
- 1,104 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Anna Karénina
Informazioni su questo libro
Una signora dell'aristocrazia russa, fuggita all'estero con l'amante, non trova la serenità dello spirito nella nuova condizione, anzi finisce i suoi giorni con il suicidio. Uno dei romanzi più famosi di Tolstòj (1828-1910).
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Informazioni
Print ISBN
9788804539049eBook ISBN
9788852036781Parte sesta
1
Dàr’ja Aleksàndrovna trascorreva l’estate coi figli a Pokróvskoe, dalla sorella Kitty Lévina. La casa della sua tenuta cadeva letteralmente a pezzi, e Lévin con la moglie riuscirono a convincerla a passare l’estate da loro. Stepàn Arkàd’ič approvò con entusiasmo questa decisione. Diceva di essere molto dispiaciuto che il lavoro non gli permettesse di trascorrere l’estate in campagna con la famiglia, cosa che per lui sarebbe stata il massimo della felicità, e, rimanendo a Mosca, di tanto in tanto andava in campagna per un giorno o due. A parte gli Oblónskij con tutti i figli e la governante, quell’estate fu ospitata dai Lévin anche la vecchia principessa, che riteneva suo dovere vegliare sulla figlia inesperta, che si trovava in quello stato. Inoltre Vàren’ka, con la quale Kitty aveva fatto amicizia all’estero, mantenne la sua promessa di venirla a trovare quando Kitty si fosse sposata, ed era ospite della sua amica. Tutti costoro erano parenti e amici della moglie di Lévin. E anche se lui amava tutti, gli dispiaceva un po’ per il proprio mondo e ordinamento leviniano, che veniva soffocato da quell’inondazione di «elemento ščerbackiano», come lo chiamava fra sé. Dei propri parenti quell’anno ospitò soltanto Sergéj Ivànovič, ma anche lui era una persona di stampo koznyševskiano, non leviniano, per cui lo spirito leviniano veniva completamente soffocato.
Nella casa dei Lévin, deserta da un pezzo, adesso c’era così tanta gente che quasi tutte le stanze erano occupate, e quasi ogni giorno alla vecchia principessa toccava, al momento di mettersi a tavola, contare tutti i presenti e spostare il tredicesimo nipote o nipotina a un tavolino a parte.
E Kitty, che si occupava con zelo dell’andamento della casa, aveva non poco daffare a comprare galline, tacchini, anatre, che finivano in un baleno con l’appetito estivo degli ospiti e dei bambini.
Tutta la famiglia sedeva intorno al desco. I figli di Dolly, con la governante e Vàren’ka, stavano meditando sul posto in cui andare a far funghi. Sergéj Ivànovič, che godeva da parte di tutti, per intelligenza e sapere, di una deferenza che rasentava quasi la venerazione, sorprese tutti intromettendosi nel discorso sui funghi.
«Prendete anche me con voi. Mi piace tanto raccogliere funghi,» disse, fissando Vàren’ka, «trovo che sia un’ottima occupazione.»
«Bene, ci fa molto piacere» rispose arrossendo Vàren’ka. Kitty scambiò uno sguardo eloquente con Dolly. La proposta dell’intelligente e colto Sergéj Ivànovič di andare per funghi insieme con Vàren’ka confermò le supposizioni di Kitty, che negli ultimi tempi l’avevano molto intrigata. Si affrettò ad attaccare discorso con la madre, perché il suo sguardo non fosse notato. Dopo pranzo Sergéj Ivànovič andò a sedersi con la sua tazzina di caffè alla finestra del salotto, continuando il discorso iniziato col fratello e tenendo d’occhio la porta, dalla quale dovevano uscire i bambini, che si preparavano ad andare per funghi. Lévin venne a sedersi sul davanzale accanto al fratello.
Kitty stava in piedi vicino al marito, aspettando palesemente che quel discorso poco interessante finisse, per dirgli qualcosa.
«Sei cambiato molto da quando ti sei sposato, e in meglio,» disse Sergéj Ivànovič, sorridendo a Kitty e evidentemente poco interessato al discorso iniziato, «ma sei rimasto fedele alla tua passione di sostenere gli argomenti più paradossali.»
«Kàtja, non ti fa bene stare in piedi» le disse il marito, porgendole una sedia e guardandola in modo eloquente.
«Be’, sì, comunque non abbiamo tempo» soggiunse Sergéj Ivànovič, quando vide accorrere i bambini.
In testa a tutti, in un galoppo obliquo, nelle sue calze tese, agitando il cestino e il cappello di Sergéj Ivànovič, dritto verso di lui correva Tànja.
Correndo senza esitare da Sergéj Ivànovič, e facendo brillare gli occhi, così simili ai bellissimi occhi del padre, porse a Sergéj Ivànovič il suo cappello e fece il gesto di volerglielo calzare, mitigando la propria spregiudicatezza con un sorriso timido e tenero.
«Vàren’ka aspetta» disse, mettendogli con premura il cappello, quando vide dal sorriso di Sergéj Ivànovič che la cosa si poteva fare.
Vàren’ka stava sulla porta, cambiata, con un abito di percalle, giallo, e un fazzoletto bianco annodato sulla testa.
«Vengo, vengo, Varvàra Andréevna» disse Sergéj Ivànovič, finendo di bere il caffè dalla tazzina e controllando se nelle tasche ci fosse il fazzoletto e il portasigari.
«Che incanto la mia Vàren’ka, eh?» disse Kitty al marito, non appena Sergéj Ivànovič si fu alzato. Lo disse in modo che Sergéj Ivànovič potesse udirla, come del resto si riproponeva. «E com’è bella, bella in senso nobile! Vàren’ka!» gridò Kitty. «Siete diretti al bosco del mulino? Allora vi raggiungeremo.»
«Tu dimentichi decisamente il tuo stato, Kitty» sentenziò la vecchia principessa, varcando frettolosamente la porta. «Non devi urlare in questo modo.»
Vàren’ka, udito il richiamo di Kitty e il rimbrotto della madre, si avvicinò a Kitty rapidamente, a passi leggeri. La rapidità dei movimenti, il rossore che le ricopriva il viso animato, tutto confermava che in lei stava avvenendo qualcosa di straordinario. Kitty sapeva quale fosse la cosa straordinaria, e la seguiva attentamente. Adesso aveva chiamato Vàren’ka solo per benedirla mentalmente in vista dell’importante avvenimento che, secondo Kitty, doveva compiersi quel giorno dopo pranzo nel bosco.
«Varen’ka, sarò molto felice se succederà una certa cosa» le disse in un sussurro, lasciandola.
«E voi verrete con noi?» disse Vàren’ka confusa a Lévin, fingendo di non aver udito quel che le era stato detto.
«Vengo, ma solo fino al granaio, e poi resto lì.»
«Ma come ti viene in mente!» disse Kitty.
«Devo dare un’occhiata ai carri nuovi, e inventariarli» disse Lévin. «E tu dove sarai?»
«Sulla terrazza.»
2
Sulla terrazza si raccolse tutta la compagnia femminile. Amavano in genere intrattenervisi dopo pranzo, ma adesso lì avevano anche il loro daffare. Oltre a cucire camicine da neonato e a confezionare fasce a maglia, occupazione nella quale erano tutte impegnate, quel giorno vi si cuoceva la marmellata con un metodo nuovo per Agàf’ja Michàjlovna, senza l’aggiunta di acqua. Kitty aveva introdotto questo nuovo metodo, che era quello di casa loro. Agàf’ja Michàjlovna, alla quale da sempre era affidato quest’incarico, convinta che quello che si faceva in casa Lévin non poteva essere mal fatto, si era ostinata a versare dell’acqua sulle fragole coltivate e sulle fragole selvatiche sostenendo che non si poteva fare altrimenti, ma era stata colta in fallo, e ora i lamponi venivano cotti davanti a tutti, così Agàf’ja Michàjlovna sarebbe stata indotta a convincersi che la marmellata riusciva bene anche senz’acqua.
Agàf’ja Michàjlovna, con un viso accaldato e amareggiato, i capelli arruffati e le braccia magre nude fino al gomito, faceva oscillare circolarmente la casseruola sul braciere e guardava tetramente i lamponi, augurandosi con tutta l’anima che la marmellata si attaccasse e non venisse bene. La principessa, sentendo che l’ira di Agàf’ja Michàjlovna doveva essere diretta contro di lei, come principale consigliera in fatto di cottura di lamponi, parlava d’altro fingendosi occupata in altre faccende e non s’interessava dei lamponi, ma con la coda dell’occhio non perdeva di vista il braciere.
«I vestiti per le cameriere li compro sempre io fra la merce a buon mercato» diceva la principessa, continuando un discorso iniziato... «Non va tolta adesso la schiuma, cara?» soggiunse, rivolta ad Agàf’ja Michàjlovna. «Tu questo assolutamente non devi farlo, e poi fa caldo» disse fermando Kitty.
«Lo faccio io» disse Dolly e, alzatasi, passò cautamente il cucchiaio in giro in giro raccogliendo lo zucchero che schiumava; di tanto in tanto, per staccare dal cucchiaio quello che vi si era attaccato, lo batteva sul piatto, già coperto di schiuma variopinta, giallo-rosa, con lo sciroppo color sangue che vi era colato sotto. «Come se lo leccheranno con il tè!» pensava lei dei suoi bambini, ricordando lo stupore che provava da piccola nel vedere che i grandi non mangiavano la parte migliore, la schiuma.
«Stìva dice che è molto meglio dare i soldi,» disse Dolly riprendendo nel frattempo il discorso interessante sul modo migliore di far regali alla servitù «ma...»
«Come si fa a dare i soldi!» dissero a una voce la principessa e Kitty. «Loro apprezzano i regali.»
«Io, per esempio, l’anno scorso ho comprato alla nostra Matrëna Semënovna un vestito non proprio di popeline, ma di qualcosa del genere» disse la principessa.
«Ricordo che lo portava al vostro onomastico.»
«Una fantasia deliziosa; semplice ed elegante. Me lo sarei fatto per me, se non lo avesse avuto lei. Sul genere di quello di Vàren’ka. Carino ed economico.»
«Be’, mi pare che ormai sia pronta» disse Dolly, facendo colare lo sciroppo dal cucchiaio.
«Quando forma dei cerchi vuol dire che è pronta. Fatela cuocere ancora un po’, Agàf’ja Michàjlovna.»
«Queste mosche!» disse seccata Agàf’ja Michàjlovna. «Sarà sempre lo stesso» soggiunse.
«Uh, che carino, non lo spaventate!» disse Kitty all’improvviso, scorgendo un passero che si era posato sul parapetto e, girato verso di sé un rametto di lamponi, aveva preso a beccarlo.
«Sì, ma tu tieniti più lontana dal braciere» disse la madre.
«A propos de Vàren’ka»1 disse Kitty in francese, lingua che parlavano sempre per non essere capiti da Agàf’ja Michàjlovna. «Sapete, maman, oggi chissà perché mi aspetto una decisione. Capite quale. Come sarebbe bello!»
«Certo che pronuba esperta» disse Dolly. «Com’è abile e prudente nel metterli insieme...»
«No, davvero, maman, voi che cosa ne pensate?»
«Cosa vuoi che pensi? Lui» (intendevano Sergéj Ivànovič) «avrebbe potuto prendersi un ottimo partito, in Russia; ormai non è più tanto giovane, ma, comunque sia, so per certo che anche adesso molte lo prenderebbero... Lei è una bravissima ragazza, ma lui potrebbe...»
«No, mamma, cercate di capire perché sia lui sia lei non potevano trovare di meglio. Prima cosa, lei è incantevole!» disse Kitty, piegato un dito.
«Lei gli piace molto, questo è vero» confermò Dolly.
«Poi, seconda cosa: lui ha una posizione tale da non avere alcun bisogno che sua moglie abbia un patrimonio, o una posizione sociale. Solo una cosa gli serve: una brava moglie, carina e tranquilla.»
«Sì, certo con lei si può stare tranquilli» confermò Dolly.
«Terza cosa, che lei lo ami. E questo c’è... Quindi sarebbe così bello!... Aspetto che tornino dal bosco e che tutto si concluda. Me ne accorgerò subito dagli occhi. Ne sarei così contenta! Che cosa ne pensi, Dolly?»
«Tu non ti agitare. Tu non ti devi assolutamente agitare» disse la madre.
«Ma io non mi agito, mamma. Ho solo la sensazione che lui oggi farà la dichiarazione.»
«Ah, è una cosa così strana, il modo e il momento in cui un uomo fa la dichiarazione... Una specie di barriera, che a un tratto si abbatte» disse Dolly, sorridendo pensosamente e ricordando il proprio passato con Stepàn Arkàd’ič.
«Mamma, papà come vi ha fatto la dichiarazione?» domandò Kitty all’improvviso.
«Niente di straordinario, la fece in modo molto semplice» rispose la principessa, ma al ricordo il viso le risplendeva.
«Sì, ma come? Voi comunque lo amavate, prima che vi permettessero di parlare?»
Kitty trovava un piacere particolare nel fatto di poter parlare ormai alla pari con sua madre di questi temi fondamentali nella vita di una donna.
«Certo che lo amavo: veniva a trovarci in campagna.»
«Ma come ci siete arrivati, mamma?»
«Pensi forse che voi abbiate inventato qualcosa di nuovo? Sempre le stesse cose: con gli occhi, i sorrisi...»
«Come lo avete detto bene, mamma! Proprio con gli occhi e coi sorrisi...» confermò Dolly.
«Ma con quali parole ve lo ha detto?»
«E Kóstja come te lo ha detto?»
«Me lo ha scritto col gesso. È incredibile... mi sembra passato tanto di quel tempo» disse lei.
E le tre donne si misero a riflettere tutte sulla stessa cosa. Kitty ruppe il silenzio per prima. Ripensò a tutto quell’ultimo inverno prima del matrimonio, e alla sua infatuazione per Vrónskij.
«C’è solo un problema... quella vecchia fiamma di Vàren’ka» disse lei, ricordando questo fatto per associazione d’idee. «Volevo dirlo a Sergéj Ivànovič, prepararlo in qualche modo. Loro, tutti gli uomini,» soggiunse «sono terribilmente gelosi del nostro passato.»
«Non tutti» disse Dolly. «Tu giudichi da tuo marito. Lui tuttora si tormenta al pensiero di Vrónskij. Eh? Non è vero?»
«Sì, è vero» rispose Kitty pensierosa, sorridendo con gli occhi.
«Solo non capisco» intervenne la principessa madre per riaffermare il suo controllo materno sulla figlia «che cosa possa turbarlo del tuo passato. Il fatto che Vrónskij ti facesse la corte? Questo succede a ogni ragazza.»
«Non ci riferivamo a questo» disse Kitty arrossendo.
«No, scusa,» continuò la madre «e poi fosti tu a impedirmi di parlare con Vrónskij. Te lo ricordi?»
«Ah, mamma!» disse Kitty con un’espressione sofferente.
«Ormai chi vi tiene a freno... Però i tuoi rapporti non sarebbero mai andati oltre il dovuto; lo avrei richiamato io stessa. Comunque non ti fa bene agitarti, anima mia. Per favore, tienilo bene a mente e cerca di stare calma.»
«Io sono assolutamente calma, maman.»
«Quanto andò bene allora a Kitty, che arrivasse Anna,» disse Dolly «e come andò male a lei. È andato esattamente al contrario» soggiunse, stupita del suo stesso pensiero. «Anna allora era così felice, mentre Kitty si considerava i...
Indice dei contenuti
- Copertina
- di Lev Tolstòj
- Anna Karénina
- Introduzione La colpa di Anna di Igor Sibaldi
- Cronologia
- Bibliografia essenziale
- Pronuncia dei nomi principali
- ANNA KARÉNINA
- Parte prima
- Parte seconda
- Parte terza
- Parte quarta
- Parte quinta
- Parte sesta
- Parte settima
- Parte ottava
- Note
- Postfazione di Vladimir Nabokov
- Copyright