Era il tipo di sera calda e profumata che Caroline Chance associava sempre alle vacanze in Grecia, con bicchieri di ouzo, camerieri galanti e la sensazione del cotone fresco sulle spalle scottate. Solo che il profumo dolce che fluttuava nell’aria non era quello degli uliveti, ma dell’erba inglese appena tagliata, e il suono in lontananza non era quello del mare, ma la voce dell’istruttrice di equitazione di Georgina che cantilenava, sempre con la stessa inflessione monotona: «Al trotto, al trotto».
Caroline fece una smorfia e riprese a smaltarsi le unghie dei piedi. Non aveva niente da obiettare sulla passione di sua figlia per l’equitazione, ma neppure la capiva. Quando si erano trasferiti a Bindon da Seymour Road, Georgina aveva voluto a tutti i costi un pony e, naturalmente, Patrick aveva insistito perché lo avesse.
In realtà Caroline aveva finito con l’affezionarsi al primo pony, una creaturina dolce dalla criniera arruffata e dal carattere docile. A volte andava a trovarlo quando non c’era nessuno e aveva preso l’abitudine di dargli da mangiare i Ferrero Rocher. Ma il nuovo pony era un mostro, un grosso animale nero dall’aria selvaggia. A undici anni Georgina era alta e forte, ma Caroline non riusciva a capire come potesse anche solo salirgli in sella, per non parlare di cavalcarlo e saltare gli ostacoli.
Finì di smaltarsi le unghie del piede destro e bevve un sorso di vino bianco. Il piede sinistro era asciutto e lo sollevò per ammirare il colore perlaceo dello smalto alla luce della sera. Era seduta nell’ampia terrazza all’esterno del salotto principale. La Casa Bianca era stata pensata e costruita – secondo Caroline piuttosto stupidamente, considerando il clima inglese – per catturare ogni raggio di sole al riparo dal vento. Gli spogli muri bianchi riflettevano la luce nel cortile centrale e le stanze principali erano rivolte a sud. Una vite, che produceva un’uva piuttosto aspra, era stata persuasa ad arrampicarsi lungo la parete, sopra la testa di Caroline, e ogni estate numerose piante esotiche venivano prelevate dalla serra per decorare la terrazza. Ma quella era pur sempre la dannata, gelida Inghilterra, e per questo non c’era molto che si potesse fare.
Tuttavia quella giornata, Caroline doveva ammetterlo, era stata davvero perfetta. Cielo azzurro e terso, sole cocente, non un soffio di vento. Aveva trascorso la maggior parte del giorno occupandosi dei preparativi per l’indomani, ma per fortuna i compiti che si era assegnata – disporre i fiori, preparare le verdure, farsi la ceretta alle gambe – erano il tipo di cose che si potevano fare all’aperto. Le portate principali – terrina di verdure per il pranzo, tortini ai frutti di mare per la cena – erano state consegnate quella mattina dal servizio catering e Mrs Finch le aveva già sistemate sui piatti da portata. Aveva inarcato un sopracciglio – “non sei capace neppure di cucinare per otto persone?” –, ma Caroline era abituata alle sopracciglia mobili di Mrs Finch e le ignorava regolarmente. “Santo cielo” pensò, versandosi un altro bicchiere di vino “che senso ha avere soldi e non spenderli?”
La lezione d’equitazione era finita e Georgina attraversò il prato saltellando, con le lunghe trecce bionde che le scendevano sulla schiena.
«Mamma!» chiamò. «Dawn ha detto che il mio trotto allungato non è mai stato controllato come oggi! Dice che se cavalcherò così anche al concorso ippico di East Silchester, allora...» Georgina fissò la madre con aria trionfante. “Allora cosa?” pensò Caroline. “Vincerai? Farai meglio a lasciare perdere?” Non aveva idea se il trotto allungato dovesse essere controllato o lasciato completamente andare. «E anche i miei salti stanno migliorando» aggiunse Georgina.
«Oh, bene, tesoro» disse Caroline. La voce era roca, ispessita dalle sigarette e, ultimamente, da una bottiglia di vino bianco quasi tutte le sere.
«Lo smalto!» esclamò Georgina. «Posso metterlo anch’io?»
«Non su quelle unghie sudicie. Prima devi farti un bagno.»
«E dopo il bagno posso metterlo?»
«Forse. Se avrò tempo.»
«Voglio un rosa brillante.»
«Non ho uno smalto rosa brillante» disse Caroline, arricciando il naso. «Puoi avere questo bel rosa chiaro oppure il rosso.»
«Rosso, bleah.» Georgina fece una smorfia, poi saltò sulla terrazza e si appoggiò allo schienale della sedia di faggio su cui era seduta la madre. «Chi viene domani?»
«Lo sai chi viene» rispose Caroline, applicando con attenzione un secondo strato di smalto sulle unghie del piede sinistro.
«Nicola viene, vero?»
«Mmh.»
«Sta meglio?»
«Sta migliorando.»
«Posso portarla a cavalcare? Le è permesso?»
«Dovrai chiederlo ad Annie, ma non vedo perché no. Però assicurati di portare anche Toby.»
«È troppo piccolo per salire su Arabia.»
«Va bene, allora starà a guardare.»
«Posso partecipare anch’io al torneo di tennis?»
«No.»
«Posso mettermi la mia gonnellina da tennis?»
«Se vuoi.»
«Posso fare il raccattapalle?»
«Se vuoi...» ripeté Caroline. «Però ti annoierai.»
«No, non mi annoierò» ribatté Georgina. «So come si fa. Fai scorrere le palle lungo la linea e poi le raccogli e le lanci a quelli che giocano. La cugina di Poppy Wharton ha fatto la raccattapalle a Wimbledon e ha visto la Navratilova. Io so fare anche il servizio da sopra la testa.»
Lanciò in aria una palla immaginaria e le sferrò un colpo, ma nell’impeto urtò la sedia della madre, facendole sbavare lo smalto.
«Merda» disse Caroline, ma senza arrabbiarsi.
«Tanto nessuno ti vedrà i piedi» osservò Georgina. «Allora, mi metti lo smalto?»
«Dopo che avrai fatto il bagno. Le unghie devono essere pulite. Le tue sanno di cavallo.» Ma Georgina si era già distratta e stava facendo la ruota sul prato. Caroline, che un tempo aveva praticato la ginnastica artistica, alzò gli occhi. “Non insegnano più a chiudere l’esercizio come si deve” pensò. “Non insegnano più ad atterrare in modo pulito e preciso e a presentarsi ai giudici con un bel sorriso.” Nel collegio di Georgina nessuno prendeva seriamente la ginnastica, che veniva fatta solo per rinforzare i muscoli delle allieve in vista di attività più importanti: netball, lacrosse e, sempre, equitazione. E nessuna delle ragazze sembrava interessata alle competizioni, alle esibizioni, ai body luccicanti e ai nastri, le cose cioè di cui era stata fatta l’infanzia di Caroline.
Mentre tornava dal campo da tennis verso casa, Patrick Chance vide la sua bella e agile figlia fare una ruota dopo l’altra sullo sfondo del tramonto e si fermò per un attimo ad ammirarne la grazia fluida, la vitalità, l’energia. Tutti i padri erano sentimentali come lui? Quando parlava con altri genitori, trovava difficile avere la loro stessa disinvolta nonchalance. Mentre loro tendevano a minimizzare i successi dei figli, lui non riusciva a resistere all’impulso di elencare quelli di Georgina. Non poteva fare a meno di intromettersi in una conversazione per informare tutti che sua figlia aveva iniziato l’attività agonistica, sì, nella categoria under quattordici, anche se aveva soltanto undici anni. E quando gli altri genitori annuivano, sorridevano e riprendevano le loro chiacchiere, sentiva il cuore martellare di rabbia repressa e incomprensione. “Ma guardatela!” avrebbe voluto urlare. “Guardatela bene!” “Suona anche il pianoforte” avrebbe voluto aggiungere, nel disperato tentativo di ottenere di nuovo l’attenzione degli ascoltatori. “La sua insegnante dice che sta facendo ottimi progressi. Pensavamo di farle provare anche il flauto.”
Notò che sua moglie si stava di nuovo concentrando sulle unghie. Gli dispiaceva moltissimo che Caroline non condividesse il suo entusiasmo per tutto ciò che faceva Georgina e che si rifiutasse di unirsi a lui quando iniziava a lodarne le doti, perfino se erano da soli. Soprattutto perché, a essere sinceri, Georgina aveva preso molto più da Caroline che da lui. Madre e figlia avevano gli stessi capelli biondi, lo stesso fisico atletico, la stessa facilità a scoppiare in risate rauche.
Ma forse era proprio quella la ragione per cui Caroline sembrava così indifferente nei confronti di Georgina. Sua moglie era abituata alla bellezza, alla prestanza e alla popolarità, mentre lui, basso, tozzo e miope, non aveva niente di tutto ciò.
Continuò ad avanzare verso casa e Georgina gli andò incontro esibendosi nella “camminata del granchio”.
«Ciao, papà» ansimò, lasciandosi cadere a terra.
«Ciao, micina. Com’è stata la lezione d’equitazione?»
«Fantastica.»
Patrick alzò lo sguardo sulla moglie. «Tutto sotto controllo per domani?» le domandò.
«Il cibo è già sui vassoi, se è a questo che ti riferisci» rispose Caroline. «E questa mattina Mrs Finch ha controllato le camere da letto.»
«Chi c’è nella stanza accanto alla mia?» chiese Georgina.
«I gemelli Mobyn con la loro baby-sitter. Com’è che si chiama?»
«Martina, mi pare» rispose Patrick. «È tedesca, o austriaca, o qualcosa del genere.»
Georgina arricciò il naso. «Perché non Nicola e Toby?»
«Chiedilo a tuo padre» disse Caroline acida. «Ha insistito perché Charles e Cressida avessero la stanza per gli ospiti più grande, perciò i gemelli devono stare in quella accanto alla tua. Cressida» pronunciò il nome con deliberata enfasi «vuole averli vicini.»
«Perché non possono andare in fondo al corridoio?» suggerì Georgina. «E Annie e Stephen nella stanza grande e Nicola e Toby vicino a me?»
«Papà vuole che Charles e Cressida stiano nella stanza grande» ribadì Caroline. «Perché quei due sono ricchissimi e lui non vuole che ridano di noi.»
Patrick arrossì. «Non è affatto vero. Ho solo pensato che sarebbe stato gentile dare a loro quella stanza, visto che non sono mai stati qui da noi.»
«E probabilmente non ci saranno neppure questa volta» commentò Caroline pungente. «Quanto vuoi scommettere che telefoneranno per disdire?»
«Non succederà» dichiarò Patrick, e si rese conto di averlo detto troppo in fretta.
Caroline lo guardò sospettosa. «E perché no? È quello che fanno sempre. Da quanto tempo abitiamo qui? Quasi tre anni. E loro sono stati sempre troppo occupati per riuscire a venire da noi, in qualsiasi occasione.»
«Cressida è una stronza» disse Georgina. Caroline ridacchiò.
Patrick fissò la figlia. «Dove diavolo hai imparato un linguaggio del genere?»
«Non essere noioso» intervenne Caroline. «Perché pensi che Cressida sia una stronza, tesoro? La conosci appena.»
«A me piaceva Ella» rispose Georgina in tono ostinato.
«Non è possibile che ti ricordi di Ella» disse sua madre.
«Invece sì» insistette lei. «Era molto simpatica, mi cantava sempre le canzoni, e Charles suonava la chitarra.»
Patrick la guardò ammirato. «Che memoria! Dovevi avere appena sei anni.»
«Mi piaceva Seymour Road» disse Georgina. «Vorrei che abitassimo ancora là.»
Caroline scoppiò di nuovo a ridere. «Eccoti servito, Patrick. Tu e la tua vita in campagna!» Gli occhi azzurri di Caroline fissarono sarcastici quelli del marito e Patrick sostenne quello sguardo con rabbia impotente. Gli occhi di sua moglie sembravano riflettere e ributtargli addosso tutti i suoi fallimenti e le preoccupazioni, ricordandogli silenziosamente in un istante i dispiaceri e le delusioni degli ultimi tredici anni.
«Devo andare a preparare il tabellone per domani» annunciò bruscamente. Più per amore di Georgina che per altro, salì in terrazza e baciò la moglie sulle labbra. Come in occasione del loro primo bacio dietro uno stand del Salone della finanza personale organizzato dal “Daily Telegraph”, lei sapeva di rossetto, sigarette e alcol.
«Se vuoi, sarò testa di serie numero otto» disse Caroline quando suo marito rialzò la testa. «Non mi considero particolarmente brava a tennis.»
«È un torneo di doppio» le fece osservare Patrick, sentendo crescere l’irritazione.
«Doppio misto» precisò Georgina, di nuovo in posizione per la camminata del granchio. «Io potrei giocare con Toby e Nicola con uno dei gemelli, e l’altro gemello potrebbe giocare con la tata. Cosa ne dici, papà?»
Ma lui se n’era già andato.
Patrick entrò nel suo studio con una sensazione di scoraggiamento. L’ultima battuta maligna di Caroline sulla vita in campagna aveva toccato un nervo scoperto che lui non aveva saputo prevenire. La vita a Bindon non era risultata essere come l’aveva immaginata e lui stesso provava spesso una segreta nostalgia dei giorni passati in Seymour Road. In realtà aveva deciso il trasferimento in campagna per amore di Georgina. Tutte le compagne di scuola di ceto elevato di sua figlia sembravano vivere in villaggi, in antiche canoniche o in vecchie fattorie, con cani, cavalli e pecore. Nessuna di loro abitava in palazzine di mattoni rossi nei sobborghi di Silchester.
Così avevano venduto la casa al numero 24 di Seymour Road, si erano trasferiti a Bindon e avevano comprato un pony per Georgina. A Bindon, aveva pensato Patrick, sarebbero passati a un nuovo livello di esistenza. Nelle poche settimane precedenti il trasloco aveva immaginato grandi residenze con ampi viali d’accesso, aristocratiche ragazzine che facevano uscire i loro cavalli dai box, partite di croquet sul prato, ragazzi con nomi come Henry e Hugo con cui Georgina avrebbe potuto crescere.
Ma Bindon non era così. Praticamente nessuna delle famiglie che vivevano nel villaggio apparteneva a quella che Patrick definiva “alta società di campagna”. Molti si erano trasferiti a Bindon da Silchester, o addirittura da Londra, attratti dal collegamento ferroviario rapido con la stazione di Waterloo. Erano tutte persone che facevano rabbrividire Patrick, con quella piagnucolante cadenza londinese, così diversa dalla pronuncia precisa e ben scandita delle allieve della scuola di Georgina. Inoltre tendevano a starsene per conto loro, socializzando a feste organizzate da amici londinesi e, se queste cominciavano a scarseggiare, tornando spesso nella capitale. I precedenti proprietari della Casa Bianca avevano venduto la tenuta per tornare a Battersea, annoiati da una vita di paese che non avevano neppure provato a vivere.
Perché a Bindon in realtà esisteva una specie di comunità. Patrick e Caroline andavano in chiesa a domeniche alterne, patrocinavano la festa del paese ed erano in rapporti cordiali con il proprietario del fondo che confinava con il loro. Conoscevano la vecchia signora la cui famiglia un tempo aveva posseduto il castello e che adesso abitava in un cottage nelle vicinanze. Conoscevano le due ansiose sorelle del defunto vicario di Bindon. Conoscevano gli eccentrici Taylor, che vivevano a Bindon da generazioni e che, come amava aggiungere Caroline, probabilmente per generazioni si erano sposati tra di loro. Ma da nessuna parte Patrick aveva trovato le aristocratiche, socievoli famiglie con il doppio cognome, quelle da rivista “Country Life”, che lui stava cercando.
Il guaio di Silchester, aveva sentito dire da un genitore alla scuola di Georgina, era che si era trasformata nell’ennesimo sobborgo di Londra, gremita com’era di maledetti pendolari. Patrick, lui stesso un p...