Oh mio Dio, abbiamo un bambino!
Nessun evento nella vita di una persona adulta provoca tanta gioia e allo stesso tempo tanto terrore come diventare genitori per la prima volta. Per fortuna è la gioia a prevalere, ma al principio l’insicurezza e il timore possono avere la meglio. Alan, un grafico di trentatré anni, ricorda perfettamente il giorno in cui andò a prendere sua moglie Susan all’ospedale. Casualmente era anche il giorno del loro quarto anniversario di matrimonio. Susan, una scrittrice di trentasette anni, aveva avuto un travaglio e un parto abbastanza facili, e Aaron, un bel neonato dagli occhi azzurri, si attaccava bene al seno e piangeva raramente. Il secondo giorno mamma e papà lasciarono l’ospedale per iniziare una nuova vita come famiglia.
«Camminavo fischiettando verso la sua stanza» ricorda Alan. «Tutto sembrava perfetto. Aaron aveva appena finito di mangiare e dormiva beatamente in braccio a Susan. Tutto era proprio come l’avevo immaginato. Scendemmo con l’ascensore, era una giornata di sole e l’infermiera mi lasciò spingere la sedia a rotelle di Susan. Mentre correvo ad aprire la portiera della macchina mi ricordai che avevo dimenticato di sistemare la carrozzina: giuro che ci misi più di mezz’ora per farlo nel modo giusto. Finalmente vi posai Aaron con delicatezza. Aiutai Susan a entrare in macchina, ringraziai l’infermiera per la sua pazienza e mi sedetti al volante.
«Improvvisamente Aaron cominciò a farsi sentire. Non è che piangesse, piuttosto emetteva dei suoni che non ricordavo di aver mai sentito all’ospedale o che forse non avevo notato. Susan mi guardò, e io guardai lei. “Oh Gesù!” esclamai. “E ora che cosa facciamo?”.»
Tutti i genitori che conosco hanno vissuto il momento del «e ora che cosa facciamo?», proprio come Alan. Per alcuni arriva già in ospedale, per altri durante il viaggio verso casa, o anche due o tre giorni dopo. Sono in corso cambiamenti di tale portata – il recupero dal punto di vista fisico, l’impatto emotivo, la realtà di doversi occupare di un neonato indifeso – che pochi sono davvero preparati ad affrontare lo shock. Alcune neomamme ammettono: «Avevo letto tutti i libri sull’argomento, ma nessuno di questi mi aveva preparato per quei momenti». Altre ricordano: «C’erano tante di quelle cose a cui pensare. Piangevo spesso».
I primi tre, cinque giorni sono spesso i più difficili, perché tutto appare nuovo e terrorizzante. Di solito è proprio questo il momento in cui i genitori, preoccupati, mi bombardano di domande: «Quanto deve durare una poppata?», «Perché contrae le gambine in questo modo?», «È questo il sistema giusto per cambiarlo?», «Perché la sua cacca è di quel colore?». E poi, ovviamente, la domanda più frequente di tutte: «Perché piange?». I genitori, e soprattutto le mamme, spesso si sentono in colpa perché pensano di dover sapere tutto. La madre di un neonato di un mese mi disse: «Ho tanta paura di sbagliare, ma allo stesso tempo non voglio che nessuno mi aiuti o mi dica che cosa fare».
Il primo consiglio che do – e che continuo a dare – ai neogenitori è di calmarsi. Ci vuole tempo per conoscere il proprio bambino. Ci vogliono pazienza e un’atmosfera tranquilla. Ci vogliono forza e resistenza. Ci vogliono rispetto e gentilezza. Ci vogliono responsabilità e disciplina. Ci vogliono attenzione e capacità di osservazione. Ci vogliono tempo e pratica. Occorre sbagliare molto, prima di far bene. E bisogna ascoltare il proprio intuito.
Notate quante volte ho ripetuto l’espressione «ci vogliono». All’inizio, il vostro bambino «vorrà» molto e «darà» poco. Avrete gioie infinite dall’essere genitori, ve lo assicuro. Ma non succederà in un giorno, ragazzi; piuttosto, lo capirete nei mesi e negli anni. E soprattutto, ognuno avrà delle esperienze diverse. Come ha detto una mamma di uno dei miei gruppi ripensando ai primi giorni a casa: «Non sapevo se stessi facendo le cose giuste, e fra l’altro ognuno ha una sua idea di ciò che è “giusto”».
Inoltre, ogni bambino è diverso da tutti gli altri, motivo per cui dico alle mie mamme che il loro primo compito è capire il bambino reale, non quello che hanno sognato per nove mesi. In questo capitolo vi aiuterò a farvi un’idea di ciò che potete aspettarvi dal vostro bambino; ma prima vi darò qualche indicazione per affrontare al meglio i primi giorni a casa.
Finalmente a casa
Poiché mi vedo un po’ come l’avvocato di tutta la famiglia, e non solo del nuovo arrivato, parte del mio lavoro consiste nell’aiutare i genitori a guardare le cose in prospettiva. Da subito dico alle mamme e ai papà: tutto ciò non durerà in eterno. Vi tranquillizzerete. Diventerete più sicuri. Sarete i migliori genitori possibili. E a un certo punto, che ci crediate o no, il vostro bambino dormirà tutta la notte. Per ora, però, dovete diminuire un po’ le vostre aspettative. Avrete giorni buoni e giorni meno buoni: siate preparati in entrambi i casi e non mirate alla perfezione.
Consiglio. Quanto più vi sarete organizzati prima di tornare a casa, tanto meglio sarà per tutti dopo. E nell’aprire boccette e tubetti, nel sistemare le scatole e nel togliere i vestitini nuovi dalle confezioni cercate di non tenere il bambino in braccio! (Vedi il box successivo).
Di solito è bene ricordare questo alle neomamme: «È il vostro primo giorno a casa, il primo in cui non avete più la sicurezza di essere accudite, di ricevere aiuto, risposte alle vostre domande e conforto semplicemente suonando un campanello. Ora siete sole». Certo, spesso si è felici di lasciare l’ospedale: magari le infermiere sono state brusche o hanno fornito consigli contrastanti, e le frequenti interruzioni del personale sanitario e dei visitatori vi hanno probabilmente impedito di riposare. In ogni caso, quando arrivano a casa, per la maggior parte le mamme sono spaventate, confuse, esauste o sofferenti… o forse tutte queste cose insieme.
PREPARATE IL RITORNO A CASA
Una delle ragioni per cui con i miei bambini le cose vanno tanto lisce è che tutto l’occorrente è pronto per loro un mese prima del termine. Più voi siete preparate, più l’atmosfera è tranquilla e più tempo avrete dopo per osservare il vostro bambino e conoscerlo per quello che è.
- * Mettete le lenzuola nella culla (o nel lettino).
- * Preparate il fasciatoio. Cercate di avere a portata di mano tutto ciò che vi serve: salviettine, pannolini, cotone, alcool.
- * Tenete pronti i primi vestitini del bambino. Toglieteli dalle confezioni, rimuovete le etichette e lavateli con un detersivo delicato e senza candeggina.
- * Riempite frigo e freezer. Una settimana o due prima del termine, cucinate delle lasagne, dei tortini, delle zuppe e altri piatti che si possano surgelare. Assicuratevi di avere una buona scorta delle cose fondamentali: latte, burro, uova, cereali, cibo per cani (se ne possedete uno). Mangerete meglio spendendo meno ed eviterete corse frenetiche al supermercato.
- * Non portate troppe cose in ospedale. Ricordate che avrete molte borse extra – e il bambino – da portare a casa.
Perciò consiglio un rientro «lento»: quando varcate la soglia di casa, respirate a fondo. Pensate che questo è l’inizio di una nuova avventura, e che voi e il vostro partner siete due esploratori. E soprattutto siate realistiche: il periodo del post partum è difficile, un terreno insidioso; sono davvero pochi quelli che non inciampano lungo il cammino. (Per altre indicazioni su come le mamme possono superare il periodo post partum vedi il capitolo 7.)
Cominciate a dialogare con il vostro bambino mostrandogli la sua nuova casa. Certo, fate un vero e proprio tour della casa, come se foste i curatori di un museo e lui un importante visitatore. Ricordate quello che vi ho detto sul rispetto: dovete trattare il vostro piccolo come una persona, come qualcuno che capisce e sente. Certo, parla una lingua ancora sconosciuta, ma in ogni caso è importante chiamarlo per nome e far sì che ogni interazione sia un dialogo e non una lezione.
Dunque camminate per la casa tenendolo in braccio e mostrategli dove vivrà. Parlate con lui. Con voce dolce e gentile descrivete ogni stanza: «Questa è la cucina. È dove io e papà facciamo da mangiare. Qui c’è il bagno, dove facciamo la doccia». E così via. Può darsi che vi sentiate sciocchi: molti neogenitori sono intimiditi quando cominciano a dialogare con il loro bambino. È normale. Fate pratica, e vi sorprenderete di quanto vi verrà facile. Cercate solo di ricordare che avete fra le braccia un piccolo essere umano, una persona i cui sensi sono vivi, un esserino che già riconosce la vostra voce e perfino il vostro odore.
Mentre camminate, dite al papà o alla nonna che vi preparino una camomilla, un tè o un’altra bevanda calmante. Il tè, naturalmente, è la mia bevanda preferita. Al mio paese, quando una mamma torna a casa dall’ospedale c’è sempre qualcuno che spunta dalla porta accanto e mette su un bricco per il tè. È un’usanza molto inglese e molto civile, e l’ho insegnata a tutte le famiglie per cui ho lavorato: dopo una bella tazza di tè, tutto ciò che vorrete sarà conoscere meglio la meravigliosa creatura a cui avete dato la vita.
Fate un bagnetto al bambino e allattatelo (informazioni e consigli sull’allattamento nel capitolo 4, per il bagnetto vedi pp. 172-178).
CERCATE DI LIMITARE LE VISITE
Convincete tutti, tranne i parenti e gli amici più stretti, a non venire a trovarvi nei primi giorni. Se qualche parente viene da fuori, la cosa migliore che può fare è cucinare, pulire e farvi delle commissioni. Fate sapere in modo carino che chiederete il loro aiuto con il bambino se ne avrete bisogno, ma che vorreste usare questo periodo per conoscere il vostro piccolo in tranquillità.
Ricordate che non siete le uniche a essere sotto shock: anche il vostro bambino ha dovuto fare un bel viaggetto! Immaginate un piccolo essere umano che si trova esposto alla luce violenta di una sala parto. Improvvisamente il suo corpicino viene strofinato, sballottato e punzecchiato con energia e velocità da estranei le cui voci non gli sono familiari. Dopo qualche giorno nella nursery, circondato da altri piccoli esseri umani, ha dovuto trasferirsi a casa. Se poi lo avete adottato, il viaggio è stato probabilmente ancora più lungo.
Consiglio. Le nursery degli ospedali hanno una temperatura piuttosto alta, simile a quella del ventre materno: fate in modo che la nuova stanza del bambino sia sui 22 °C.
Il bagnetto è un’occasione meravigliosa per studiare da vicino il miracolo che avete appena compiuto: probabilmente è la prima volta che vedete il vostro bambino nudo. Fate conoscenza con ogni centimetro della sua pelle, esplorate le piccole dita delle mani e dei piedi: continuate a parlare con lui, cercate di stabilire un legame. Allattatelo o dategli il biberon. Osservatelo mentre gli viene sonno e fate in modo che si addormenti nella sua culla (altri suggerimenti sul tema «dormire» sono nel capitolo 6).
«Ma ha gli occhi aperti» è stata la protesta di Gail, una parrucchiera la cui bimba di appena due giorni sembrava fissare felice la fotografia di un neonato appesa sulla culla. Avevo suggerito che Gail lasciasse la stanza e si riposasse un pochino, ma lei rispose: «Non si è ancora addormentata». Ho sentito la stessa frase da molte neomamme, ma dirò subito che il vostro bambino non deve necessariamente dormire per essere messo nella sua culla e perché voi possiate allontanarvi. «Guarda,» sorrisi «Lily è occupata col suo ragazzo, ora tu va’ a riposare.»
PROCEDETE A PICCOLI PASSI
Avete molta carne al fuoco, cercate di non aggiungere altri motivi di tensione. Invece di prendervela con voi stesse perché non avete ancora scritto tutti gli annunci di nascita o spedito i bigliettini di ringraziamento, stabilite una meta per volta, purché sia ragionevole. Ad esempio, scrivere cinque bigliettini al giorno invece di quaranta. Fissate delle priorità, dividendo le cose da fare in «urgenti», «da rimandare» e «da fare quando starò meglio». Se siete calme e scrupolose nel fare questa divisione, sarete sorprese di quante cose finiranno nell’ultima categoria.
DUE PAROLE SUGLI ANIMALI DOMESTICI
Gli animali possono essere molto gelosi dei neonati: dopo tutto, per loro è come se portaste a casa un fratellino.
Cani. Non potete certo parlare al vostro cane per prepararlo, ma potete portare dall’ospedale una coperta o un pannolino ...