È così che la perdi
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È così che la perdi

  1. 180 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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È così che la perdi

Informazioni su questo libro

"Non sono un cattivo ragazzo. So che dicendolo sembro un po' paraculo, però è vero. Sono uguale agli altri: debole, pieno di magagne, ma tutto sommato buono. Eppure Magdalena non è d'accordo. Mi considera un tipico uomo dominicano", cioè un bastardo inaffidabile che tradisce la fidanzata non con una, ma con cinquanta ragazze, dimenticandosi pure di cancellare dalla posta le loro mail.
Ecco Yunior, alter ego dell'autore e protagonista di questo libro, uno capace di mettere nero su bianco una vera e propria Guida all'amore per infedeli senza cambiare una virgola delle proprie abitudini, pronto a lanciarsi in disperate richieste di perdono ogni volta che la fidanzata di turno, tradita, lo pianta. Yunior è il ragazzino che si innamora sempre delle donne di suo fratello, che cerca di fare amicizia con i bambini americani nel giardino pieno di neve di un condominio di periferia in cui è appena sbarcato. È il nipote che non riesce a scordarsi il nonno lasciato a Santo Domingo, le sue mani da contadino, il suo dispiacere quando l'ha visto partire. È l'adolescente arrabbiato che non sa come comportarsi con suo fratello che sta morendo di cancro ma rimane loco al cento per cento e fa impazzire di dolore la madre, spingendola nelle braccia del pianeta Geova. Ma Yunior è soprattutto il ragazzo ormai adulto che si emoziona ogni volta che torna nella sua isola e vede il mare spinto nel cielo dallo spruzzo di una balena, e crede davvero che alla fine di una storia, dopo tradimenti e suppliche, sia sempre possibile provarci ancora.
Junot Díaz, ormai consacrato come uno dei migliori talenti della narrativa internazionale del nuovo millennio, riesce nel miracolo di mettere a nudo i desideri e le debolezze del cuore umano con dolcezza e ironia: comico nei momenti più struggenti, seducente nella follia, irresistibile nella tenerezza. E ci ricorda che in fondo la passione trionfa sempre sul buon senso.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
Print ISBN
9788804624431
eBook ISBN
9788852038594

GUIDA ALL’AMORE PER INFEDELI

ANNO 0
La tua ragazza scopre che la tradisci (be’, a dire il vero è la tua fidanzata, ma ehi, tra poco non avrà più alcuna importanza). Poteva beccare una delle tue sucias, poteva beccarne due, ma siccome sei un cuero fuori di testa che non ha mai svuotato il cestino della posta elettronica, ne ha beccate cinquanta! Nel corso di sei anni, certo, però cazzo. Cinquanta ragazze? Porca vacca. Forse se fossi stato fidanzato con una blanquita dalle idee superaperte saresti riuscito a sopravvivere; però non sei fidanzato con una blanquita dalle idee superaperte. La tua ragazza è una salcedeña tosta che non crede in niente di aperto; anzi, l’unica cosa su cui ti aveva messo in guardia è che non avrebbe mai perdonato un tradimento. Ti apro in due con il machete, ti aveva assicurato. E tu naturalmente avevi giurato di non tradirla. Avevi giurato di non farlo. Lo avevi giurato.
E poi lo hai fatto.
Resterà con te per qualche mese, perché siete stati insieme per un sacco di tempo. Perché insieme ne avete passate tante: la morte di suo padre, l’odissea della tua cattedra, il suo esame da avvocato (superato al terzo tentativo). E perché l’amore, il vero amore, è una cosa di cui non ci si sbarazza facilmente. Durante un tormentato periodo di sei mesi andrete nella RD, in Messico (per il funerale di un amico), in Nuova Zelanda. Camminerete sulla spiaggia dove è stato girato Lezioni di piano, una cosa che lei ha sempre voluto fare, e che adesso le offri, pentito e disperato. Su quella spiaggia è immensamente triste; cammina sola lungo la sabbia brillante, a piedi nudi nell’acqua gelida, e quando cerchi di abbracciarla ti dice: No. Osserva gli scogli che spuntano dall’acqua, mentre il vento le soffia indietro i capelli. Lungo la strada che vi riporta all’albergo, su per quei dirupi selvaggi, raccogli un paio di autostoppisti, una coppia talmente mista da essere quasi assurda, così pazzi d’amore che per poco non li sbatti giù dalla macchina. Lei non dice niente. Più tardi, in albergo, scoppierà a piangere.
Fai tutto il possibile per non perderla. Le scrivi lettere. La porti al lavoro in macchina. Le citi Neruda. Componi un’email collettiva per ripudiare tutte le tue sucias. Blocchi le loro email. Cambi numero di telefono. Smetti di bere. Smetti di fumare. Ti dichiari sesso-dipendente e cominci a frequentare un gruppo di sostegno. Dai la colpa a tuo padre. Dai la colpa a tua madre. Dai la colpa alla società patriarcale. Dai la colpa a Santo Domingo. Vai in analisi. Ti cancelli da Facebook. Le dai la password di tutti i tuoi indirizzi email. Cominci a prendere lezioni di salsa come le avevi sempre giurato, così potrete ballare insieme. Sostieni che eri malato, che eri debole – è stata colpa del libro! Di tutto quello stress! – e a ogni ora, con grande puntualità, le ripeti che ti dispiace tantissimo. Le provi tutte, ma un giorno lei si metterà a sedere sul letto e dirà: Basta, e Ya, e tu dovrai andartene dall’appartamento di Harlem dove abitavate insieme. Valuti l’idea di restare. Di occupare l’appartamento per protesta. Anzi, dici che non te ne andrai. Ma alla fine te ne vai.
Per un po’ continui a bazzicare la città, come un giocatore da quattro soldi che sogna una convocazione. Le telefoni tutti i giorni e lasci messaggi che lei ignora. Le scrivi lettere lunghe e tenere, che lei ti rimanda indietro ancora chiuse. Ti presenti a tutte le ore a casa sua e davanti al suo ufficio downtown, fino a quando la sua sorellina, quella che è sempre stata dalla tua parte, ti chiama e ti dice chiaro e tondo: Se provi di nuovo a contattarla, mia sorella chiederà un’ingiunzione restrittiva.
Certi negri se ne fregherebbero.
Ma tu non sei quel tipo di negro.
La smetti. Torni a Boston. Non la rivedi più.
ANNO 1
All’inizio fai finta che non t’importi. Dopotutto aveva un sacco di difetti. Ma certo! Non era brava a succhiarlo, aveva una brutta peluria sulle guance, non si depilava mai la fica, non puliva mai la casa, ecc. Per qualche settimana riesci quasi a crederci. Naturalmente ricominci a fumare, a bere, molli l’analista e il gruppo di sostegno ed esci con le tue troiette come ai vecchi tempi, come se non fosse successo nulla.
Sono tornato, dici ai tuoi amici.
Elvis scoppia a ridere. È quasi come se non te ne fossi mai andato.
Stai bene per circa una settimana. Poi il tuo umore diventa instabile. A volte devi impedirti di saltare in macchina e correre da lei, e poi subito dopo chiami una sucia e le dici: Ho sempre voluto solo te. Cominci a perdere le staffe con amici, studenti e colleghi. Piangi tutte le volte che senti Monchy e Alexandra, i suoi cantanti preferiti.
Boston, dove non hai mai voluto vivere, dove ti senti in esilio, diventa un problema serio. Non riesci ad abituarti a starci a tempo pieno: alla metropolitana che chiude a mezzanotte, alla tetraggine dei suoi abitanti, all’incredibile mancanza di ristoranti sichuanesi. E come se non bastasse, comincia a succedere un sacco di roba razzista. Forse c’è sempre stata, forse sei diventato più sensibile dopo aver vissuto tanto a New York. I bianchi si fermano al semaforo e ti gridano contro con una rabbia pazzesca, come se fossi stato lì lì per investirgli la mamma. Roba da cacarsi sotto. Prima che tu capisca cosa cazzo sta succedendo, ti fanno il dito e sgommano via. Ti succede più di una volta. Nei negozi vieni seguito dalle guardie di sicurezza, e ogni volta che metti piede sul suolo di Harvard ti chiedono i documenti. Per tre volte, in diverse zone della città, dei bianchi ubriachi cercano di attaccar briga con te.
La prendi molto sul personale. Spero che qualcuno butti una bomba su questa cazzo di città, sbraiti. Ecco perché la gente di colore non vuole viverci. Ecco perché tutti i miei studenti neri e ispanici se ne vanno appena possono.
Elvis non dice niente. È nato e cresciuto a Jamaica Plain, e per lui sostenere che Boston non è un posto sfigato sarebbe come cercare di fermare una pallottola con una fetta di pane. Stai bene?, ti chiede alla fine.
Sto da dio, rispondi. Mejor que nunca.
Solo che non è vero. Hai perso tutti gli amici comuni che avevate a New York (sono rimasti con lei), tua madre non ti rivolge la parola (la tua fidanzata le piaceva più di te), e ti senti terribilmente in colpa e terribilmente solo. Continui a scriverle lettere, in attesa del giorno in cui potrai dargliele di persona. Continui anche a scopare con tutto ciò che si muove. Finisci per passare il giorno del Ringraziamento in casa da solo, perché non riesci ad affrontare tua madre e non sopporti la carità altrui. La tua ex, come la chiami ora, cucinava sempre: un tacchino, un pollo, un pernil. Ti teneva da parte le ali. Quella sera bevi fino a stordirti, poi ci metti due giorni a riprenderti.
Pensi di aver toccato il fondo. Ti sbagli. Nel periodo degli esami sei investito da una depressione così profonda che dubiti abbia persino un nome. È come se ti stessero dilaniando lentamente, atomo per atomo.
Smetti di frequentare la palestra e i bar; smetti di raderti e di lavarti i vestiti; a dire il vero, smetti di fare quasi tutto. I tuoi amici cominciano a stare in ansia per te, e non sono precisamente tipi ansiosi. Sto bene, gli dici, ma con il passare delle settimane la depressione peggiora. Cerchi di descriverla. Come se un aereo si fosse schiantato contro la tua anima. Come se due aerei si fossero schiantati contro la tua anima. Elvis viene a trovarti e osserva il lutto con te; ti batte sulla spalla, ti dice di non prendertela. Quattro anni fa, lo Humvee su cui viaggiava esplose su una strada alla periferia di Baghdad. Elvis rimase bloccato dentro il rottame in fiamme per quella che gli parve una settimana, e adesso ne sa qualcosa del dolore. Ha la schiena, le natiche e il braccio destro talmente pieni di cicatrici che anche un duro come te non riesce a guardarli. Respira, ti dice. Tu respiri senza sosta, come un maratoneta, ma non serve a niente. Le tue letterine diventano sempre più patetiche. Ti prego, le scrivi. Ti prego, torna. Sogni che ti sta parlando come ai vecchi tempi, in quel suo dolce spagnolo del Cibao, senza traccia di rabbia o di delusione. E poi ti svegli.
Non riesci più a dormire, e certe notti, quando sei ubriaco e solo, provi il folle impulso di aprire la finestra del tuo appartamento al quinto piano e buttarti di sotto. Se non fosse stato per un paio di cose, probabilmente lo avresti fatto. Ma: (a) non sei tipo da suicidio; (b) il tuo amico Elvis ti marca stretto; è sempre con te, si piazza accanto alla finestra come se ti leggesse nel pensiero. E (c), nutri l’assurda speranza che forse un giorno lei ti perdonerà.
Ma lei non ti perdona.
ANNO 2
Riesci a malapena a superare i due semestri. È un lungo periodo di merda, ma poi finalmente la follia comincia a diminuire. È come risvegliarsi dopo la peggiore febbre della tua vita. Non sei più quello di prima (ah ah!), ma puoi avvicinarti a una finestra senza venire sopraffatto da strani impulsi, e questo è già un inizio. Purtroppo hai messo su venti chili. Non sai come, però è successo. Hai solo un paio di jeans che ti va ancora bene, e neanche un abito. Fai sparire tutte le vecchie foto di lei, dici addio ai suoi lineamenti da Wonder Woman. Vai dal barbiere, ti fai rapare a zero per la prima volta da secoli ed elimini la barba.
Hai finito?, ti chiede Elvis.
Ho finito.
Una nonnetta bianca ti urla contro al semaforo, e tu chiudi gli occhi finché non se ne va.
Trovati un’altra ragazza, ti consiglia Elvis. Tiene in braccio delicatamente sua figlia. Clavo saca clavo.
Niente saca niente, gli rispondi. Nessuna sarà mai come lei.
Okay. Ma trovati lo stesso una ragazza.
Sua figlia è nata a febbraio di quell’anno. Se fosse stato un maschio, Elvis lo avrebbe chiamato Iraq, ti ha detto sua moglie.
Sono sicuro che scherzava.
Lei ha guardato fuori, dove Elvis sta sistemando il furgone. Non credo.
Elvis ti mette sua figlia fra le braccia. Trovati una brava ragazza dominicana, dice.
Reggi la bambina con aria incerta. La tua ex non voleva figli, ma verso la fine ti ha chiesto di fare un test della fertilità, nel caso avesse cambiato idea all’ultimo momento. Appoggi le labbra sulla pancia della bambina e soffi. Ma esistono?, chiedi.
Una l’avevi trovata, no?
Già.
Ti dai una regolata. Chiudi con tutte le vecchie sucias, anche con l’iraniana che ti sei scopato per tutta la durata del tuo fidanzamento. Vuoi voltare pagina. Ci metti un po’ – dopotutto, le vecchie troiette sono l’abitudine più difficile da mollare – ma poi finalmente ti liberi, e ti senti più leggero. Dovevo farlo anni fa, dichiari, e la tua amica Arlenny, che non è mai venuta a letto con te (grazie a Dio, mormora), alza gli occhi al cielo. Aspetti tipo una settimana per far dissipare le energie negative e poi ricominci a uscire con le ragazze. Come una persona normale, dici a Elvis. Senza bugie. Elvis non risponde, sorride e basta.
All’inizio va tutto bene: ne trovi in quantità, ma nessuna che porteresti a casa dalla mamma. Ma dopo il flusso iniziale, la fonte si prosciuga. Non è solo un periodo di siccità: è un merdosissimo Arrakeen. Sei sempre a caccia, ma nessuna ci casca. Neanche le tipe che giurano di adorare gli ispanici; una, addirittura, quando le dici che sei dominicano esclama: Oddio, no, e si precipita verso la porta. Sul serio?, ti chiedi. Cominci a temere che ti sia spuntato un marchio segreto sulla fronte. Che alcune di queste stronze lo sappiano.
Porta pazienza, ti esorta Elvis. Sta lavorando per questo tizio, proprietario di case nel ghetto, e comincia a portarti con sé quando va a raccogliere gli affitti. Salta fuori che sei una spalla eccezionale. Basta un’occhiata al tuo ghigno tetro e i fannulloni sganciano il dovuto in quattro e quattr’otto.
Un mese, due mesi, tre mesi, e poi una speranza. Si chiama Noemi, dominicana di Baní – in Massachusetts sembra che tutti i domos siano di Baní – e la incontri da Sofia’s un mese prima che il locale chiuda, fottendo per sempre la comunità ispanica del New England. Non vale la metà della tua ex, però non è male. Fa l’infermiera, e quando Elvis si lamenta della sua schiena comincia a elencargli tutto quello che potrebbe avere. È una ragazzona con una pelle incredibile, ma soprattutto è una che non se la tira; anzi, sembra proprio simpatica. Sorride spesso, e quando è nervosa dice: Raccontami qualcosa. Difetti: lavora sempre e ha un figlio di quattro anni di nome Justin. Ti mostra le foto; il ragazzino sembra pronto a incidere un disco, se lei non ci sta attenta. Lo ha avuto con un banilejo che ha sfornato altri quattro figli con quattro donne dive...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. È così che la perdi
  3. Dello stesso autore
  4. Nota della traduttrice
  5. Il sole, la luna, le stelle
  6. Nilda
  7. Alma
  8. Otravida, otravez
  9. Flaca
  10. Il principio di Pura
  11. Invierno
  12. La signorina Lora
  13. Guida all’amore per infedeli
  14. Copyright