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  1. 434 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Per i suoi vicini brasiliani Danilo Silva è solo un uomo come tanti. Qualcuno sostiene però che Silva in realtà sia l'avvocato americano Patrick Lanigan, dato per morto quattro anni prima in un incidente. Ora dagli Stati Uniti è arrivato qualcuno che ha delle domande da fare, a proposito di Lanigan e di novanta milioni di dollari scomparsi insieme al legale.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
Print ISBN
9788804454120
eBook ISBN
9788852039874

1

Lo trovarono a Ponta Porã, una piacevole cittadina brasiliana, a due passi dal Paraguay, in un territorio ancora conosciuto come la Frontiera.
Lo trovarono in un’ombreggiata casa di mattoni in Rua Tiradentes, un ampio viale con una fila d’alberi al centro e ragazzini scalzi che giocano a calcio sull’asfalto rovente.
Lo trovarono solo, per quanto si poté stabilire, anche se negli otto giorni in cui lo avevano sorvegliato di nascosto avevano visto una donna delle pulizie andare e venire nelle ore più disparate.
Lo trovarono che conduceva una vita comoda, ma certo non agiata. L’abitazione era modesta, sarebbe potuta appartenere a qualsiasi commerciante locale. L’automobile era un Maggiolino Volkswagen del 1983, fabbricata a São Paulo insieme a milioni di altre. Era rossa e pulita, lucida da scintillare. La prima fotografia gliel’avevano scattata mentre la incerava dietro il cancello della sua proprietà.
Lo trovarono molto dimagrito, ben sotto i centodieci chili dell’ultima volta in cui era stato visto. Carnagione e capelli erano più scuri, il mento era più squadrato e il naso più appuntito. Impercettibili modifiche al volto. Avevano pagato profumatamente per corrompere il chirurgo di Rio che lo aveva operato due anni e mezzo prima.
Lo trovarono dopo quattro anni di noiose ma puntigliose ricerche, quattro anni di vicoli ciechi, buchi nell’acqua e false segnalazioni, quattro anni di soldi buoni buttati al vento, soldi che sarebbe stato meglio spendere per qualcosa di più proficuo, sembrava.
Ma lo trovarono. E attesero. Ci fu la tentazione di sequestrarlo subito, drogarlo e portarlo in una casa sicura in Paraguay, prenderlo prima che lui li vedesse o che qualche vicino di casa s’insospettisse. Per l’eccitazione di averlo trovato ebbero voglia di agire all’istante, ma dopo due giorni si adattarono a pazientare. Oziarono in Rua Tiradentes, vestiti come la gente del luogo, a bere tè all’ombra, a evitare il sole, a mangiare gelati, a parlare ai bambini, a sorvegliare la sua casa. Lo pedinarono quando andò in centro a fare compere e lo fotografarono a distanza ravvicinata nel momento in cui uscì dalla farmacia. Gli si accostarono a pochi passi al mercato ortofrutticolo e lo ascoltarono parlare con il venditore. Un portoghese eccellente, con il leggerissimo accento di un americano o un tedesco che ha molto studiato. Dopo la rapida puntata in centro, fece direttamente ritorno a casa, ma la sua breve sortita aveva fruttato loro una decina di ottime istantanee.
In un periodo precedente della sua vita aveva fatto jogging, ma, negli ultimi mesi prima che scomparisse, il suo esercizio si era ridotto in misura inversamente proporzionale al peso. Ora che era quasi pelle e ossa, non c’era da meravigliarsi di vederlo correre di nuovo. Uscì di casa, chiuse a chiave il cancello e partì al piccolo trotto lungo il marciapiede di Rua Tiradentes. Nove minuti per il primo miglio, tutto in perfetto rettilineo, tra case sempre più diradate. Ai margini dell’abitato l’asfalto lasciava il posto alla ghiaia e a metà del secondo miglio l’andatura era scesa a otto minuti e il sudore era copioso. Era un mezzogiorno di ottobre e faceva caldo. In periferia aumentò ancora la velocità, passò davanti a una piccola casa di cura affollata di giovani madri, superò una chiesetta battista, s’inoltrò nella campagna a una velocità di sette minuti a miglio.
Correva da vero fondista e non potevano che compiacersene: Danilo si sarebbe tuffato da solo tra le loro braccia.
All’indomani del primo avvistamento un brasiliano di nome Osmar affittò un piccolo e sporco cottage nei sobborghi di Ponta Porã e di lì a poco fu raggiunto dal resto della squadra. Questa era costituita in egual misura da americani e brasiliani, con Osmar che impartiva ordini in portoghese e Guy che sbraitava in inglese. Poiché conosceva entrambe le lingue, Osmar diventò subito l’interprete ufficiale.
Guy era di Washington, ex funzionario del governo assunto appositamente per ritrovare Danny Boy, com’era stato soprannominato. Guy era considerato un genio per certi versi e un individuo di grandi capacità per altri. Il suo passato era un buco nero. Il contratto annuale per le ricerche di Danny Boy gli era già stato rinnovato per la quinta volta e, per quanto fosse abile nel dissimularlo, l’inutilità di tanti sforzi aveva cominciato a spingerlo verso la depressione.
Quattro anni e tre milioni e mezzo di dollari per un pugno di mosche.
Ma ora l’avevano trovato.
Osmar e la sua banda di brasiliani non sapevano nulla delle malefatte di Danny Boy, ma anche uno sciocco si sarebbe reso conto che doveva essere scomparso portando con sé una vagonata di soldi. Osmar però, nonostante la curiosità, aveva imparato presto a non fare domande, mentre Guy e i suoi americani si guardavano bene dal toccare l’argomento.
Gli ingrandimenti delle foto scattate a Danny Boy furono appesi alla parete della cucina del piccolo cottage ed esaminati da uomini arcigni che, fumando sigarette forti una dopo l’altra, presero a scuotere la testa. Si scambiarono bisbigli e confrontarono le foto nuove con quelle vecchie, quelle che risalivano alla sua vita precedente. Più basso di statura, diverso il mento, diverso il naso. Capelli più corti e pelle più scura. Era davvero lui?
Era già successo diciannove mesi prima a Recife, sulla costa di nordest, dove in un appartamento in affitto avevano esaminato altre foto appese al muro finché si era deciso di sequestrare l’americano e controllargli le impronte digitali. Impronte sbagliate. Americano sbagliato. Lo avevano imbottito di droga e abbandonato ai bordi di una strada.
Erano restii a scavare troppo in profondità nella vita attuale di Danilo Silva. Se era davvero il loro uomo, allora era ricco sfondato. E il denaro contante fa sempre miracoli con le autorità locali. Per decenni aveva garantito protezione ai nazisti e agli altri tedeschi rifugiatisi a Ponta Porã.
Osmar voleva andare a prenderlo. Guy era contrario. Il quarto giorno l’uomo scomparve e per trentasei ore il piccolo cottage si trasformò in un manicomio.
L’avevano visto uscire di casa sul suo Maggiolino rosso. Andava di fretta, secondo la segnalazione. Era filato diritto all’aeroporto, saltando all’ultimo momento a bordo di un piccolo velivolo, e se ne erano perse le tracce. La sua automobile occupava l’unico posto disponibile e fu sorvegliata per ogni secondo di ogni ora. La destinazione dell’aereo era São Paulo, con quattro soste durante il tragitto.
Si pensò all’istante di penetrare nella sua abitazione e catalogare ogni cosa. Dovevano esserci registrazioni riguardanti il denaro. Guy sognava di trovare rendiconti bancari, rapporti di movimenti di valuta, documentazioni contabili, tutto ordinatamente riposto in un incartamento che li avrebbe guidati al ritrovamento del malloppo.
Ma non era così ingenuo. Se Danny Boy si era dileguato per causa loro, allora non avrebbe mai lasciato alcun indizio dietro di sé. E se era davvero il loro uomo, la sua casa era senz’altro a prova di intruso. Dovunque fosse, era prevedibile che Danny Boy avrebbe saputo del loro intervento nel momento stesso in cui avessero aperto una porta o una finestra.
Aspettarono. Imprecarono e litigarono, con i nervi sempre più a fior di pelle. Guy fece la sua quotidiana telefonata a Washington, la conversazione fu rabbiosa. Tennero d’occhio il Maggiolino rosso. A ogni atterraggio spuntavano binocoli e cellulari. Sei voli il primo giorno. Cinque il secondo. Il piccolo cottage diventò un forno e gli uomini della squadra si trasferirono all’esterno, gli americani a sonnecchiare nel filo d’ombra di un albero rachitico sul retro e i brasiliani a giocare a carte vicino allo steccato antistante.
Guy e Osmar uscirono in macchina per ammazzare il tempo e si ripromisero che, se fosse tornato, questa volta lo avrebbero preso. Osmar era sicuro che sarebbe riapparso. Probabilmente era in viaggio d’affari, quali che fossero i suoi affari. Lo avrebbero sequestrato e identificato e, se fosse risultato che non era l’uomo giusto, lo avrebbero semplicemente scaricato in qualche strada di periferia prima di scomparire. Era già accaduto.
Rientrò il quinto giorno. Lo pedinarono fino alla sua abitazione in Rua Tiradentes e tutti furono felici e contenti.
L’ottavo giorno brasiliani e americani abbandonarono il cottage per prendere posizione.
Il percorso era di sei miglia. Era sempre stato lo stesso, tutte le volte che era uscito a correre, partendo pressappoco alla stessa ora, indossando gli stessi calzoncini blu e arancione, le stesse vecchie Nike, calze corte, niente maglietta.
Il luogo ideale si trovava a due miglia e mezzo da casa sua, oltre un dosso della strada sassosa, non lontano dal punto in cui lui girava per tornare indietro. Danilo arrivò in cima al dosso dopo venti minuti di corsa, con qualche secondo di anticipo sulla tabella di marcia. Correva più veloce, per qualche strano motivo. Forse le nuvole.
Dall’altra parte la strada era bloccata da un’automobile con una gomma a terra, bagagliaio aperto, martinetto inserito a sollevare il lato posteriore. L’automobilista, un giovane tarchiato, si finse sorpreso di veder apparire lo snello podista ansimante e lucido di sudore. Danilo rallentò l’andatura per qualche secondo. C’era spazio per passare sulla destra.
«Bom dia» salutò il giovane avanzando di un passo.
«Bom dia» rispose Danilo senza fermarsi.
All’improvviso l’automobilista estrasse dal bagagliaio una grossa pistola scintillante e gliela puntò contro. Danilo si bloccò, con gli occhi fissi sull’arma e la bocca aperta nel respiro affannato. Il giovane aveva mani grosse e lunghe braccia muscolose. Afferrò Danilo per il collo e lo trascinò verso la macchina, costringendolo ad abbassarsi sul paraurti. S’infilò la pistola in tasca e caricò il prigioniero nel bagagliaio. Danny Boy lottò e scalciò senza successo.
Il giovane chiuse il bagagliaio, calò l’automobile sul fondo stradale, buttò il martinetto nel fossato e ripartì. Un miglio più avanti imboccò uno stretto viottolo sterrato dove lo attendevano ansiosi i suoi amici.
Gli legarono i polsi con corde di nylon e gli coprirono gli occhi con uno straccio nero, poi lo caricarono su un furgone. Osmar si sedette alla sua destra, un altro brasiliano a sinistra. Qualcuno gli prelevò le chiavi dal marsupio che portava appeso alla vita. Il furgone partì senza che Danilo avesse aperto bocca. Sudava ancora e il suo respiro era sempre più faticoso.
Pronunciò le sue prime parole quando il veicolo si fermò su una strada polverosa che correva lungo un campo coltivato. «Che cosa volete?» chiese in portoghese.
«Zitto» gli rispose in inglese Osmar. Il brasiliano alla sinistra di Danilo prese una siringa da un astuccio metallico e la riempì di un liquido potente. Osmar trattenne saldamente Danilo per i polsi mentre l’altro gli conficcava l’ago nel braccio. Il prigioniero s’inarcò in uno spasmo, ma sapeva di essere impotente. Cominciò a rilassarsi prima ancora che il brasiliano avesse finito di iniettargli tutta la droga. La sua respirazione rallentò, la testa cominciò a girargli. Quando il mento gli cadde sul petto, delicatamente, con il dito indice, Osmar gli sollevò il pantaloncino destro e trovò esattamente quello che si aspettava di trovare. Pelle chiara.
Correndo si manteneva magro ma anche abbronzato.
I sequestri di persona erano un crimine comune nella Frontiera. Gli americani erano facili bersagli. Ma era quello il vero motivo? si chiedeva Danilo mentre la sua testa vagava e i suoi occhi si chiudevano. Sorrise mentre precipitava nello spazio siderale, schivando comete e meteoriti, scivolando beato tra pianeti e lune attraverso intere galassie.
Lo nascosero sotto cartoni di frutta. Le guardie annuirono senza alzarsi e Danny Boy si trovò senza saperlo in Paraguay. La cosa comunque non l’avrebbe interessato più di tanto in quel momento: sobbalzava inerte a bordo del furgone su strade sempre più accidentate e ripide. Osmar fumava una sigaretta dopo l’altra e di tanto in tanto dava indicazioni. Un’ora dopo il sequestro trovarono l’ultima curva. La baracca era in un anfratto tra due colline scoscese, quasi invisibile dalla strada. Lo trasportarono come un sacco di patate e lo rovesciarono su un tavolo nel rifugio dove Guy e l’esperto di impronte digitali si misero subito al lavoro.
Danny Boy russò immerso in un sonno profondo mentre gli venivano prese le impronte delle dita di entrambe le mani. Americani e brasiliani erano ammassati tutt’attorno a seguire ogni singola mossa. Vicino alla porta c’era una bottiglia di whisky ancora sigillata, per festeggiare nel caso avessero messo le mani sul vero Danny Boy.
Il dattiloscopista si ritirò in una stanza del retro, chiuse la porta a chiave e dispose le impronte per esaminarle. Aggiustò la luce. Posò sul tavolo le impronte campione, quelle prese a Danny Boy con il suo pieno consenso quand’era molto più giovane, ai tempi in cui si chiamava Patrick e chiedeva di essere iscritto all’ordine degli avvocati dello stato della Louisiana. Strana procedura, quella di prendere le impronte digitali agli avvocati.
Le serie erano entrambe molto nitide e balzò subito all’occhio che corrispondevano. Le confrontò lo stesso con la massima cura, a una a una. Non c’era fretta. Che stessero pure sulle spine, là fuori. Era un momento che assaporava. Finalmente aprì la porta e guardò con aria accigliata gli uomini in attesa del suo verdetto. Poi sorrise. «È lui» disse in inglese e fu salutato da uno scroscio di applausi.
Guy diede il permesso di aprire la bottiglia di whisky, da bere tuttavia con moderazione. C’era ancora da lavorare. Danny Boy, ancora in stato comatoso, ricevette un’altra dose di droga e fu trasferito in una piccola camera da letto senza finestra e con una porta di legno massiccio che si chiudeva dall’esterno. Era lì che sarebbe stato interrogato e, se necessario, torturato.
I ragazzini scalzi che giocavano a calcio in strada erano troppo impegnati nella loro partita per accorgersi di movimenti sospetti. Danny Boy aveva con sé solo quattro chiavi, così bastarono pochi secondi per aprire il cancelletto. Un complice al volante di un’auto a noleggio andò a piazzarsi sotto un grosso albero quattro case più avanti. Un altro, in moto, si fermò all’estremità opposta del viale e cominciò a trafficare attorno ai freni.
Se al momento dell’ingresso fosse entrato in funzione un sistema d’allarme, l’intruso se la sarebbe data a gambe in un batter d’occhio. In caso contrario, si sarebbe chiuso a chiave nella casa e avrebbe dato inizio all’inventario.
La porta si aprì senza che suonassero sirene. Il quadrante nell’ingresso segnalava che l’antifurto era spento. L’intruso respirò piano e rimase assolutamente immobile per un minuto intero. Poi smontò il disco rigido dal PC di Danny Boy e raccolse tutti i dischetti. Frugò tra le scartoffie che c’eran...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il partner
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. 18
  22. 19
  23. 20
  24. 21
  25. 22
  26. 23
  27. 24
  28. 25
  29. 26
  30. 27
  31. 28
  32. 29
  33. 30
  34. 31
  35. 32
  36. 33
  37. 34
  38. 35
  39. 36
  40. 37
  41. 38
  42. 39
  43. 40
  44. 41
  45. 42
  46. 43
  47. Ringraziamenti
  48. Copyright