La genesi di Shannara - 3. L'esercito dei demoni
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La genesi di Shannara - 3. L'esercito dei demoni

  1. 406 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La genesi di Shannara - 3. L'esercito dei demoni

Informazioni su questo libro

Dopo la distruzione della civiltà a causa delle guerre chimiche e batteriologiche, gli Elfi sono a rischio di estinzione e la loro unica salvezza sono le Pietre Magiche; Gli Elfi Kirisin e Simralin le hanno recuperate, ma devono rientrare nel loro regno superando l'assedio dei demoni senza poter contare sul Cavaliere del Verbo Angela Perez, rimasta gravemente ferita mentre li aiutava nella conquista dell'ultima e più potente Pietra Magica, il Loden. Pericoli d'altro genere minacciano i superstiti della razza umana, sfuggiti all'orda dei demoni e affidati alla protezione dell'altro Cavaliere del Verbo, Logan Tom, in attesa che si compia la profezia del Re del fiume Argento e il ragazzo Falco li conduca nel luogo sicuro dove potranno ricostruire una nuova civiltà. Né gli Elfi né gli uomini, però, sanno che la fine è ancora più vicina di quanto appaia...

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
Print ISBN
9788804597070
eBook ISBN
9788852036705

1

Wills camminava lungo i corridoi dell’inferno, alla ricerca del codice. Percorreva quei corridoi tutti i giorni, per tutto il giorno, pensando che si era lasciato sfuggire qualche nascondiglio e che quel giorno l’avrebbe trovato. Ma non era mai successo. E sapeva, nel profondo del cuore, che non sarebbe mai accaduto.
Era finita. Per ognuno di loro. Sotto tutti i punti di vista. Gli altri erano morti già da molto tempo. Tutto il reparto, spazzato via da qualche virus insinuatosi attraverso le prese d’aria, dopo aver superato i depuratori, i filtri e ogni altra difesa predisposta dai costruttori, tanti anni prima.
Certo, non erano morti contemporaneamente. Era accaduto solo per otto di loro, e ormai erano passati più di due anni. O almeno quelli che Wills riteneva fossero due anni. Laggiù era difficile misurare lo scorrere del tempo. I suoi compagni erano morti uno a uno, alcuni di malattia, altri ancora in buona salute, sfatando l’illusione che qualcuno potesse sopravvivere.
Nessuno ce l’aveva fatta. Tranne lui. Wills non aveva idea del perché. Non si sentiva diverso dagli altri, ma ovviamente lo doveva essere. Qualche piccolo particolare genetico. Un anticorpo che solo lui possedeva. Oppure si era sbagliato e si trattava di semplice fortuna. Lui era vivo e gli altri erano morti. Non c’era un motivo. Non c’era una ragione. Non c’era nessun premio per l’ultimo uomo ancora in vita. Solo un mistero senza soluzione.
Abramson e Perlo erano stati gli ultimi ad andarsene. Se si escludeva il maggiore Chissà-come-si-chiama: Anders, Andrews, qualcosa del genere. Non riusciva a ricordare altro. A ogni modo, per lei non si erano mai nutrite troppe speranze. Si era ammalata e non era più guarita. Quando era passata a miglior vita, era già morta da settimane sotto molti punti di vista, con il cervello in fumo, la memoria cancellata e un rivolo di saliva che le scorreva dagli angoli della bocca. Si limitava a starsene distesa a terra a fissarli, emettendo versi incomprensibili. Farfugliava a vuoto, ruotando gli occhi spalancati e con la faccia contorta.
Wills avrebbe messo fine a quella sofferenza, se solo ne avesse trovato il coraggio. Ma non lo trovò. Toccò a Perlo farlo. Perlo non nutriva i suoi stessi scrupoli. Non gli era mai piaciuta, spiegò. Anche quando non era in quelle condizioni, quando era normale, era irritante. Quindi gli fu facile puntarle la pistola alla testa e premere il grilletto. Se ne avesse avuto la possibilità, lei l’avrebbe ringraziato, disse in seguito.
Due settimane dopo, anche Perlo morì, ucciso dalla stessa pistola. Aveva deciso che non sopportava l’attesa e aveva premuto il grilletto una seconda volta. Lasciò agli altri due la pistola, con il caricatore quasi pieno e l’implicito invito a essere tanto saggi da imitarlo.
I due uomini non lo avevano ascoltato. Abramson era riuscito a tirare avanti ancora per quasi sette mesi, e in quel periodo lui e Wills avevano fatto una bella coppia. Erano entrambi ragazzi del Midwest, con alle spalle un matrimonio in giovane età, entusiasti servitori del loro paese, corso ufficiali, rapida carriera, pieni di amor di patria e orgogliosi di indossare l’uniforme. Prima di assumere posizioni di comando erano stati piloti. Tutto questo era morto e sepolto, ma a loro piaceva parlare dei bei tempi. Ricordare il passato faceva credere loro che, sebbene le cose fossero finite in quel modo, c’era stata una ragione per non mollare, la loro vita aveva avuto uno scopo.
Adesso, per Wills, era difficile ricordare quale fosse, quello scopo. Dopo la morte di Abramson non c’era più stato nessuno con cui discuterne, e con il passare del tempo la ragione della scelta si era consumata nel silenzio degli edifici del complesso. A volte cantava o parlava da solo, ma non era come farlo con qualcuno. Al contrario, lo faceva pensare ai racconti di prigionieri che impazziscono lentamente in cella d’isolamento, lasciati soli con se stessi e il suono delle loro voci per troppi mesi. O troppi anni. E per lui sarebbero stati anni, se le cose non fossero cambiate e non avesse trovato – o fosse arrivato – un altro essere umano.
Maggiore Adam Wills. Questo era stato e continuava a essere per l’esercito, un uomo al servizio del suo paese, sepolto nelle viscere della terra a un quarto di miglio di profondità, sotto tonnellate di roccia e di cemento armato, da qualche parte tra le Montagne Rocciose. Dove ormai si trovava da cinque lunghi anni ad aspettare.
Assaporò la parola. “Aspettare.” Smise di camminare e rimase fermo in mezzo a uno dei corridoi senza fine a ripensarci. “Aspettare.” Aspettare cosa? L’oggetto d’attesa era cambiato con il passare del tempo. All’inizio aveva aspettato la fine della guerra. Poi aveva aspettato che qualcuno venisse a dare il cambio ai militari sopravvissuti del centro di controllo missili. Poi aveva aspettato di essere liberato da qualcuno con l’autorità necessaria per dirgli che era tempo di andarsene, e che dalla superficie riaprisse le serrature degli ascensori.
Dopo aver capito che non c’era più nessuna autorità, per molto tempo aveva semplicemente aspettato una risposta ai suoi segnali radio. Non usava neanche più un codice di sicurezza. Si limitava ad aprire tutti i canali e chiedeva aiuto. Sapeva cosa stava accadendo sopra di lui. Le telecamere gli avevano raccontato quasi tutto. Una campagna brulla e sterile, pochi disgraziati riuniti in bande di predoni, una manciata di creature che non aveva mai visto prima e che sperava di non dover vedere mai più, una serie infinita di giornate di sole e neppure una goccia d’acqua. Il clima del Colorado era sempre stato secco, ma mai a quel modo. “Prima o poi dovrà piovere” diceva a se stesso.
O forse no?
Aspettare la pioggia.
Il governo era caduto ben prima che lui venisse assegnato a Roccia Profonda, il soprannome dato al complesso del controllo missili. A quel tempo era ancora sulla superficie, di stanza nel Nord Dakota, e viveva con la famiglia in un alloggio militare. Washington era stata cancellata durante il primo attacco, e la maggior parte delle città della Costa Orientale subito dopo. Erano già iniziati i cataclismi ecologici che avevano reso quasi inabitabile un’enorme fetta del paese. I terroristi erano all’opera. Le prime epidemie avevano iniziato a diffondersi. Alla fine gli era stato imposto di recarsi in quel luogo, per unirsi a coloro che erano stati assegnati ai bunker, alle postazioni interrate e alle installazioni segrete che crivellavano il paese. Già allora era un generale del Governo di Autorità Nazionale a dare gli ordini, non solo a loro, ma all’intero paese. Gli ordini erano spietati, tutti erano consapevoli che le cose andavano male, ma erano certi di poter superare quel momento. Tra loro c’era spirito di corpo, la sensazione di condividere una catastrofe in cui ognuno doveva aiutare il compagno. La loro sopravvivenza non era mai stata messa in dubbio, erano uomini in grado di fronteggiare il peggio.
Dopotutto gli americani lo avevano sempre fatto. Per quanto male andassero le cose, trovavano sempre una soluzione. E quello era il loro turno. Erano pieni d’orgoglio e di fiducia, certi di avere l’addestramento, la determinazione e le qualità necessari. Avevano accettato senza discutere di separarsi dalle loro famiglie.
Wills sorrise amaramente. Che pazzi ciechi erano stati.
Aveva perso ogni illusione ascoltando nelle ultime trasmissioni radio le descrizioni dell’isteria di massa, gli appelli e le disperate preghiere dei pochi reporter e speaker rimasti. In tutto il mondo la distruzione era stata completa e totale. Nessuno aveva avuto scampo. Attacchi armati, guerra chimica, epidemie, collasso ambientale e attentati terroristici: c’era quasi tutto nella lista delle varie forme di pazzia che avevano travolto l’umanità. Erano morti in milioni, e altri milioni erano in fin di vita. Centinaia di milioni in tutto il mondo. Intere città erano state rase al suolo. Non esistevano più governi, eserciti, qualunque cosa avesse una vaga somiglianza con il concetto di ordine. Wills aveva cercato di mettersi in contatto con la sua famiglia, rimasta nella base del Nord Dakota, ma non aveva avuto risposta. Dopo un po’ aveva capito che non l’avrebbe mai avuta. Erano morti anche loro: sua moglie, i due ragazzi, i genitori, tutti gli zii, zie e cugini, e forse tutti coloro che aveva conosciuto.
Sembrava che non esistesse più nessuno, tranne i pochi uomini imprigionati sottoterra a Roccia Profonda, anche loro in attesa del proprio turno.
Un turno che per tutti era arrivato troppo presto.
Wills camminava e camminava e camminava. Non aveva una destinazione, non seguiva un itinerario o un programma. Camminava per avere qualcosa da fare. Anche se il complesso contava solo otto stanze, i magazzini di stoccaggio e la cella frigorifera. Sebbene ci fossero solo tre brevi corridoi, che messi insieme misuravano meno di un centinaio di metri. Teneva sempre con sé il ricetrasmettitore portatile, collegato al centro di comunicazione, che a sua volta era agganciato al sistema satellitare. Era una perdita di tempo, ma lo faceva per abitudine. Prima o poi qualcuno avrebbe chiamato. Non si può mai sapere.
Si fermò davanti alla cella frigorifera e fissò le sue pesanti porte di ferro. Provò a pensare a quello che c’era dietro, ma solo per un momento, perché era il massimo che poteva sopportare. Diciassette uomini e donne, accatastati come legna da ardere, in uno spazio di otto per tre. Impilati assieme agli alimenti deperibili, ormai scaduti da tempo. Non poteva affrontare il pensiero di ciò che ne era stato dei corpi, nonostante la temperatura di congelamento mantenuta dal sistema refrigerante. Non c’era più entrato da quando aveva aggiunto il cadavere di Abramson alla pila, ed era abbastanza certo che non ci sarebbe più entrato. A che scopo?
Eppure rimase davanti alle porte a fissarle a lungo, mentre cupi pensieri gli si accavallavano nella testa. Ai vecchi tempi questo non sarebbe successo; non li avrebbero raggruppati tutti insieme in un posto, dove un virus li poteva spazzare via. Sarebbero stati assegnati a una decina di centri di controllo diversi. Non avresti trovato più di due o tre effettivi in ciascuno di essi, e ogni centro sarebbe stato responsabile solo di una manciata di silos. Ma verso la fine, quando ormai era chiaro che l’attacco nemico era imminente, le autorità avevano attivato quella base, pensando che fosse necessario un controllo centralizzato. Ampliata e migliorata, la base era così diventata la casa di decine di squadre che per oltre vent’anni si erano avvicendate, ogni volta aspettando la chiamata. Il suo gruppo di nove persone era stato l’ultimo ad arrivare alla base, ma la squadra precedente, di cui Abramson faceva parte, non aveva potuto lasciarla. Il Governo di Autorità Nazionale aveva deciso di sigillarli all’interno a titolo precauzionale. La rotazione del personale era stata temporaneamente sospesa.
Finché la situazione non fosse migliorata.
Quando Wills riprese a camminare, lo fece con ancor meno determinazione, a testa china. Doveva fare qualcosa, ma non sapeva cosa. Voleva solo andarsene, ma non era in grado di farlo con le sue sole forze. Almeno finché non avesse trovato il codice che cercava, il codice che avrebbe attivato gli ascensori e aperto le porte esterne. Era la logica di costruzione del complesso: impedire l’accesso di personale non autorizzato. I militari avevano pensato a tutto. Wills sogghignò. Certo, c’erano riusciti. Avevano solamente trascurato il particolare che quelli rimasti dentro, una volta perduto il codice, non sarebbero più usciti.
O forse non l’avevano trascurato. Forse a loro non interessava nemmeno.
Come ufficiale in comando, Aronez aveva portato il codice con sé al suo arrivo. Era l’unico a conoscerlo, lui e nessun altro. Dopo essersi unito a loro, lo aveva messo via e tutti se n’erano dimenticati. Quando prese il virus non pensò di comunicarlo a qualcuno. O forse ci pensò e decise di non farlo. Era un uomo freddo e calcolatore, esisteva quella possibilità. A ogni modo, era morto nel giro di ventiquattr’ore e il segreto del codice era morto con lui.
Ma Wills sapeva che doveva averlo annotato da qualche parte, una misura precauzionale che Aronez non avrebbe trascurato.
Così lo cercava. Ogni giorno, tutti i giorni. Senza darsi pace.
Non era sicuro del perché lo cercasse. Anche se fosse uscito, cos’avrebbe fatto? Era lontano miglia e miglia da tutto e non sapeva dove trovare un altro essere umano. La sua famiglia? La sua casa? I suoi superiori del Governo di Autorità Nazionale? Morti. Certo poteva esserci qualcuno in giro, ma era improbabile che fosse qualcuno che gli importasse. Ed era improbabile che fosse qualcuno che desse ordini, o prendesse il suo posto, o sapesse cosa bisognava fare.
Qualcuno in grado di alleggerire il peso che gli gravava sulle spalle, qualcuno a cui passare le due chiavi rosse che portava appese al collo. Tastò con le dita la loro superficie irregolare attraverso la stoffa della camicia. La sua e quella di Abramson. A dire il vero non era di Abramson. Il compagno l’aveva avuta alla morte di Reacher. L’aveva presa perché qualcuno doveva tenerla, in caso di necessità. Alla morte di Abramson l’aveva presa Wills.
Solo in caso di necessità.
Appunto, solo in quel caso.
Quando toccò le chiavi, pensò a ciò che un tempo sarebbe stato impensabile. Anche se non era un pensiero su cui soffermarsi. Anche se era un pensiero cupo e terribile.
Pensò ai missili.
Pensò di lanciarli.
Poteva farlo. L’aveva già fatto una volta, quando era il generale a governare il paese. Il generale aveva il codice e aveva dato l’ordine. Una manciata di attacchi chirurgici contro paesi e basi che, a loro volta, li avevano nel mirino. Wills aveva usato le chiavi assieme a un altro uomo. Chissà qual era il suo nome, Comb, Tomb, un capitano forse? Non riusciva a ricordarlo. Avevano girato nello stesso momento le chiavi per aprire gli interruttori e attivare gli inneschi. Avevano atteso che venissero caricati i dati delle traiettorie e si attivasse il meccanismo di lancio. Testate armate partirono da miglia di distanza, nell’assordante silenzio del loro centro di controllo sotterraneo.
Ma quella era stata l’ultima volta. Da allora non era accaduto più nulla. Il generale non li aveva più contattati. Nessun altro l’aveva fatto. Il pannello di comunicazione era rimasto silenzioso. Le telecamere avevano mostrato scorci di vita sulla superficie, in gran parte str...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. L’esercito dei demoni
  4. Capitolo 1
  5. Capitolo 2
  6. Capitolo 3
  7. Capitolo 4
  8. Capitolo 5
  9. Capitolo 6
  10. Capitolo 7
  11. Capitolo 8
  12. Capitolo 9
  13. Capitolo 10
  14. Capitolo 11
  15. Capitolo 12
  16. Capitolo 13
  17. Capitolo 14
  18. Capitolo 15
  19. Capitolo 16
  20. Capitolo 17
  21. Capitolo 18
  22. Capitolo 19
  23. Capitolo 20
  24. Capitolo 21
  25. Capitolo 22
  26. Capitolo 23
  27. Capitolo 24
  28. Capitolo 25
  29. Capitolo 26
  30. Capitolo 27
  31. Capitolo 28
  32. Capitolo 29
  33. Capitolo 30
  34. Capitolo 31
  35. Capitolo 32
  36. Capitolo 33
  37. Capitolo 34
  38. Capitolo 35
  39. Copyright