
- 364 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Di qua dal Paradiso
Informazioni su questo libro
La giovinezza intensa e dissipata di Amory Blaine, disincantato idealista in mezzo alle follie dell'età del Jazz. Un libro poetico e disperato sulle frenesie, i languori e le disillusioni di un'epoca indimenticabile. Il romanzo più complesso, quasi una confessione, del grande scrittore americano.
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Informazioni
Print ISBN
9788804454366eBook ISBN
9788852038648Libro primo
L’EGOISTA ROMANTICO
I
Amory, figlio di Beatrice
Amory Blaine ereditò dalla madre ogni tratto, tranne quei pochi sparsi e indefinibili che lo resero di qualche valore. Il padre, inefficiente e disarticolato, con una predilezione per Byron e l’abitudine di sonnecchiare sopra l’Enciclopedia britannica, divenne ricco a trent’anni grazie alla morte di due fratelli maggiori, agenti di cambio di successo a Chicago, e spinto dalla prima sensazione che il mondo gli appartenesse si recò a Bar Harbor dove conobbe Beatrice O’Hara. Come conseguenza, Stephen Blaine tramandò alla posterità la sua altezza di un metro e ottanta scarsi e la sua tendenza a esitare nei momenti cruciali, caratteristiche che riapparvero nel figlio Amory. Per molti anni egli vagò sullo sfondo della vita della sua famiglia, personaggio di poco conto, col viso quasi spento da capelli molli come la seta, continuamente occupato ad “aver cura” di sua moglie, continuamente tormentato dal pensiero che non la capiva e non poteva capirla.
Ma Beatrice Blaine! Che donna! Fotografie prese quando era ragazzina nella tenuta di suo padre a Lake Geneva, nel Wisconsin, o a Roma al Convento del Sacro Cuore – una follia economica riservata ai suoi tempi alle figlie di ricchezze eccezionali – mostravano la delicatezza squisita dei lineamenti, l’arte e la semplicità consumata degli abiti. Un’educazione brillante, aveva: passò la giovinezza in uno splendore da Rinascimento, era al corrente dei pettegolezzi più recenti sulle antiche famiglie romane; conosciuta di nome come una ragazza americana favolosamente ricca dal cardinal Vitori e dalla regina Margherita e da celebrità più raffinate, che occorre una certa cultura anche soltanto per averle sentite nominare. Imparò in Inghilterra a preferire il whisky e soda al vino e la sua conversazione ristretta si allargò in ogni senso durante un inverno passato a Vienna. Fino in fondo Beatrice O’Hara assorbì il tipo di educazione che non sarà mai più possibile; una preparazione modellata sulle cose e persone circa le quali si deve essere sprezzanti o affascinanti; una cultura ricca di tutte le arti e le tradizioni, priva di qualsiasi idea, nell’ultimo di quei giorni nei quali il grande giardiniere potava le rose scadenti per produrre un bocciolo perfetto.
In uno dei momenti meno importanti della sua vita Beatrice ritornò in America, conobbe Stephen Blaine e lo sposò: quasi esclusivamente perché era un tantino stanca, un tantino triste. Il suo unico figlio venne trasportato faticosamente per tutta una stagione e messo al mondo in un giorno di primavera del novantasei.
A cinque anni Amory era già un compagno delizioso per lei. Era un bambino dai capelli biondo castano, dai grandi occhi bellissimi che sarebbero sempre rimasti tali, la mente dall’immaginazione pronta e una predilezione per gli abiti in costume. Dai quattro ai dieci anni fece la campagna con la madre nella macchina personale di lei, da Coronado, dove la madre si annoiò tanto da avere un collasso nervoso in un albergo alla moda, fino a Città del Messico, dove si ammalò di una dolce consunzione quasi epidemica. Questo disturbo le piaceva, e più tardi ella lo fece diventare parte costitutiva della sua atmosfera: specialmente dopo alcuni “stimolanti” sbalorditivi.
Così, mentre ragazzi ricchi più o meno fortunati disubbidivano alle governanti sulla spiaggia di Newport o venivano sculacciati o istruiti o costretti ad ascoltare le letture di Sii audace o di Libero sul Mississippi, Amory maltrattava fattorini d’ascensore docili al Waldorf, superando una ripugnanza naturale per la musica da camera e le sinfonie e ottenendo un’educazione profondamente specializzata dalla madre.
«Amory.»
«Sì, Beatrice.» (Che nome strano aveva la madre; su di lei non era stonato.)
«Caro, non pensare neanche ad alzarti dal letto così presto. Ho sempre sospettato che alzarsi presto da piccoli faccia diventare nervosi. Clotilde ti farà portar su la colazione.»
«Va bene.»
«Mi sento molto vecchia, oggi, Amory» sospirava lei, col viso pieno di pathos come un cammeo prezioso, la voce squisitamente modulata, le mani mobili come quelle della Bernhardt. «Ho i nervi tesi… tesi. Domani dobbiamo partire da questo posto tremendo e andar a cercare il sole.»
I penetranti occhi verdi di Amory guardavano la madre attraverso i riccioli scomposti. Già a quell’età egli non aveva più illusioni su di lei.
«Amory.»
«Oh, sì.»
«Voglio che tu faccia un bagno bollente… Più caldo che puoi, per distenderti i nervi. Puoi leggere nella vasca, se ne hai voglia.»
Gli somministrò parti delle Fêtes galantes prima che arrivasse ai dieci anni; a undici Amory parlava con disinvoltura, anche se un po’ pappagallescamente, di Brahms e Mozart e Beethoven. Un pomeriggio, rimasto solo in albergo a Hot Springs, assaggiò il cordiale all’albicocca della madre e siccome gli piacque divenne un po’ brillo. Per un po’ gli riuscì divertente, ma nell’esaltazione provò una sigaretta e soggiacque a una volgare reazione plebea. Questo incidente inorridì Beatrice, ma in segreto la divertì e divenne parte di ciò che nella generazione successiva sarebbe stato definito il suo “stile”.
«Questo mio figliuolo» la udì raccontare un giorno in un salotto di donne piene di soggezione e ammirazione «è talmente sofisticato, ed è proprio incantevole; ma è delicato… Siamo tutti delicati: qui, capite?» La mano si stagliava luminosa sul bel seno; poi abbassando la voce a un sussurro ella raccontò la storia del cordiale. Si divertirono, perché Beatrice era una brava raconteuse, ma quella sera furono molte le chiavi girate nelle serrature degli armadi contro le eventuali defezioni di piccoli Bobby o di piccole Barbara…
Queste peregrinazioni domestiche si svolgevano invariabilmente in grande pompa: due cameriere, la macchina privata, o il signor Blaine se disponibile, e molto spesso un medico. Quando Amory ebbe la tosse asinina quattro specialisti indignati si sbarrarono gli occhi in faccia l’un l’altro chini sul suo letto; quando prese la scarlattina il numero di chi lo curava, compresi i medici e le infermiere, giunse a un totale di quattordici. Tuttavia, dato che il sangue è più denso del brodo, Amory se la cavò.
I Blaine non erano agganciati ad alcuna città. Erano i Blaine di Lake Geneva; avevano abbastanza parenti da non sentire la mancanza di amici e una reputazione invidiabile da Pasadena a Capo Cod. Ma Beatrice divenne sempre più incline a gustare soltanto conoscenze nuove, perché vi erano certe storie, come la storia della sua costituzione coi vari emendamenti, ricordi degli anni all’estero, che le riusciva necessario ripetere a intervalli regolari. Come i sogni freudiani, andavano scacciate, altrimenti diventavano invadenti e stringevano d’assedio i nervi. Ma Beatrice criticava molto le donne americane, specialmente quelle nomadi ex occidentali.
«Hanno un accento, caro,» diceva ad Amory «non un accento meridionale o un accento bostoniano, non un accento che si riferisca a una località precisa: proprio un accento.» Diventava sognante. «Vanno a pescare il vecchio accento londinese che ormai è mangiato dalle tarme e finito male ma deve pur essere usato da qualcuno. Parlano come potrebbe parlare un maggiordomo inglese dopo qualche anno passato in una compagnia di Grand-Opéra a Chicago.» Diventava quasi incoerente: «C’è un momento nella vita di tutte le donne occidentali… hanno l’impressione che il marito sia abbastanza importante perché possano averlo – l’accento – cercano di impressionarmi, caro…».
Pur considerando il suo corpo una massa di disturbi riteneva la sua anima altrettanto malata, e quindi importante per la sua vita. In passato era stata cattolica ma, da quando scoprì che i preti le prestavano infinitamente più attenzione nei periodi nei quali stava perdendo o riacquistando la fede nella Madre Chiesa, conservò un atteggiamento deliziosamente incerto. Deplorava spesso il carattere borghese del clero cattolico americano, ed era certissima che se fosse vissuta all’ombra delle grandi cattedrali continentali la sua anima sarebbe ancora stata una fiammella sull’altare possente di Roma. Però dopo i dottori i preti erano il suo divertimento preferito.
«Ah, vescovo Wiston,» soleva dichiarare «non voglio parlare di me. Immagino che diluvio di donne isteriche si gettino alla vostra porta supplicandovi di essere comprensivo…» poi dopo un interludio del sacerdote… «ma il mio stato d’animo… è… stranamente diverso.»
Il suo romanzo clericale lo divulgava soltanto ai vescovi e da vescovo in su. Appena ritornata in patria, aveva conosciuto ad Ashville un giovane pagano, un seguace di Swinburne per i cui baci ardenti e la cui conversazione sentimentale aveva provato una spiccata attrazione: avevano discusso i pro e i contro della faccenda in un romanzo intellettuale del tutto privo di sdolcinature. Alla fine ella aveva deciso di sposarsi per le convenienze sociali e il giovane pagano di Ashville aveva avuto una crisi spirituale, aveva aderito alla Chiesa cattolica ed era diventato… monsignor Darcy.
«Ed è tuttora, signora Blaine, una compagnia deliziosa: è il braccio destro del cardinale.»
«Amory un giorno andrà da lui, lo so,» sospirava la bella signora «e monsignor Darcy lo capirà come ha capito me.»
Amory giunse ai tredici anni piuttosto alto e sottile, e più che mai somigliante alla madre celtica. Di quando in quando aveva preso qualche lezione: sulla base che doveva andare avanti ogni volta “riprendendo al punto dove era rimasto”; però, siccome nessun maestro era mai riuscito a trovare a che punto fosse rimasto, Amory aveva ancora la mente in ottima forma. Che cosa avrebbe fatto di lui qualche altro anno di questa vita è problematico. Comunque dopo quattro ore di viaggio, diretto in Italia con Beatrice, gli scoppiò l’appendice, probabilmente per i troppi pasti consumati a letto; e dopo una serie di telegrammi forsennati in Europa e in America, tra lo stupore dei passeggeri la grande nave virò lentamente di bordo e ritornò a New York a depositare Amory sul molo. Dovete ammettere che anche se non era vita era magnifico.
Dopo l’operazione Beatrice ebbe un collasso nervoso che mostrava somiglianze sospette col delirium tremens, e Amory venne lasciato a Minneapolis, destinato a passare i due anni seguenti con la zia e lo z...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Introduzione di Fernanda Pivano
- Cronologia
- Bibliografia
- Di qua dal Paradiso
- Libro primo. L’EGOISTA ROMANTICO
- INTERLUDIO
- Libro secondo. L’EDUCAZIONE DI UN PERSONAGGIO
- Copyright