C’ERA UN RAGAZZO CHIAMATO ODD. UN NOME bizzarro, adatto a una persona strana o solitaria, ma niente affatto inusuale per quei tempi e quei luoghi. Odd allora significava “punta di lama” ed era un nome fortunato.
In realtà, quel ragazzo era davvero bizzarro. O almeno, così la pensavano gli altri abitanti del villaggio. E se c’era una cosa che gli mancava, era proprio la fortuna.
Suo padre era rimasto ucciso durante una scorribanda in mare due anni prima, quando lui ne aveva dieci. Non era strano perdere la vita durante le scorrerie, ma il padre non era morto della morte gloriosa riservata ai vichinghi, per mano di uno scozzese o nel fervore di una battaglia. Si era tuffato in mare per recuperare uno dei piccoli pony che i vichinghi portavano con sé come animali da soma durante le spedizioni.
Gli uomini caricavano i pony con tutto l’oro, gli oggetti preziosi, il cibo e le armi frutto dei saccheggi, e gli animali trascinavano il pesante bottino fino ai drakar. I pony erano quanto di più prezioso e instancabile ci fosse a bordo di quelle lunghe navi vichinghe, e da quando Olaf l’Alto era stato ucciso da uno scozzese, il compito di occuparsene era passato al padre di Odd. Lui non aveva grande esperienza con quelle bestie, il suo mestiere era quello di boscaiolo e di carpentiere, ma ci metteva tutto se stesso. Durante il viaggio di ritorno, uno dei pony si era sciolto dai legacci nel bel mezzo di una burrasca al largo di Orkney ed era caduto fuoribordo. Il padre di Odd si era gettato nel mare grigio con una corda, aveva trascinato il pony fino alla nave e poi, insieme agli altri vichinghi, l’aveva issato nuovamente sul ponte.
Era morto prima dell’alba, per il freddo e l’umidità, e l’acqua nei polmoni.
Ritornati in Norvegia, i vichinghi avevano riferito l’accaduto alla madre di Odd e la donna l’aveva raccontato al figlio. Il ragazzino si era limitato a fare spallucce. Non aveva pianto. Non aveva detto nulla.
Nessuno sapeva che sentimenti provasse dentro di sé. Nessuno conosceva i suoi pensieri. E in un villaggio sulle rive di un fiordo, dove tutti sapevano gli affari di tutti, la cosa era inaccettabile.
Nessuno all’epoca faceva il vichingo a tempo pieno. Esercitavano tutti un altro mestiere. Le scorrerie in mare erano un’attività a cui gli uomini si dedicavano per divertimento o per procacciarsi ciò che nel villaggio non si trovava. Si procuravano a quel modo persino le mogli. La madre di Odd, tanto scura di carnagione quanto il padre era pallido, era stata portata dalla Scozia fino al fiordo a bordo di un drakar. La donna cantava al figlio le ballate che aveva imparato da ragazza, ai tempi in cui il padre di Odd non le aveva ancora strappato di mano il coltello per caricarsela sulle spalle e portarla con sé a bordo della lunga imbarcazione.
Odd si chiedeva se la madre avesse nostalgia della Scozia, ma quando glielo domandava lei rispondeva di no, no davvero; sentiva solo la mancanza di qualcuno che parlasse la sua lingua. Conosceva quella dei norreni adesso, ma l’accento scozzese era ancora forte.
Il padre di Odd era stato un mastro d’ascia. Si era costruito una piccola capanna di tronchi nel cuore della foresta poco estesa alle spalle del fiordo e andava nel fitto degli alberi per fare ritorno una settimana dopo con il carretto stracarico di tronchi pronti da stagionare e spaccare, perché da quelle parti ogni cosa possibile si faceva con il legno: chiodi di legno per unire assi di legno e costruire case e imbarcazioni di legno. D’inverno, quando le nevi erano troppo alte per spostarsi, il padre di Odd si sedeva accanto al fuoco a intagliare il legno, creando volti, giocattoli, ciotole e tazze, mentre la madre di Odd lavorava a maglia e cucinava e, come sempre, cantava.
Aveva una voce meravigliosa.
Odd non capiva le parole di quelle canzoni, ma lei dopo aver cantato gliele traduceva e la mente del ragazzo diventava un turbinio di nobili cavalieri in groppa a superbi destrieri, con imponenti falconi al polso e fieri segugi che li scortavano al passo, pronti a gettarsi in peripezie d’ogni genere, a combattere giganti, salvare pulzelle e liberare gli oppressi dalla tirannia.
Da quando il padre di Odd era morto, la madre aveva preso a cantare sempre meno.
Ma Odd continuava a sorridere, facendo montare su tutte le furie gli abitanti del villaggio. Sorrideva persino dopo l’incidente che gli aveva azzoppato la gamba destra.
Era accaduto tre settimane dopo che il drakar aveva fatto ritorno senza il corpo del padre. Odd aveva preso l’ascia che il padre usava per tagliare gli alberi, tanto enorme che a malapena riusciva a sollevarla, e se l’era trascinata fino alla foresta, convinto di sapere tutto quel che occorreva sapere sull’abbattimento degli alberi e ben deciso a mettere in pratica quella conoscenza.
Forse, confessò poi alla madre, avrebbe dovuto utilizzare l’accetta più piccola e far pratica su un albero più esile.
La sua impresa comunque non era stata cosa da poco.
Dopo che l’albero gli era caduto sul piede, Odd aveva utilizzato l’ascia per scavare via la terra da sotto la gamba e tirarla fuori, poi aveva tagliato un ramo per ricavarne una stampella su cui sorreggersi, perché le ossa dell’arto si erano frantumate. In un modo o nell’altro, era riuscito a far ritorno a casa, trascinandosi dietro la pesante ascia del padre, perché il metallo era raro su quelle colline e per procurarsi un’ascia si doveva barattarla o rubarla, e lui non poteva certo lasciarla lì ad arrugginire.
Due anni erano passati da allora, e la madre di Odd aveva sposato Elfred il Grosso, che era piuttosto cordiale quando non aveva bevuto, ma che aveva già avuto quattro figli maschi e tre femmine da un precedente matrimonio (la prima moglie era stata colpita da un fulmine) e non aveva tempo da perdere con un figliastro sciancato, e così Odd trascorreva sempre più tempo a bighellonare per la grande foresta.
Odd amava la primavera, quando le cascate ricominciavano a scorrere giù per le vallate e la foresta si riempiva di fiori. Gli piaceva l’estate, quando cominciavano a maturare le prime bacche, e così l’autunno, quando si trovavano nocciole e piccole mele. Ma non amava l’inverno, quando i suoi concittadini trascorrevano gran parte del tempo nel grande salone del villaggio, a mangiare tuberi e carne secca. D’inverno, gli uomini si azzuffavano, scoreggiavano, cantavano a squarciagola, si addormentavano e si risvegliavano per ricominciare ad azzuffarsi, e le donne si limitavano a scuotere il capo, continuando a ricamare, sferruzzare e rammendare.
A marzo anche il peggiore degli inverni terminava. La neve si scioglieva, i fiumi riprendevano a scorrere, il mondo si risvegliava e tornava quello di sempre.
Ma non quell’anno.
L’inverno resisteva, come un malato che non vuol saperne di morire. Le giornate si susseguivano plumbee, il ghiaccio restava solido, il mondo ostile e gelido.
Nel villaggio, gli abitanti si urtavano i nervi a vicenda. Era da mesi ormai che si fissavano da un capo all’altro del grande salone. Gli uomini avrebbero già dovuto essere al lavoro per preparare i drakar ad affrontare il mare, le donne avrebbero già dovuto iniziare a ripulire il terreno dalle erbacce in vista della semina. Gli scherzi cominciavano a farsi pesanti. Le battute sempre più crudeli. Le zuffe, brutali.
Ecco perché una mattina di fine marzo – alcune ore prima che il sole si levasse, quando il ghiaccio era compatto e il terreno duro come il ferro, ed Elfred il Grosso, i suoi figli e la madre di Odd dormivano ancora – Odd indossò gli abiti più pesanti e più caldi che aveva, sgraffignò un trancio di salmone affumicato appeso alle travi della casa di Elfred il Grosso e un braciere con un po’ di tizzoni ardenti presi dal camino; afferrò la seconda migliore accetta del padre, la legò in vita con una cinghia e se ne andò zoppicando per la foresta.
La neve lì era profonda e insidiosa, coperta da una spessa crosta di ghiaccio lucente. Sarebbe stato già difficile camminare per un uomo con le gambe buone, ma per un ragazzino con una gamba buona, una malridotta e una stampella di legno, ogni collina era una montagna.
Odd attraversò un lago ghiacciato, che avrebbe dovuto sciogliersi settimane prima, e si addentrò nella foresta. Le giornate sembravano brevi quasi come in pieno inverno, e benché fosse solo metà pomeriggio quando il ragazzo raggiunse la vecchia capanna da boscaiolo del padre, era buio come se fosse stata notte fonda.
La porta era bloccata dalla neve e Odd dovette prendere una vanga e spalare per riuscire a entrare. Ravvivò le braci con un po’ di sterpaglia, finché non gli sembrò di poterle trasferire nel camino, dove c’erano ancora alcuni vecchi ceppi asciutti.
Sul pavimento trovò un pezzo di legno, poco più grande del suo pugno. Stava per gettarlo nel fuoco, ma toccandolo sentì delle incisioni sotto le dita e lo mise via, promettendosi di riguardarlo alla luce del giorno. Raccolse un poco di neve in una casseruola, la sciolse sul fuoco e mangiò salmone affumicato e una zuppa di bacche calda.
Si stava b...