L'animo leggero
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L'animo leggero

  1. 216 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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L'animo leggero

Informazioni su questo libro

Marta ha dieci anni e tre amiche. Insieme hanno inventato un gioco crudele e segreto: a turno una di loro diventa la nemica del gruppo, quella su cui riversare tutto l'odio di cui sono capaci. Ogni settimana scolastica prevede cinque giorni di solitudine, di corse fino a casa per non farsi fare male; cinque giorni di complicità negata, di sguardi affilati, minacce; cinque giorni d'insulti, di paure, senza lasciare che nessuno, al di fuori del loro piccolo gruppo, se ne accorga. D'altro canto il mondo dei grandi non sembra avere molto da offrire: tra i genitori di Marta le cose non funzionano da tempo, e la città in cui vivono è attraversata da tensioni costanti e quotidiane. Perché Marta abita in Alto Adige, una terra divisa - tra K, i tedeschi, e V, gli italiani arrivati dopo la Prima guerra mondiale. Una terra ricca eppure lacerata in ogni gesto quotidiano dalle regole della "proporzionale etnica" e, ancor più, dalla lama della lingua che nomina ogni oggetto con parole diverse e rivali. Crescere qui significa farsi carico di un'eredità di divisioni, prepotenze, speranze, e iniziare presto a interrogarsi su ciò che ci unisce e ci oppone gli uni agli altri. Per i grandi come per i piccoli, molte sono le guerre esplose, dentro e fuori casa, molti i suoni che scivolano nelle orecchie e si insinuano nella memoria per sempre. Sopra a tutti quello di una goccia che, dicono, sale le scale, di tanto in tanto, e martella le notti del condominio di Marta con il suo rintocco incessante e misterioso.
Per fortuna, Marta ha una passione in grado di aprirle in ogni momento una porta sull'incanto: la musica. Solo che per riuscire a sentirla forte e nitida dovrà liberarsi dagli stridori e dai rumori di fondo, respirare profondamente e prestare orecchio alla melodia che, inascoltata, suona dentro di lei.
Al suo esordio, Kareen De Martin Pinter racconta la formazione di una bambina piena d'immaginazione e sentimento, colta nell'attimo prima della separazione dall'infanzia. Nel suo sguardo limpido, fatti privati e avvenimenti storici si mescolano come in un caleidoscopio narrativo di intensa energia emotiva. Per raccontarci come una ragazzina può scrollarsi dalle spalle il peso dell'odio e imparare a camminare nel mondo con l'animo leggero.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
Print ISBN
9788804624752
eBook ISBN
9788852036071

1

Amiche-nemiche

«Aprite la porta! Aprite la porta!»
Marta grida con tutto il fiato che le è rimasto, e intanto batte con la mano aperta contro la porta di legno della cantina. Per i colpi si staccano scaglie di vernice e pulviscolo che bruciano negli occhi. Si porta le mani a conca sulle palpebre chiuse per alleviare il fastidio.
Ora il tempo diventa davvero lungo. Immersa nel buio, inizia a tossire, gli ambienti piccoli e bui le pesano sul petto, tutta quella polvere le gratta la gola. Non vuole muoversi, come se modificare lo spazio intorno a sé potesse dare il via a una serie di reazioni a catena: qualcosa che muoverebbe qualcosa, che muoverebbe a sua volta qualcosa. Di sicuro quella vecchia cantina è piena di vita, una valanga di insettini che si stanno spostando in gruppo, disturbati dalle onde che emanano le grida, il rumore, la sua stessa presenza. Se smette di ansimare per un momento e trattiene il respiro sulla punta dei polmoni, può sentire lo scalpiccio denso e compatto di una miriade di zampette in movimento. Le sembra persino di distinguere una macchia più scura, nella colata di nero in cui si trova, che scansa i suoi piedi, sollevando un minuscolo spostamento d’aria, come un alone tiepido.
«Per favore, per favore, fatemi uscire da qui, vi prego, non respiro bene!» aggiunge poi, più piano.
Continua a parlare al plurale, rivolgendosi alle amiche-nemiche che l’hanno rinchiusa là dentro. Non può credere che l’abbiano davvero abbandonata, come avevano minacciato di fare, e se ne siano tornate tranquille ognuna a casa propria. Marta è la nemica della settimana. Le sue amiche-nemiche l’hanno rinchiusa nella cantina della casa abbandonata, poco distante dalla scuola, dopo aver iniziato a spintonarla appena fuori dall’aula.
Colpa sua: avrebbe dovuto attraversare prima la strada, non passare davanti al negozio di biciclette ed evitare di avvicinarsi a quel vicoletto sterrato con due ali di cespugli incolti ai lati che s’infila a destra e porta dritto ai binari della ferrovia. La casa, si dice in giro, è maledetta. Da fuori non è niente altro che una vecchia casa dei ferrovieri a due piani, con il tetto sventrato, molti muri crollati e altri anneriti da un incendio. Nessuno l’ha più rimessa a posto e nessuno ha intenzione di farlo. È un brutto ricordo, dicono gli abitanti del quartiere.
Così, giorno dopo giorno, gli animali si sono impossessati dello spazio lasciato vuoto dagli uomini, calandosi dal tetto, penetrando dai vetri rotti e dalle pareti slabbrate, sgusciando attraverso le fessure, risalendo le tubature.
Nel periodo scolastico le quattro amiche-nemiche – Elena, Lorena, Susanna e Marta – per una settimana a testa diventano la nemica del gruppo, su cui viene riversato tutto l’odio di cui sono capaci, tutto l’odio accumulato. Hanno dieci anni e vivono a qualche centinaio di metri l’una dall’altra. Alla nemica della settimana infliggono punizioni, fanno dispetti, la picchiano anche. Visto che sono in classe insieme, il segnale arriva puntuale il lunedì mattina, in aula, con una smorfia compatta sul volto delle altre tre compagne. Un segnale di guerra lanciato arricciando il naso, come in presenza di un cattivo odore, e spingendo le labbra all’infuori, come per dare un bacio, mentre gli occhi si assottigliano e le sopracciglia si avvicinano. Se potessero gridare, uscirebbe un suono cavernoso, lungo e ritmato, di quelli che partono dal fondo della pancia. E la quarta capisce, tocca a lei. I nomi scorrono veloci in ordine alfabetico, a partire dalla prima a cui tocca: Elena, Lorena, Marta, Susanna; Marta, Susanna, Elena, Lorena: una alla settimana, il giro è completo alla fine del mese, che settimana è? Prima, seconda, terza... oggi è la sua ora, la sua settimana da nemica, da braccata.
È l’amicizia che si rivolta addosso come una maglia tolta in fretta. Cinque giorni di solitudine, di corse fino a casa per non farsi fare male; cinque giorni di complicità negata, di sguardi affilati, minacce, cinque giorni d’insulti, di paure. Talvolta la nemica della settimana prova ad alzare gli occhi sull’amica più dolce, Susanna Tuttapanna, come la chiamano in cortile, nella speranza di un segnale di amicizia, al di sopra della ruota amiche-nemiche, un messaggio universale, che dica: lo so che ci vogliamo bene, non ti preoccupare, è solo un gioco. Ma subito le altre nemiche sentono odore di debolezza, intercettano lo sguardo, concentrano la propria furia contro la nemica, ripetendo la smorfia, martellante, come dire che no, non ci siamo dimenticate, non ci sfuggirai, non ci provare nemmeno, non hai scampo, non t’illudere. E intorno alla nemica si disegna un vuoto glaciale, asfissiante.
Il gioco vale solo nei giorni di scuola. Durante le vacanze, sabato e domenica, la guerra si interrompe. Nel corso degli anni, è capitato che anche la condotta scolastica abbia subito contraccolpi. Ci sono stati compiti strappati o gessi infilati nelle tasche della giacca e poi subito denunciati alla maestra, con le note sul registro che seguivano; merende rubate, ciocche di capelli tagliate, vestiti bagnati e scarpe nascoste dopo l’ora di ginnastica, parolacce urlate a squarciagola con immediata sospensione. Una volta Elena era finita in presidenza perché Lorena le aveva ficcato il diario dentro al gabinetto, intasando il bagno e lasciando che l’acqua fuoriuscisse sul pavimento. Il preside non capiva come Elena avesse potuto fare una cosa del genere, era considerata una brava alunna, di buona famiglia. Per tutto il tempo della ramanzina, la bambina aveva il viso avvampante di rosso, fino alle radici dei capelli.
Di solito le tre amiche circondano compatte la nemica e iniziano a prenderla in giro, a insultare i suoi genitori, a criticarla. L’aggressione fa perdere il controllo alla bambina isolata e cominciano a volare parole grosse, lacrime e urla, i bidelli accorrono, separano le litiganti e chiedono spiegazioni. Ma spesso il gruppo riesce a far cadere la colpa sull’unica che ha una versione discordante dalle altre.
È la legge del tutti contro uno e loro lo sanno bene. Hanno ormai una certa esperienza, sono anni che vanno avanti così, anche se nessuna delle quattro potrebbe dire come e quando è iniziata. Quando se lo chiedono tra loro, nei momenti di ozio trascorsi sedute tutte e quattro insieme sulle panchine del giardino di scuola ricoperte di scritte e di incisioni fatte coi coltellini, Marta ricorda solo che il giorno dei suoi sette anni lei era la nemica della settimana. Le avevano strattonato la collanina d’oro appena regalata dai nonni, spezzandola. Ricorda di essere tornata a casa con il viso zuppo di lacrime e il campanellino appeso alla catenina che risuonava, sordo, nella sua mano.
Contro Susanna si sfogano di più, perché è quella col visino più bello, dolce, un po’ grassottella, come Susanna Tuttapanna di una vecchia pubblicità. Elena è ricca di famiglia, i suoi genitori sono spesso in giro per lavoro o per vacanze e lei finisce sempre da una zia, dai nonni o con la baby-sitter. Marta ha la madre qui, i nonni lì, un padre che c’è e non c’è, e che comunque, anche quando c’è, non ci si può contare: un padre a intermittenza. Lorena è l’ultima di una sfilza di fratelli e sorelle, sta come un pezzo di carne arrotolato nella pancetta in fondo allo spiedino della vita e la bocca, allegramente aperta, la raggiunge quando ormai la pancia è sazia e l’alito cattivo.
Gli insegnanti non sospettano niente, vedendole pensano a litigate tra bambine e anche i genitori non danno troppa importanza alla cosa. In fondo hanno dieci anni, è normale giocare e poi litigare. Nessuno avrebbe mai immaginato uno schema tanto preciso, un rituale scrupolosamente codificato, a cui le bambine avevano aderito senza farsi troppe domande, senza sapere chi lo avesse iniziato e dove sarebbe andato a finire.
Nessuno avrebbe immaginato che le bambine, nelle loro litigate organizzate, spingessero i propri limiti sempre più in là, visitando gli anfratti delle debolezze le une delle altre, annusandosi, mettendo a nudo le paure e sperimentando cattiverie, scoprendosi capaci di cose mai pensate prima. E tutto questo senza mai sentirsi colpevoli. Finito il gioco, finiva tutto, anche l’odio.
Di solito è durante il tragitto da scuola a casa che le tre alleate si accaniscono. Lorena è la più pericolosa, non ha limiti e, se la sua indole selvatica può essere affascinante durante le ore libere, avercela contro è un incubo. È capace di strappare i capelli, rubare l’astuccio o i libri e non restituirteli mai più, sputare, spingere senza paura di farti sbattere la testa. Ecco, Lorena non ha paura di fare male, non teme nessuna conseguenza. È Lorena ad aver avuto l’idea di rinchiuderla dentro a quella cantina, Marta ne è sicura. Mentre riprende a battere sulla porta, con meno decisione, sente crescere contro Lorena una grande rabbia. Una spina le si infilza sotto la pelle dell’indice.
«Merda» dice sottovoce, stringendosi il dito con l’altra mano.
«Oh, non si dicono le parolacce, e nemmeno le bugie. Te lo ha appena detto la maestra, no?»
La voce ruvida di Lorena fa sobbalzare Marta, bucando la bolla in cui si credeva sola. Sembra così vicina che le viene il dubbio che si trovi proprio accanto a lei, da qualche parte lì nel buio. D’istinto si volta da un lato e dall’altro, allunga nel vuoto le braccia con le mani aperte.
“È rimasta qua tutto il tempo” pensa.
Di certo vuole godersi lo spettacolo in prima fila, osservare la paura crescere minuto dopo minuto e rinfacciarglielo alla prima occasione, prenderla in giro per come si lamentava. La debolezza è la cosa da nascondere alle amiche-nemiche. Lorena le è rimasta accanto, acquattandosi dietro la porta, per approfondire, spiare le sue ansie e tenerla in pugno.
D’un tratto Marta si sente in imbarazzo per essersi lasciata andare. È la seconda volta nel giro di poche ore che Marta si vergogna. Lorena ha ragione, l’insegnante di religione l’ha appena rimproverata in classe davanti a tutti, dandole addirittura della “bugiarda esibizionista”, come se le sue nemiche glielo avessero suggerito. Il coraggio che le ci era voluto per aprirsi e raccontare un episodio personale e segreto le si era ritorto contro, con violenza. Inizia a stancarsi di questi ribaltamenti continui, ha l’impressione di camminare su una strada ricoperta da un bel lenzuolo pulito, per non far vedere dove sono le buche. Lei avanza e ogni due o tre passi si ritrova con una gamba penzolante nel vuoto.
Di tanto in tanto, le maestre che finivano la lezione in anticipo si sedevano sulla cattedra e chiedevano, con fare amichevole, chi avesse qualcosa da raccontare, qualcosa successo al di fuori delle mura scolastiche, nel tempo libero, o a casa magari. Oggi Marta ha sfidato la sua condizione di nemica, si è messa in mostra alzando la mano davanti alla maestra di religione e dicendo che in effetti la notte prima le era accaduto qualcosa di molto strano, qualcosa di speciale. La maestra l’ha invitata ad alzarsi in piedi, per farsi udire meglio e per imparare a sentire il peso delle proprie parole. Marta si è alzata sbucando fuori tra il banco e la sedia, è stata assalita da una vampata di caldo, si è tirata su le maniche del maglione giallo canarino che sua nonna le ha fatto quest’autunno, e ha iniziato a raccontare.
Quella notte aveva dormito dai nonni, come succedeva spesso quando sua madre aveva il turno di notte in ospedale. La madre non si fida molto del padre, sa che farebbe arrivare Marta a scuola in ritardo e senza colazione dentro allo stomaco. Di solito, quando dormiva da loro, occupava il posto del nonno nel lettone insieme alla nonna, mentre il nonno dormiva nel lettino che era stato della figlia, sotto la finestra. Nel cuore della notte, però, Marta si era svegliata di soprassalto sentendosi tirare per un braccio così forte che stava per cadere dal letto. Qualcuno o qualcosa la tirava e non mollava. Si era aggrappata alla nonna e aveva iniziato a gridare: «Nonna, nonna, aiuto, qualcuno mi sta tirando fuori dal letto!». La nonna aveva stretto entrambe le mani intorno al braccio libero della nipote, tenendola forte. Intanto le diceva che non era nulla, doveva essere il nonno, e lanciava ammonimenti verso la parte oscura da cui proveniva la forza contro la nipote. Ma quella non lasciava la presa. Dalla bocca della nonna, che ormai iniziava ad avere meno forze, era poi uscita una domanda che aveva fatto gridare Marta ancora più forte: «Ma chi sei, cosa vuoi?». Marta si era immaginata allora delle forze oscure che la volevano tirare dentro al buio della notte. Il corpo irrigidito era stato scosso da un violento tremito, come un brivido di freddo concentrato e interno, molto interno, che scuote il cuore tenero dei muscoli senza nemmeno increspare la superficie. La nonna, per tranquillizzare la bambina che le ansimava accanto, le aveva detto che no, sciocchina, non doveva aver paura, era il nonno, certo, e aveva iniziato a chiamarlo per nome: «Mario, Mario, lascia la bambina!». Ma nessuno rispondeva. La nonna gridava a quel buco nero: «Lasciala andare, smettila, su, fa’ il bravo!».
Per un attimo Marta aveva pensato che fossero le sue amiche-nemiche: sapeva che il giorno seguente sarebbe iniziata la sua settimana. Ma non si vedeva niente, nel mezzo della stanza buia c’era solo quella forza che tirava. Dopo un po’ la nonna ha iniziato a gridare: «Mario, Mario, svegliati, è solo un incubo!». E le sue amiche-nemiche sono volate via, come aspirate.
È durato un minuto poi, così com’era iniziato, è cessato. Il braccio di Marta è ricaduto molle sul letto, la mano ha sbattuto contro il legno rimbalzando nel vuoto. Tutto si è quietato, come risucchiato via, lasciando un pulviscolo d’energia a turbinare nell’aria. La nonna si è messa a cercare a tentoni l’interruttore della lampada sul comodino e, quando la luce ha strappato il velo all’oscurità, non c’era niente di diverso rispetto a quando erano andate a dormire. Il nonno era sdraiato nel lettino con gli occhi chiusi e la bocca semiaperta. Era da tanto tempo che non faceva più incubi. In famiglia lo sapevano tutti, la nonna aveva minacciato di buttarlo fuori di casa diverse volte: le faceva prendere certi spaventi... diceva che in quei momenti sembrava un matto. Era un uomo grande e grosso, innocuo da sveglio, ma durante gli incubi urlava, imprecava, bestemmiava, strappava le lenzuola dal letto, si alzava e tirava calci alla sedia. Il giorno dopo non ricordava niente.
La porta della camera era accostata come al solito, per evitare che la luce del corridoio filtrasse senza però chiudersi dentro e isolarsi troppo dalla porta d’ingresso. La nonna, nonostante le suppliche di Marta di non lasciarla sola, si è infine alzata. Ha sfiorato il pavimento con i piedi, rimestando con i grossi alluci in cerca delle ciabatte. Poi, a carponi, ha guardato sotto il letto in mogano, come se un vecchio riflesso infantile appeso a una ruga degli occhi si fosse risvegliato, allegro: il Babau è sotto al letto!
È andata verso il corridoio, fino alla porta d’ingresso, per controllare che fosse ben chiusa. Ha ispezionato ogni stanza della casa, ogni finestra. Ha aperto una a una le ante del grande armadio della camera, per tranquillizzare la nipote che ripeteva: «Nell’armadio, nonna, guarda nell’armadio!». Nessuno. Intanto il nonno aveva persino iniziato a russare.
Così la nonna ha guardato Marta e senza sorridere le ha detto:
«Senti un po’ ragazzina, non so cosa sia successo, secondo me è stato il nonno. Forse dormendo ha fatto uno dei suoi incubi, forse è diventato un sonnambulo, ma ora va tutto bene, stiamo tutte e due bene, cerchiamo di non pensarci più e proviamo a dormire, domani c’è scuola.»
Marta, dopo qualche resistenza ammorbidita da una tazza di camomilla fumante, ha accettato di provare a riaddormentarsi e, per quella manciata di ore che la separava dal giorno, ha galleggiato appena sotto la superficie del sonno, appannando la notte con sogni agitati e respiri affannosi.
Stamattina, in classe, Marta ha alzato la mano e ha raccontato della forza nel buio che aveva cercato di trascinarla fuori dal letto. Alla fine, per farsi sentire ha dovuto lanciare le parole in alto, sopra agli sghignazzi dei compagni di classe, in particolare quelli delle tre amiche-nemiche.
La maestra l’ha lasciata finire, richiamando di tanto in tanto, senza troppa fermezza, i compagni all’ordine. Marta aveva le gote rosse e la voce tremula. Sentiva la lana pizzicarle la schiena sudata attraverso la sottile canottiera di cotone. Quando anche l’ultima parola si è spenta nella classe, la maestra l’ha guardata con intensità, facendole sentire gli occhi addosso. Poi, con il tono dolce che si usa con i matti, ha iniziato a dirle che non stava bene inventare delle storie assurde solo per attirare l’attenzione su di sé, che dire bugie era peccato. Di fronte alla testarda reazione di Marta, che ha continuato a difendere la verità della storia, la maestra le ha infine dato della bugiarda esibizionista. Marta però aveva ancora nelle orecchie il rumore delle ciabatte della nonna lungo il corridoio.
Solo quando l’insegnante ha minacciato di rifilarle una nota da far firmare a casa, la bambina si è zittita, sedendosi, e ha abbassato gli occhi inchiodandoli al banco. Il mondo fatto di penne e quaderni le traballava sotto il naso. Sentiva l’odore della gomma scaldata, qualcuno accanto a lei probabilmente cancellava qualcosa da un foglio di carta, consumandolo. Sotto lo sguardo di tutti i compagni, Marta ha azzerato ogni movimento: non voleva né piangere, né prendersi un castigo. Immobile, congelata, solo il cuore sventolava un po’ per tenerla in vita. È rimasta ferma anche sotto il tiro incrociato delle palline di carta intrise di saliva che Lorena ed Elena hanno preso a lanciarle.
Da fuori, oltre la porta della cantina, giungono i richiami delle altre due amiche-nemiche.
«Allora non siete andate via!» dice Marta, appiattita contro la porta. Può distinguere l’odore di Lorena. È soprannominata “la puzzola”, a causa della sporcizia antica appiccicata sulla pelle e sui vestiti. È un odore stratificato negli anni, che va dal dolce all’asprigno, come quello di una prugna secca su un cucchiaio di ferro scaldato dal sole.
I nonni di Lorena sono dei K e hanno un piccolo maso in montagna, non lontano dal loro quartiere, Lorena ci va spesso. Al posto del sangue, diceva per prenderla in giro qualche bambino V, nelle sue vene circola sterco di vacca. Marta quell’odore lo conosce bene e, al contrario, le scal...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. L'animo leggero
  3. Nota dell’autrice
  4. 1. Amiche-nemiche
  5. 2. Come neve dal cielo
  6. 3. La goccia
  7. 4. Pelle di serpente
  8. 5. Conigli in gabbia
  9. 6. Susanna nemica
  10. 7. Sotto il segno della scarpa
  11. 8. Lorena nemica
  12. 9. Dachau
  13. 10. Non sono un pezzo di carne!
  14. 11. La guerra
  15. 12. Elena nemica
  16. 13. La prova
  17. 14. L’amore può uccidere
  18. 15. Il concerto
  19. 16. Se solo riuscissi a respirare
  20. 17. Buonanotte, pipistrello
  21. 18. Fuochi
  22. 19. La donna che sarai
  23. 20. L’animo leggero
  24. Copyright