Novelle per un anno II
eBook - ePub

Novelle per un anno II

L'uomo solo / La mosca / In silenzio

  1. 644 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Novelle per un anno II

L'uomo solo / La mosca / In silenzio

Informazioni su questo libro

Queste tre raccolte pubblicate tra il 1922 e il 1923 comprendono novelle risalenti agli anni tra il 1899 e il 1922: vicende di solitudine spesso incentrate su personaggi beffati dalla vita in muta ribellione verso la società che li stritola.

Il secondo volume della raccolta completa della narrativa breve è arricchito da un'introduzione che mette in luce temi e peculiarità di ciascuna raccolta, da una dettagliata cronologia, un'aggiornata bibliografia e infine uno studio della variantistica che ricostruisce il multiplo e accidentato itinerario dei testi.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Novelle per un anno II di Luigi Pirandello, Simona Costa in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
Print ISBN
9788804609407
eBook ISBN
9788852036996

IN SILENZIO

In silenzio

– Waterloo! Waterloo, santo Dio! Si pronunzia Waterloo!
– Sissignore, dopo Sant’Elena.
– Dopo? Ma che dice? Come c’entra Sant’Elena adesso?
– Ah, già! l’isola d’Elba.
– Ma no! lasci l’isola d’Elba, caro Brei! Crede che una lezione di storia si possa improvvisare? E dunque segga!
Cesarino Brei, pallido, timido, sedette; e il professore seguitò a guardarlo per un pezzo, contrariato, se non proprio stizzito.
Quel ragazzo, della cui diligenza e buona volontà nello studio s’era tanto lodato ne’ due primi anni di liceo, ora, – cioè da quando aveva indossato l’uniforme di convittore del Collegio Nazionale, – pure stando attento attentissimo alle lezioni da quel bravo alunno che era, eccolo là: neanche le vere ragioni per cui Napoleone Bonaparte era stato sconfitto a Waterloo sapeva più penetrare!
Che gli era accaduto?
Non se ne sapeva render conto nemmeno lo stesso Cesarino. Stava ore e ore a studiare, o per dir meglio, coi libri aperti sotto le grosse lenti da miope; ma non poteva più fermare l’attenzione su di essi, sorpreso e frastornato da pensieri nuovi e confusi. E questo, non soltanto dacché era entrato in collegio, come i professori credevano, ma da qualche tempo prima. Anzi Cesarino avrebbe potuto dire che a causa di questi pensieri appunto e di certe strane impressioni s’era lasciato indurre dalla madre a entrare in collegio.
La madre (che lo chiamava Cesare e non Cesarino) senza guardarlo negli occhi gli aveva detto:
– Tu hai bisogno, Cesare, di cambiar vita; bisogno d’un po’ di compagnia di giovani della tua età, e d’un po’ d’ordine e di regola, non solo nello studio, ma anche nello svago. Ho pensato, se non ti dispiace, di farti passare quest’ultimo anno di liceo in collegio. Vuoi?
S’era affrettato a rispondere di sì, senza pensarci su due volte; tanto turbamento la vista della madre gli cagionava da alcuni mesi.
Figlio unico, non aveva conosciuto il padre, il quale doveva esser morto giovanissimo, se la madre si poteva ancora dir giovane: trentasette anni. Lui già ne aveva diciotto: cioè proprio l’età che aveva la madre quando aveva sposato.
I conti tornavano; ma, veramente, l’essere sua madre ancora giovane e l’avere sposato a diciotto anni, non voleva poi dire che, per conseguenza, il padre doveva esser morto giovanissimo, perché la madre poteva avere sposato uno maggiore d’età di lei, e fors’anche un vecchio, eh? Ma Cesarino aveva poca fantasia. Non s’immaginava né questa né tant’altre cose.
In casa, del resto, non c’era alcun ritratto del babbo, né alcuna traccia ch’egli fosse mai esistito: la madre non gliene aveva mai parlato, né a lui era mai venuta curiosità d’averne qualche notizia. Sapeva soltanto che si chiamava Cesare come lui, e basta. Lo sapeva perché negli attestati di scuola c’era scritto: Brei Cesarino del fu Cesare, nato a Milano, ecc. A Milano? Sì. Ma non sapeva nulla neanche della sua città natale, o per dir meglio, sapeva che a Milano c’era il Duomo, e basta: il Duomo, la Galleria Vittorio Emanuele, il panettone, e basta. La madre, anch’essa milanese, era venuta a stabilirsi a Roma subito dopo la morte del marito e la nascita di lui.
Quasi quasi, a pensarci, Cesarino poteva dire di non conoscer bene neppure la madre. Non la vedeva quasi mai durante il giorno. Dalla mattina fino alle due del pomeriggio, ella stava alla Scuola Professionale, dove insegnava disegno e ricamo; andava poi in giro fino alle sei, fino alle sette, talvolta fino alle otto di sera, per impartire lezioni particolari anche di lingua francese e di pianoforte. Rincasava stanca, la sera; ma, pure in casa, in quel po’ di tempo prima di cena, altre fatiche, certe cure domestiche a cui la serva non avrebbe potuto attendere; e, subito dopo cena, la correzione dei lavori delle scolarette private.
Mobili più che decenti, tutte le comodità, guardaroba ben fornito, dispensa abbondantemente provvista, eh sì, sfido! con tutto questo gran lavoro della mammina infaticabile; ma che tristezza anche, e che silenzio in quella casa!
Cesarino, ripensandoci dal collegio, se ne sentiva ancora stringere il cuore. Quand’era là, appena ritornato dalla scuola, desinava solo, svogliato, nella saletta da pranzo, ricca ma quasi buja, con un libro aperto davanti appoggiato alla bottiglia dell’acqua sul riquadro bianco del tovagliolo apparecchiato lì per lì sulla tavola antica di noce; poi si chiudeva in camera a studiare; e, infine, la sera, quando lo chiamavano a cena, usciva tutto raffagottato, intorpidito, rannuvolato, con gli occhi strizzati dietro le lenti da miope.
Madre e figlio, cenando, scambiavano tra loro poche parole. Ella gli domandava qualche notizia della scuola; come avesse passato la giornata; spesso lo rimproverava del modo di vita che teneva, così poco giovanile, e voleva che si scotesse; lo incitava a muoversi un po’, di giorno, all’aperto; a esser più vivace, più uomo, via! Lo studio, sì, ma anche qualche svago ci voleva. Soffriva, ecco, a vederlo così uggito, pallido, disappetente. Egli le dava brevi risposte: sì, no; prometteva con freddezza e aspettava con impazienza la fine della cena per andarsene a letto, presto presto, poiché era solito di levarsi per tempo la mattina.
Cresciuto sempre solo, non aveva nessuna domestichezza con la madre. La vedeva, la sentiva molto diversa da sé, così alacre, energica e disinvolta. Forse egli somigliava al padre. E il vuoto lasciato dal padre da tanto tempo stava tra lui e la madre, e s’era sempre più ingrandito con gli anni. Sua madre, anche lì presente, gli appariva sempre come lontana.
Ora questa impressione era cresciuta fino a cagionargli uno stranissimo imbarazzo, allorché (molto tardi, veramente; ma Cesarino – si sa – aveva poca fantasia), per una conversazione tra due compagni di scuola, le prime infantili finzioni dell’anima gli erano cadute, scoprendogli improvvisamente certi vergognosi segreti della vita finora insospettati. Allora la madre gli era come balzata ancor più lontana. Negli ultimi giorni passati a casa, aveva notato ch’ella, non ostante il gran lavoro a cui attendeva senza requie dalla mattina alla sera, si conservava bella, molto bella e florida, e che di questa bellezza aveva gran cura: si acconciava i capelli con lungo e amoroso studio ogni mattina, vestiva con signorile semplicità, con non comune eleganza; e s’era sentito quasi offeso finanche dal profumo ch’ella aveva addosso, non mai prima avvertito, così, da lui.
Per togliersi appunto da questa curiosa disposizione d’animo verso la madre, aveva subito accolto la proposta d’entrare in collegio. Ma se n’era ella accorta? o da che era stata spinta a fargli quella proposta?
Cesarino, ora, ci ripensava. Era stato sempre buono e studioso, fin da piccino; aveva sempre fatto il suo dovere senza la sorveglianza d’alcuno; era un po’ gracile, sì, ma stava pur bene in salute. Le ragioni addotte dalla madre non lo persuadevano punto. Lottava intanto contro se stesso per non accogliere certi pensieri, di cui sentiva poi onta e rimorso; tanto più che, ora, sapeva ammalata la mamma. Da più mesi ella non veniva a visitarlo, le domeniche, al collegio. Le ultime volte ch’era venuta, s’era lamentata di non star bene; e, difatti, a Cesarino non era sembrata florida come prima; aveva anzi notato una trascuratezza insolita nell’acconciatura di lei, che gli aveva fatto sentire più acuto il rimorso dei pensieri cattivi suggeriti dalla soverchia cura ch’ella prima vi poneva.
Dalle letterine, che di tanto in tanto la madre gli inviava per domandargli se avesse bisogno di qualche cosa, Cesarino sapeva che il medico le aveva ordinato di stare in riposo, perché si era troppo e per troppo tempo affaticata, e proibito d’uscire, assicurando tuttavia che non c’era nulla di grave e che, seguendo scrupolosamente le prescrizioni, sarebbe senza dubbio guarita. Ma l’infermità si protraeva, e Cesarino già stava in pensiero e non gli pareva l’ora che l’anno scolastico terminasse.
Naturalmente, in tali condizioni di spirito, le vere ragioni escogitate dal professore di storia, per cui Napoleone Bonaparte era stato sconfitto a Waterloo, per quanti sforzi facesse, non riusciva a penetrarle bene.
Quel giorno stesso, appena rientrato in collegio, Cesarino fu chiamato dal Direttore. S’aspettava qualche grave riprensione per lo scarso profitto ricavato da quell’anno di studio; ma trovò invece il Direttore molto benigno e amorevole e anche un po’ turbato, all’aria.
– Caro Brei, – gli disse, posandogli insolitamente una mano su la spalla, – lei sa che la sua mamma...
– Sta peggio? – lo interruppe subito Cesarino, levando gli occhi a guardarlo, quasi con terrore; e il berretto gli cadde di mano.
– Pare, figliuolo mio, sì. Bisogna che lei vada subito a casa.
Cesarino rimase a guardarlo, con una domanda negli occhi supplichevoli, che le labbra non ardivano di proferire.
– Io non so bene, – disse il Direttore, comprendendo quella domanda muta. – È venuta una donna, poco fa, da casa, a chiamarla. Coraggio, figliuolo mio! Vada. Lascerò il custode a sua disposizione.
Cesarino uscì dalla sala della direzione con la mente scombujata: non sapeva più quel che dovesse fare, di dove prendere per correre a casa. Dov’era il custode? E il berretto? dove aveva lasciato il berretto?
Il Direttore glielo porse e ingiunse al custode di rimanere a disposizione del giovine anche per tutta la giornata, se occorreva.
Cesarino corse in via Finanze, ov’era la casa. Pochi passi prima di giungervi, vide il portone socchiuso e sentì mancarsi le gambe.
– Coraggio! – gli ripeté il custode, che sapeva.
Tutta la casa era sossopra, come se la morte vi fosse entrata di violenza.
Precipitandosi dentro, Cesarino cacciò subito lo sguardo nella camera della madre, in fondo, e la intravide, là... sul letto... lunga – fu questa, nello stordimento, la prima impressione, strana, di meraviglia – lunga, oh Dio, come se la morte l’avesse stirata, a forza; rigida, pallida più della cera, e già livida nelle occhiaje, ai lati del naso: irriconoscibile!
– Come?... come?... – balbettò più incuriosito quasi sulle prime, che atterrito da quella vista, stringendosi nelle spalle e protendendo il collo a guardare come fanno i miopi.
Quasi in risposta, venne dall’altra stanza, a infrangere orribilmente quel silenzio di morte, uno strillo infantile, roco.
Cesarino si voltò di scatto, quasi quello strillo gli fosse arrivato come una rasojata alla schiena, e tremando in tutto il corpo guardò la serva che piangeva in silenzio, inginocchiata presso il letto.
– Un bimbo?
– Di là... – gli accennò quella.
– Suo? – domandò, più col fiato che con la voce, allibito.
La serva accennò di sì, col capo.
Si voltò di nuovo verso la madre, ma non poté sostenerne la vista. Sconvolto dall’improvvisa, atroce rivelazione che lo istupidiva e gli strappava, ora, il cordoglio violentemente, si nascose gli occhi con le mani, mentre su dalle viscere sospese gli saliva come un urlo che la gola, strozzata dall’angoscia, non lasciava passare.
Di parto, dunque? morta di parto? Ma come? Dunque, per questo? E subito gli balenò il sospetto che di là, dond’era venuto quel pianto infantile, ci fosse qualcuno; e si voltò a guatare la serva odiosamente.
– Chi... chi?
Non poté dir altro. Con la mano che gli ballava voleva reggersi le lenti che gli scivolavano dal naso per le lagrime che intanto, inavvertitamente, gli sgorgavano dagli occhi.
– Venga... venga... – gli disse la serva.
– No... dimmi... – insistette.
Ma finalmente s’accorse che nella camera, attorno al letto, c’era altra gente ch’egli non conosceva e che lo guardava con pietoso stupore. Tacque e si lasciò condurre dalla serva nella stanzetta che aveva occupato prima d’entrare in collegio.
C’era di là la levatrice soltanto, che aveva da poco tratto dal bagno il neonato ancora gonfio e paonazzo.
Cesarino lo guardò con ribrezzo, e si volse di nuovo alla serva.
– Nessuno? – disse, quasi tra sé. – Questo bambino?
– Oh signorino mio! – esclamò la serva, giungendo le mani. – Che posso dirle? Non so nulla, io. Dicevo appunto questo alla levatrice qua... Non so proprio nulla! Qua non è mai venuto nessuno: questo glielo posso giurare!
– Non ti disse?
– Mai, nulla! Non mi confidò mai nulla, e io, certo, non potevo domandarle... Piangeva, sa? Oh, tanto, di nascosto... Non uscì più di casa, dacché cominciò a parere... lei m’intende...
Cesarino, raccapricciato, alzò le mani per accennare alla serva di tacere. Per quanto, nel vuoto orrendo in cui quella morte improvvisa lo gettava, sentisse prepotente il bisogno di sapere, non volle. L’onta era troppa. E sua madre n’era morta, ed era ancora di là.
Si premette le mani sul volto, accostandosi alla finestra per fare da solo, nel bujo della mente, le sue supposizioni.
Non ricordava d’aver veduto neanche lui, finché era stato in casa, nessun uomo, mai, che potesse dargli sospetto. Ma, fuori? Sua madre era vissuta così poco in casa! E che sapeva lui della vita ch’ella aveva condotto fuori? Che cosa fosse sua madre oltre il cerchio ristrettissimo delle relazioni che aveva avuto prima con lui, lì, le sere, a cena? Tutta una vita, a cui egli era rimasto sempre estraneo. Si era messa con qualcuno, certo... Con chi?... Piangeva. Dunque, costui l’aveva abbandonata, non volendo o non potendo sposarla. Ed ecco perché ella lo aveva chiuso in collegio: per sottrarsi e sottrarlo a una vergogna inevitabile. Ma dopo? Egli sarebbe pure uscito dal collegio, nel prossimo luglio. E allora? Intendeva ella forse di cancellare ogni traccia della colpa?
Schiuse le mani per guardar di nuovo il bimbo. Ecco: la levatrice lo aveva fasciato e messo a giacere sul lettino, in cui egli dormiva, quand’era in casa. Quella cuffietta, quella camicina, quel bavaglino... Ma no, ecco: ella intendeva di tenerselo, il bimbo. Lo aveva preparato lei, certo, quel corredino. E dunque, uscendo dal collegio, egli avrebbe trovato in casa quella nuova creaturina. E che gli avrebbe detto allora la madre? Ecco,...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Novelle per un anno II
  3. Introduzione
  4. Cronologia
  5. Bibliografia
  6. NOVELLE PER UN ANNO - Volume secondo
  7. L’UOMO SOLO
  8. LA MOSCA
  9. IN SILENZIO
  10. Appendice - Come correggeva Pirandello
  11. Copyright