adesso che cosa succederà? — le domandò Lucia all’uscita da scuola.
Emma aprì il lucchetto della sua bici. — L’hai sentita. Convocherà i miei genitori.
— E che cosa gli dici quando torni a casa?
Appoggiò la catena su una spalla. Poi la chiuse sul fianco sistemandola a tracolla, come faceva sempre Greta.
— Non torno a casa.
Lucia tremò.
— A me non sembra una buona idea.
Era la prima volta che non accoglieva una delle pensate della sua amica con il consueto entusiasmo.
— A me sembra la migliore idea che abbia mai avuto.
— E dove andrai?
In ciclofficina, per cominciare. Aveva bisogno di vedere Emiliano.
— Vado a fare un giro in bici.
— Vuoi che venga con te? — propose l’altra salendo sulla sua Graziella. — Però prima devo avvisare la mamma. Le ho promesso che l’aiutavo oggi pomeriggio. Non posso venire con te in ciclofficina ma se vuoi ti accompagno per un pezzo e parliamo un po’…
— No. Non ti preoccupare.
Era molto preoccupata, invece. Da stamattina, Emma aveva addosso un’espressione cupa che non le aveva mai visto. Quando aveva litigato con la Moretti poi, il suo sguardo era diventato perfino più inquietante. Doveva essere successo qualcosa. Qualcosa di cui non aveva nessuna voglia di parlare.
— Emma?
— Mm?
— Io volevo dirti che… insomma quando avevo qualche problema te l’ho sempre detto e tu mi hai aiutato. Adesso, se vuoi, possiamo fare il contrario.
— Io… grazie. Ma non mi va.
Esistono persone che si aggrappano tenacemente ai problemi degli altri per non abbracciare mai le loro paure. Emma, in questo momento, voleva un solo abbraccio e andò a prenderselo.
— Ci vediamo domani.
Salì in bici e scivolò via.
— Va bene, se cambi idea sono qui — disse Lucia al vento.
Mezz’ora dopo Emma frenò nel bel mezzo di via Gentilini.
— Funzionano bene i freni. Brava — le sorrise un ciclista tagliandole la strada.
Aveva abiti da gara, una tuta blu con le scritte gialle, il viso arrossato per le fatica e un sorriso sfolgorante.
— Non mi riconosci?
— Guido! — realizzò.
— Sì, sono io. Sono tornato.
S’infilò nella propria bottega e salutò Emiliano.
— Puoi andare, qui ci penso io. Devo riparare alcune cose.
— D’accordo, capo. Se vuoi ti do una mano.
— Non credo che ne avrai il tempo oggi pomeriggio…
Emma entrò annunciata da un cenno complice del capo.
— Che ci fai qui? — l’accolse lui sorpreso.
Si avvicinò a lui e lo strinse. — Sono scappata di casa — sussurrò.
— Anche tu?
Fece il primo sorriso della giornata.
— Sai, le mie nuove amicizie hanno un pessimo influsso su di me. Non te n’eri accorto?
— No. Mi sembravi felice.
Infatti lo era. Come mai nella sua vita.
— Dillo a mia madre.
Aveva un’idea migliore. — Facciamo un giro?
Emma guardò lo schermo del telefono. Era l’una. Fra una decina di minuti la madre l’avrebbe chiamata per sapere che fine avesse fatto. Pigiò un tasto rosso e lo schermo le chiese se volesse spegnere il cellulare.
— Ok.
A pochi isolati dalla casa di suo padre, Greta si fermò in mezzo alla strada senza riuscire a muovere un altro passo.
— Che c’è? — le chiese Anselmo.
— Aspetta.
Le ubbidì.
— Vuoi che parliamo ancora un po’?
— No… io… — tentennò la ragazza presa da un momento di panico puro.
Lui rimase lì a guardarla con occhi placidi come certi laghi di montagna.
— … Io voglio presentarti un lupo — inventò Greta.
Lui la guardò stranito. Poi lesse nel suo sguardo una specie di supplica. Quella di una bambina spaventata.
— Va bene.
Greta mise la mano nello zaino e gli mostrò un pupazzo di pezza.
— Come si chiama?
— Lupo.
Sorrise.
— È buono o cattivo?
— È cattivo.
— Anche se ha il pelo bianco come una pecorella?
— Se lo dici un’altra volta ti morde.
— Scusa, Lupo.
— Lupo non vuole andare in quella casa. Vuole andare al mare. Non ci è mai stato. È curioso.
— Secondo me non gli piace. Fa troppo caldo.
— Però lui ci vuole andare lo stesso.
Silenzio.
— Perché Lupo non vuole andare in quella casa? — azzardò Anselmo.
— Perché lì c’è mio padre.
— Lo conosce?
— Sì, è stato lui a regalarmi Lupo.
— Non lo sapevo.
— Non te l’avevo detto.
— Mi avevi detto che era andato via quando sei nata.
— È quello che avrei voluto. Non ne parlo mai, ma quando mi è capitato ho detto sempre così. Ma non è la verità. L’ultima volta che l’ho visto io avevo tre anni e lui aveva questo regalo in mano.
Anselmo osservò il pupazzo. Era buffo. Non sembrava per niente feroce. Ma Greta non doveva saperlo.
— Allora portiamo anche Lupo. Così se tuo papà è ancora cattivo lo morde e ci salva. Se invece è buono, lo morde e lo punisce per essere stato cattivo.
Greta scoppiò a ridere.
— Tu che dici, Lupo?
Greta lo mosse su e giù.
— È un sì?
— Sì.
Rimise il pupazzo nello zaino e lo zaino sulle spalle e gli rivolse uno sguardo rischiarato.
— Lupo dice che sei simpatico.
Maurizio Bianchi versò tre cucchiaini di zucchero nella caffettiera e mescolò velocemente. Miscelare lo zucchero direttamente nella moka era un’abitudine che aveva preso a Napoli. «Altrimenti lo raffreddi e il caffè freddo è triste» diceva sempre sua moglie. Non era vero, ma le donne gli avevano insegnato quanto fosse pericolosa la verità, e i napoletani quanto fosse importante il caffè. Adesso aveva una moglie napoletana.
— Grazie, amore.
La donna prese la tazzina bollente e bevve un sorso. Inspirò soddisfatta. Gli diede un bacio.
— Papà? — lo chiamò suo figlio.
— No, Vittorio. Tu non lo puoi bere.
Il piccolo batté una manina sul tavolo di plastica del seggiolone. Ma non stava fissando ostinatamente la tazzina, come faceva tutte le volte che sentiva odore di caffè nell’aria. Gli occhi verdi erano puntati verso un luogo lontano, oltre la finestra.
— Guahdaaa.
C’era qualcuno fuori dal cancello. Due ragazzi. Il campanello suonò.
— Chi è? — domandò Vittorio.
Mamma e papà si scambiarono uno sguardo perplesso.
— Aspetti qualcuno?
— No.
— Din, don. Chi è? — ripeté il bimbo.
Il padre si affacciò. Il ragazzo alzò la mano in cenno di saluto. La ragazza rimase immobile. Andò al citofono.
— Sì?
Rispose la voce della ragazza.
— Sono Greta.
La tazzina gli cadde dalle mani e andò in briciole. Il bambino scoppiò in lacrime e la mamma lo prese subito tra le braccia.
— Maurizio, che cosa succede?
— È… mia figlia.
Una gioia incredula allagò i suoi occhi neri. La donna raccolse una lacrima con un dito.
— Papà piange?
— Sì, piange perché è felice.
Il bambino li guardò perplesso.
— Vedi, ci sono due persone che sono venute a trovarlo.
Sua moglie gli fece una carezza.
— Adesso papà va a fare una passeggiata con gli amici. Guarda che bella giornata…
Il bambino si calmò.
— Itt...