Quando Lola ha capito che c’era davvero una possibilità di visitare Bradford, per poco non sveniva dall’emozione. Abbiamo subito chiamato Agatha, sbracciandoci dalla finestra aperta della cucina. Lei è scesa dalla scala, ha appoggiato chiodi e martello a terra e ci ha raggiunti.
Lola le ha spiegato quanto fosse importante per lei vedere il luogo dove ha vissuto il suo idolo, riferendo poi i timori dei suoi genitori e la possibile soluzione che avevamo trovato: cioè… Will!
— Starò attento che tornino a casa sane e salve — ha promesso, portandosi una mano al cuore.
Agatha ha ascoltato in silenzio, chiaramente perplessa. — Non sono certa che la presenza di una “guida locale” sia sufficiente per tranquillizzare tua madre — ha commentato poi.
— Verifichiamo subito! — ha esclamato Lola con aria decisa, recuperando il suo telefono dalla tasca dei jeans.
Mentre noi tutti la osservavamo trattenendo il fiato, lei ha telefonato a casa per spiegare la situazione. Lola è stata abilissima a mettere tutti i nostri progetti nella giusta luce, molto più brava di quanto sia io quando arriva il momento di convincere mia madre a lasciarmi fare qualcosa.
— È solo una gita in una cittadina a pochi chilometri di distanza, e saremo accompagnate da un nostro amico che abita qui e sa perfettamente come muoversi! — ha argomentato. Poi è rimasta in silenzio per un tempo che è sembrato a tutti infinito, prima di sollevare un braccio in alto in segno di silenziosa esultanza. Ce l’aveva fatta, aveva il permesso di sua madre! Agnes era sicura che i suoi genitori non avrebbero fatto storie, io ho pensato che sarebbe stato meglio avvisare mia madre solo quando fossi stata pronta a rispondere alle sue mille domande.
Agatha allora si è subito data da fare. È stata fantastica: ha controllato l’orario ferroviario, scoprendo che c’era un treno in partenza mezz’ora dopo la fine delle lezioni. Saremmo riuscite a prenderlo, se lei fosse venuta a recuperarci al college per portarci in stazione in macchina. Per tornare non c’erano problemi: ogni ora da Liverpool partiva un treno locale che fermava prima a Bradford, poi a Whitworth.
Eravamo così elettrizzate ed entusiaste – Lola saltellava letteralmente per la cucina, sotto lo sguardo perplesso di Phil – che Agatha ha chiamato anche la segreteria del college per scoprire quali permessi avremmo dovuto ottenere per trascorrere un pomeriggio da soli, lontano dalla scuola. La segretaria ha spiegato che serviva un documento firmato dai genitori e ci ha mandato via mail il modulo. A quel punto ci siamo attaccate al computer per scrivere messaggi imploranti alle nostre famiglie. Perfino Philippe, contagiato dall’entusiasmo generale, ha deciso di unirsi a noi nella nostra gita 1D.
— Vedrò qualcosa di nuovo — ha spiegato, stringendosi nelle spalle.
Agnes si è dovuta voltare per nascondere l’enorme sorriso che le illuminava il viso. Ormai Philippe era l’unico a non avere capito che genere di cotta mortale si era presa.
Mentre stavamo ancora discutendo delle cose che avremmo potuto fare in città, il mio telefono si è messo a squillare. Era mia mamma, che dall’ufficio aveva letto la mia mail. Mi sono seduta sulle scale, in disparte, e ho risposto.
— Allora, Dolcetto! — ecco uno degli assurdi soprannomi che mi propina — organizzi escursioni con i tuoi nuovi amici? — ha esordito, e si capiva benissimo dal tono di voce che stava sghignazzando: da preside è abituata ad avere sempre ragione. Me lo aveva detto che mi sarei divertita in Inghilterra, no?
— Posso-posso-posso? — l’ho implorata.
Ma, per una volta, erano necessarie preghiere strappalacrime. È bastato rispondere alle sue domande e convincerla che non mi stessi cacciando in qualche casino, perché lei scaricasse il modulo, lo firmasse e me lo inviasse subito indietro. Sapevo bene che si stava mordendo la lingua per non dire “te l’avevo detto”. Conoscendola, sarebbe stata più che felice di farmi notare che aveva avuto ragione, che era bastata una settimana per conoscere nuovi amici, ambientarmi e ritrovarmi con le giornate piene di cose da fare.
Quando mi ha salutato, alla fine della telefonata, non ha resistito. — Alla fine questa vacanza si sta rivelando proficua. Anche se forse non li incontrerai di persona! — ha detto. Io sono stata zitta, non me la sono sentita di polemizzare.
Comunque no, benché quello di incontrarli di persona in Sardegna fosse solo un sogno, sarebbe stata un’altra cosa. Ma anche visitare Bradford non era affatto male.
Mentre infilavo il cellulare nella tasca dei jeans, Will mi ha raggiunto e si è seduto sullo scalino, accanto a me.
— Grazie! — gli ho detto.
— Figurati. È un’ottima occasione per sfuggire alla noia mortale di questo minuscolo villaggio e passare un pomeriggio in città.
— Così trascorrerai una giornata diversa dal solito grazie agli One Direction: dovresti essere più riconoscente nei loro confronti! — ho esclamato, scherzando.
— Già — ha ammesso. — Spero che sarai felice di vedere dove è nato e cresciuto uno dei tuoi idoli — ha aggiunto, dedicandomi uno dei suoi sorrisi più belli. Per un attimo ho sentito lo stomaco stringersi; ha un modo tutto suo di guardarti e farti sentire speciale. Per la prima volta ho notato che i suoi occhi erano chiari e profondi come quelli di Harry. Poi, proprio mentre cominciavo a pensare che non era poi così male, il suo sorriso si è trasformato in un ghigno divertito.
— E, considerato che se andiamo a Bradford è per merito mio che vi accompagno, credo che da adesso sarò io a scegliere che musica ascoltare! — ha detto, staccando il mio iPod dallo stereo e scegliendo un CD di musica classica.
Ecco, immagino che questo Harry non lo avrebbe fatto.
BRADFORD!
Due giorni dopo ho spalancato gli occhi mezz’ora prima che la sveglia suonasse, domandandomi come avrei potuto trascorrere un’intera mattinata in attesa del treno di mezzogiorno e mezzo, diretto a Bradford.
Mi sono alzata e vestita in tre secondi. Agatha mi ha accolto in cucina con una Super Breakfast, quella riservata per i giorni speciali: sul tavolo c’erano così tante cose da mangiare che quasi non restava spazio per la mia tazza. Mentre divoravo uova e pancetta (è incredibile quanto ci si abitui presto alle colazioni inglesi!), Agatha impacchettava panini con l’uvetta e dolcetti al cioccolato.
— Ve li porto quando vi accompagno in stazione, così avrete la merenda! — ha spiegato, infilando due muffin ai mirtilli in un sacchetto di carta e continuando poi a chiacchierare come suo solito. Solo che io ero così emozionata che non riuscivo a dire molto. Onestamente, avere la merenda mi sembrava l’ultima delle nostre preoccupazioni.
Tu accendi il mio mondo come nessun altro.
(What Makes You Beautiful)
continuavo a pensare. Non so come sia possibile, eppure le loro voci hanno questo potere su di me: gettano luce sui miei pensieri più cupi, illuminano le mie giornate.
Ho trangugiato l’ultimo boccone di pane e sono salita in bici, sperando intensamente che le quattro ore di lezione passassero velocemente.
— Ci vediamo più tardi — ha urlato Agatha dalla porta di casa, salutandomi mentre imboccavo il vialetto e pedalavo in bilico sulla mia bici da uomo. Aveva ancora in mano un muffin ai mirtilli.
Sono arrivata al college senza fiato. In aula ho trovato Lola che faticava a restare seduta, tanto era agitata. Aveva raccolto i lunghi capelli corvini con tantissime mollette argentate e piccoli fiocchi viola, indossava una maglietta decorata con la Union Jack. Stava davvero bene.
Come abbiamo fatto a resistere fino al suono della campanella resta un mistero. Mentre Mr Smith raccontava qualcosa in inglese (ovvio che non ho idea di che cosa esattamente stesse dicendo… io pensavo ad altro!), cercando di coinvolgerci in una discussione, io e Lola continuavamo a scambiarci messaggini scritti su fogli di carta strappati dalle pagine dei nostri quaderni. Agnes ha subito capito che per quella giornata non poteva fare affidamento su di noi, così ha preso appunti per tutte e tre, intercettando le domande di Mr Smith rivolte verso la parte di aula dove sedevamo.
Quando finalmente il prof ha raccolto i libri dalla cattedra augurandoci di trascorrere un buon pomeriggio, siamo scattate in piedi alla velocità della luce.
Io e Lola ci siamo scambiate uno sguardo emozionato: era arrivato il momento. Mi tremavano le gambe.
— Meglio che vi calmiate, voi due! — ha detto Agnes, raccogliendo i libri che avevo inavvertitamente fatto cadere nel tentativo di raggiungere la porta dell’aula di corsa.
Be’, io non potevo farcela, a calmarmi.
Fuori abbiamo trovato Agatha ad aspettarci: aveva parcheggiato la sua auto proprio davanti al college. Siamo corse da lei, urlando di mettere in moto e ridendo, esaltate per il pomeriggio che ci aspettava.
— Will e Philippe vi aspettano in stazione, hanno comprato i biglietti — ci ha spiegato, mentre si immetteva sulla strada principale, in uno stridore di pneumatici sull’asfalto.
Sedute sui sedili posteriori, io e Lola non abbiamo più fiatato fino a quando siamo arrivate in stazione, mentre Agnes chiacchierava con Agatha dal sedile davanti, riferendo di come Mr Smith ci avesse raccontato praticamente la sua intera vita – da come ha insegnato inglese nelle scuole indiane negli anni 80, al periodo in cui viveva in uno sperduto villaggio di pescatori nelle Highlands scozzesi – nel tentativo di stimolare conversazioni abbastanza interessanti da convincerci a discutere in inglese.
La macchina ha imboccato la Main Street voltando poi verso la piccola piazza della stazione. Il cielo era leggermente nuvoloso, ma un vento tiepido riscaldava l’aria.
Will e Philippe ci aspettavano seduti sulla panchina di legno davanti all’Olde River Inn, l’antica locanda del paese situata in un pittoresco edificio bianco, con le travi di legno che attraversavano la facciata.
Stavano parlando di motori e automobili, perché Will aveva da poco preso la patente e voleva trovare un lavoretto per racimolare dei soldi e comprarsi un’auto di seconda mano.
— Pronta? — mi ha chiesto sorridendo, mentre Agatha ripeteva a Philippe e Agnes gli orari dei treni per il ritorno, assicurandosi che anche loro avessero il suo numero di cellulare.
— Non sono sicura… — ho spiegato, titubante. — Visitare la città dove è cresciuto per me è una cosa davvero strana — ho cercato di spiegare.
Will mi ha passato un braccio attorno alla spalla, per farmi forza.
— Vedrai che sarai in grado di reggere l’emozione — ha detto. Mi stava chiaramente prendendo in giro.
— Will, non fare l’antipatico! La prossima volta andiamo tutti a vedere la casa di Mozart! — ho ribattuto, stupendomi di come il mio inglese si faccia brillante e pungente, quando sono con lui.
— Non so che cosa sai dell’Inghilterra, ma è bene che ti avvisi: Bradfort non è nulla di eccezionale, se paragonato a Vienna.
Ho risposto con un’occhiataccia e lui si è messo a sghignazzare divertito.
Per tutti i quaranta minuti di viaggio in treno io e Lola ascoltiamo la musica dividendoci gli auricolari del mio iPod. Attraversiamo prati verdi, lievi colline e piccoli villaggi di casette a schiera. Agnes, Philippe e William chiacchierano di una festa al fiume che alcuni ragazzi della nostra classe stanno organizzando per sabato sera; Will dice che sarà spettacolare e che non vuole perdersela, ma non intende andare senza Philippe. Io smetto di ascoltare: sono su un altro mondo, dove non c’è nulla oltre alla voce di Harry.
E poi, finalmente, il treno entra in stazione. Tiro un profondo sospiro e scendo, subito seguita dagli altri; sulla banchina un cartello ci dà il benvenuto in città. La stazione si affaccia su una piccola piazza piuttosto affollata. Io mi guardo attorno; sono abbastanza abituata alle città, ma trovarsi in un posto completamente sconosciuto, all’estero, fa una strana impressione. È bello che ci sia Will con noi, così non dobbiamo preoccuparci minimamente di orientarci. Lui sembra leggermi nel pensiero, perché si avvicina a me e mi bisbiglia nell’orecchio: — Tranquilla, so perfettamente dove andare.
Poi alza un braccio a indicare una direzione e ci guida con fare sicuro attraverso un paio di strade piuttosto trafficate, verso le vie pedonali del centro, con le mani affondate nella sua felpa. Lola continua a guardarsi intorno, come se temesse di perdersi qualche particolare.
— Speri di incontrarlo per strada? — chiede Philippe.
— No! In questo periodo Zayn vive a Londra, e comunque è spesso in giro per registrare nuovi pezzi o suonare ai concerti — risponde lei (è molto preparata sull’argomento, grazie anche alle riviste che ho comprato). — Ma non è comunque fantastico pensare che questa è la città in cui è nato e cresciuto?
— Uhm… sì, perché no — dice lui, passandosi una mano tra i capelli. Si capisce lontano un chilometro che non la pensa affatto così ma non ha voglia di mettersi a discutere.
Agnes ne approfitta per avvicinarsi a Philippe e fare altre domand...