Quattro etti d'amore, grazie
eBook - ePub

Quattro etti d'amore, grazie

  1. 252 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Quattro etti d'amore, grazie

Informazioni su questo libro

Quasi ogni giorno Erica e Tea s'incrociano tra gli scaffali di un supermercato.
Erica ha un posto in banca, un marito devoto, una madre stralunata, un gruppo di ex compagni di classe su facebook, due figli.
Tea è la protagonista della serie tv di culto "Testa o Cuore", ha un passato complesso, un marito fascinoso e manipolatore.
Erica fa la spesa di una madre di famiglia, Tea non va oltre gli yogurt light. Erica osserva il carrello di Tea e sogna: sogna la libertà di una donna bambina, senza responsabilità, la leggerezza di un corpo fantastico, la passione di un amore proibito. Certo non immaginerebbe mai di essere un mito per il suo mito, un ideale per il suo ideale.
Invece per Tea lo è: di Erica non conosce nemmeno il nome e l'ha ribattezzata "signora Cunningham". Nelle sue abitudini coglie la promessa di una pace che a lei pare negata, è convinta sia un punto di riferimento per se stessa e per gli altri, proprio come la madre impeccabile di "Happy Days".
Le due donne, in un continuo gioco di equivoci e di proiezioni, si spiano la spesa, si contemplano a vicenda: ma l'appello all'esistenza dell'altra diventa soprattutto l'occasione per guardare in faccia le proprie scelte e non confonderle con il destino. Che comunque irrompe, strisciante prima, deflagrante poi, nelle case di entrambe.
Sotto la lente divertita e sensibile della scrittura di Chiara Gamberale, sempre capace di rivelare dettagli decisivi, ecco così le lusinghe del tradimento e del sottile ma fondamentale confine tra fuga e ricerca. Accanto a Erica e Tea, infatti, i loro uomini: i due mariti, un ex compagno di classe romantico e cinefilo, uno struggente personal trainer, un attore omosessuale in incognito, un fratello ricoverato in una clinica senza nome.
Tutti in fuga o forse alla ricerca, proprio come Erica e Tea. Tutti convinti che la soluzione sia comunque altrove. Sullo schermo della tv, di un cinema, sul palco di un teatro, su un social network, in un'isola esotica, negli psicofarmaci, in un'altra ricetta, un'altra camera da letto.
Perché vera protagonista di questo romanzo è l'insoddisfazione personale, e le possibilità che l'amore ha e non ha per metterla a tacere, o quantomeno contenerla.

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
Print ISBN
9788804616283
eBook ISBN
9788852036866
1 BARATTOLO DA 500 GRAMMI DI HÄAGEN-DAZS (MIDNIGHT COOKIES AND CREAM)
Meglio di niente.
Ma sì.
Le sorelle di Michele certamente capiranno che ho fatto male i calcoli, non c’era abbastanza salsa d’acciughe per tutti gli spiedini di mozzarella, una volta a tavola cercherò di fare io le porzioni per dare a loro quelli più aromatizzati: ma comunque se ne accorgeranno.
Forse non me lo faranno notare, perché dopo la rapina sono diventati tutti ancora più cari con me, ma se ne accorgeranno.
La pasta alla ricotta, poi, non è il massimo della fantasia, certo, però la torta alle noci è la preferita di mio suocero.
Ma sì: sempre meglio di niente.
È che mi manca il tempo, Dio mio, è come se scappasse, io lo rincorro, sto per prenderlo e quello di nuovo se ne va.
Oggi, per esempio.
Come è possibile che siano già arrivate le otto di sera, che io stia già apparecchiando la tavola, che fra mezz’ora, al massimo, Michele sarà qui, con i bambini e la sua famiglia?
Come è possibile?
Era solo l’una quando sono uscita dalla banca e sono andata a prendere Gustavo al nido.
Solo le due quando l’ho messo a riposare, dopo pranzo.
Solo le due e mezza quando ho fatto la spesa.
Solo le tre quando mi sono accorta che la tovaglia per stasera, quella grande con le api ricamate lungo il bordo, aveva bisogno di una rinfrescata.
Sempre solo le tre quando Gu si è svegliato.
Solo le quattro quando sono iniziati i “Teletubbies” e il pullmino della scuola ha riportato Viola a casa.
Solo le quattro e mezza quando Viola mi ha aiutata a preparare la torta e a sbattere le acciughe con la senape.
Solo le cinque quando è tornato Michele, e i bambini non se l’aspettavano, abbiamo voluto fargli una sorpresa, e: «Chi è che mi accompagna a mangiare un gelato da Parad Ice e poi in stazione a prendere i nonni e le zie?» ha chiesto lui, e loro ioioioioio, pazzi di felicità.
Adorano il gelato di Parad Ice, adorano i nonni, adorano le zie: adorano Michele.
Solo l’una, era solo l’una, erano solo le due, le tre, le cinque: e ora sono già le otto.
Meno dieci.
Dio mio.
Come si fa ad avere tempo per tutto quello che si ha da fare?
L’ho scritto proprio oggi, su facebook, appena Michele e i bambini sono usciti.
Del gruppo “Quelli della mitica B del Rousseau 1991-1996” era collegato solo Davide Morelli.
Speravo ci fosse Fulvio Renna, avrebbe commentato il post con una delle sue battute da morire dalle risate. Come gli vengono, mi chiedo – ce lo siamo sempre chiesto tutti. Una volta la Smith, la professoressa d’Inglese, lo aveva chiamato alla lavagna per interrogarlo e lui aveva risposto: «Ma scusi, non lo vede che sto ripassando Storia? Un po’ di rispetto: voi inglesi dovreste essere campioni d’educazione, no?». È uno così, Fulvio, imprevedibile, divertentissimo.
La sua ragazza per tutti e cinque gli anni era stata Paolina Catone, la più bella della classe. Non è iscritta al nostro gruppo, lei, sapevo che si era laureata in Legge, poi Giulia Fedrizzi un giorno ha scritto in un post che l’ha incontrata in metro, era più o meno sotto Natale, e che le ha raccontato (stanca, ha specificato Giulia, gliel’ha raccontato stanca) di avere sposato un ingegnere di Toronto e di essersi trasferita lì, in Canada.
Giulia le ha detto del nostro gruppo, ma Paolina niente: non si è iscritta.
Credo non si siano lasciati bene, con Fulvio.
Lei sembrava così innamorata.
Poveretta.
Continuo sempre a sperare che almeno non abbia mai saputo di quella notte al Circeo.
Ma no, come potrebbe.
Con Fulvio comunque, da quando c’è il gruppo, non ne abbiamo mai parlato. Giulia Fedrizzi era stata l’unica a sapere: ma anche lei, giustamente, fa finta di niente.
In fondo sono passati tanti di quegli anni.
– e chi lo sa, erica? ci vorrebbero giornate di trentasei ore!
mi ha risposto Davide Morelli.
Già. Ha ragione.
– o di quarantotto!
ho scritto io.
– forse invece bisognerebbe mandare tutto al diavolo e trasferirsi su una spiaggia alle hawaii, io adesso lavoro in un’agenzia turistica e tutti i clienti che ci sono andati mi dicono sia il posto più felice del mondo.
ha scritto lui. E ha allegato il videoclip di una canzone molto allegra, una specie di salsa, che non conoscevo. Se sapessi ballare, mi avrebbe messo voglia di farlo.
– mette voglia di ballare.
Io.
– mette voglia di prendere la vita come un hobby.
Lui.
Poi è squillato il telefono, era la madre della migliore amica di Viola, c’è un problema con una maestra, potrebbe essere trasferita in un’altra scuola e non ci vorrebbe proprio, i ragazzini le si sono talmente affezionati. Ha cominciato a parlare, poveretta, si agita così facilmente: è proprio una tragedia questa, diceva, noi genitori dobbiamo fare il possibile perché non accada, e io avevo il telefono in una mano, con l’altra ho scritto a Davide Morelli:
– perdonami, devo andare, buona serata.
e ho chiuso il collegamento.
Anche perché nel frattempo eccole: le otto.
E chi se le aspettava così presto. Dio mio. Con la tavola ancora da finire di apparecchiare, la doccia da fare, il vestito da scegliere.
Michele fa finta di no, ma ci tiene che non mi lasci andare.
Sei sempre la più bella, mi dice, però ogni tanto lo capisco benissimo che non lo pensa, o meglio: lo pensa ma non perché stia guardando me in quel preciso momento, lo pensa pensando alla fotografia che tiene sul display del cellulare.
L’ha scattata a Ferragosto di due anni fa, al lago: Gu fa una smorfia assurda, Viola un sorriso dolcissimo dei suoi, ancora più dolce perché due giorni prima era caduta dalla bici e le si era spezzato un incisivo. Io ho un vestitino stretto sul seno, che lo lascia intuire (ma non così aderente da fare saltare dritti i capezzoli: questo a Michele non piace, sono solo miei, dice), le ginocchia scoperte, ai piedi i sandali di cuoio chiaro che mi ha regalato lui tornando da un viaggio di lavoro a Milano.
Una fotografia a cui quando voglio posso ancora somigliare, e questa è una grande fortuna.
Non sarò stata la più bella della classe, come Paolina, ma forse è un bene, non so come dire: Giulia mi ha raccontato (in una chat privata, naturalmente, mica lo poteva urlare ai quattro venti) che quel giorno, sulla metro, le è sembrata proprio una donna qualunque e tutti i suoi difetti (la ricrescita castana che avanzava sulla tinta mogano, l’ombretto troppo pallido, il soprabito troppo largo) erano messi in evidenza proprio dalle cose che a sedici anni la facevano splendida (i riccioli lucidi che più maltrattava più si sistemavano da soli, attorno al visetto da bambolina, agli occhi d’inchiostro che mandavano segnali bui, pericolosi: scegli me, scegli me, scegli me, sembravano dire a tutto il mondo).
Insomma. Quelle che erano le più belle della classe a sedici anni e restano splendide anche dopo i trenta si contano sulle dita di una mano: sono quelle alla Tea Fidelibus, fanno le attrici, le ballerine, le modelle.
Mica sposano un ingegnere che le trascina, stanche, a Toronto.
Hanno la stranezza dalla loro: perché a sedici anni Paolina, Dio mio, era fantastica, sembrava avere inventato gli occhi, il modo di fare oscillare le braccia mentre si cammina, di tenere lo zaino. Ma non era strana, anzi, l’opposto: faceva sembrare strane tutte noi altre semplicemente per il fatto di NON essere Paolina Catone. Era un vantaggio il suo, lì per lì, era il, vantaggio. Eppure il tempo (sempre lui!, mentre sono già le otto e quattordici e sì, ok, vada per questo, con i fiorellini bianchi e i bottoncini lungo tutta la scollatura, Michele fra il primo e il secondo mi seguirà in cucina e mi sbottonerà i primi due, io gli dirò ma sei matto?, però mi farà piacere e comunque farà piacere a lui) se l’è presa con Paolina proprio per lo stesso motivo per cui noi le portavamo infinito rispetto, a scuola: non era una strana, lei. Somigliava a Kelly LeBrock nella Signora in rosso, le dicevano tutti. Tea Fidelibus a sedici anni sono certa non somigliasse a nessuno. Con quella faccia che non sta mai ferma, quegli occhi liquidi un giorno grigi un giorno acquamarina, quei capelli un giorno corti un giorno lunghi fino al sedere, somiglia solo a se stessa: e infatti non è diventata la moglie stanca di un ingegnere di Toronto, è diventata famosa.
Le strane fanno così.
Mangiano gelato a colazione, pranzo e cena, fanno l’amore mentre gli altri sono al lavoro, vanno in pigiama a fare la spesa (io l’ho vista una sola volta farlo, ma la cassiera in fondo a sinistra, che sa sempre tutto, mi ha assicurato che lo fa spesso: ed è proprio un pigiama! Senza dubbio: felpato, a quadretti rossi e blu).
Fanno come gli pare, insomma, le strane.
Noi altre, tutte, dobbiamo farci i conti: prima o dopo? Ragazzine meravigliose, che mentre vivono e basta non si preoccupano di una metro su cui saliranno da lì a vent’anni, stanche, e dove incontreranno un’ex compagna di superiori che osserverà (con una certa soddisfazione: va detto) la promessa infranta di quello splendore eterno, oppure donne piacevoli, che nella normalità del loro aspetto fisico fin da piccole, e con crescente astuzia, si impegnano a scovare due o tre particolari che un giorno, se ci metteranno un po’ di cura a prepararsi, faranno ancora esclamare al marito, sinceramente “sei sempre la più bella”?
Dobbiamo farci i conti tutte, noi altre.
Tea Fidelibus no.
Ha la stranezza dalla sua.
Ieri sulla Cronaca di Roma del “Corriere della Sera” ho scoperto che è sposata: non lo sapevo!
C’era un trafiletto in cui si annunciava che in un teatro occupato (da chi non lo specificavano, credo dagli studenti arrabbiati di qualche liceo: noi della mitica B ne sappiamo qualcosa perché per due settimane, in quinta, mi pare contro la guerra in Iraq o forse in Jugoslavia, ci eravamo rifiutati di fare lezione e avevamo proiettato vecchi film, organizzato dibattiti, do...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Quattro etti d'amore, grazie
  4. UN LITRO DI LATTE PARZIALMENTE SCREMATO
  5. 600 grammi di zucchine
  6. 2 pizze margherita surgelate
  7. 100 grammi di gherigli di noci
  8. 1 barattolo da 500 grammi di Häagen-Dazs (Midnight Cookies and Cream)
  9. 2 chili di mandarini
  10. 1 confezione di hamburger surgelati al tofu
  11. 6 uova
  12. 2 bottigliette di acqua naturale da mezzo litro
  13. 1 confezione di carote
  14. 1 bottiglietta di salsa di soia
  15. 1 costa di sedano
  16. 1 cestino di fragole
  17. 1 confezione di acqua naturale
  18. 6 lattine di Heineken
  19. 1 chilo di spaghetti Voiello
  20. 4 ciabatte di grano saraceno
  21. 1 chilo di riso superfino Arborio
  22. 1 bottiglia di prosecco
  23. 1 retina di scalogni
  24. 1 zuppa di farro precotta
  25. 1 panetto di burro da 250 grammi
  26. 2 pacchi di farfalle Barilla
  27. 2 barbabietole
  28. 1 Autan spray
  29. 1 melanzana
  30. 1 barattolo di stranezza
  31. Quattro etti d’amore
  32. Niente
  33. Tutto
  34. 1 candela al muschio bianco
  35. 6 barattoli di conserva di pomodoro
  36. 1 barattolo di gelato alla fragola (forse)
  37. 1 pacchetto di Vigorsol
  38. QUALCHE PANETTONE
  39. Note e ringraziamenti
  40. Copyright