomandazioni:
«Tenete sempre il berretto in testa e non sfilatevi dal collo la targhetta di riconoscimento. Capito?»
«Sììì» cantilenano in coro i bambini.
Poi si avviano in fila per due attraverso il piazzale e da lì verso l’ingresso, una maestra in testa e l’altra in coda al drappello. Portarli in giro è sempre una responsabilità che genera una certa inquietudine, perché i bambini sono imprevedibili e accampano necessità varie nei momenti meno opportuni: gli scappa la pipì o la cacca, hanno sete o fame, caldo o freddo, le scarpe da allacciare, il naso da smoccolare, un bruscolo che gli irrita un occhio. E hanno la tendenza a uscire dal gregge, pecorelle indisciplinate senza un cane da pastore per rimetterli in riga, ché le maestre di dentate ai garretti non ne possono dare. E neppure uno scapaccione, se no finiscono sui giornali e poi in galera.
Per facilitarsi un po’ la vita (e perdere gratis due ore del proprio tempo), ...