
- 496 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Le relazioni pericolose
Informazioni su questo libro
Legati da un rapporto morboso uno sfrenato libertino e un vizioso marchese uniscono le forze per condurre alla perdizione due giovani donne. Il mondo cinico della nobiltà francese del '700 nell'unico romanzo di Laclos (1741-1803), generale di Napoleone.
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Informazioni
Print ISBN
9788804492887eBook ISBN
9788852036675PARTE QUARTA
LETTERA 125
Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil
Eccola vinta, dunque, questa donna superba che aveva osato credere di potermi resistere! Sì, amica cara, lei è mia, completamente mia, e da ieri non ha più niente da concedermi.
Sono ancora troppo pieno della mia felicità per poterla apprezzare, ma mi stupisco dell’incanto sconosciuto che ho provato. Sarebbe quindi vero che la virtù accresce il valore di una donna persino nel momento stesso della sua debolezza? Ma releghiamo questa idea puerile tra i racconti delle donnette. Forse non si incontra quasi dovunque una resistenza più o meno ben mascherata, al primo trionfo? E ho mai trovato altrove l’incanto di cui parlo? Eppure non è quello dell’amore, perché insomma, se talvolta, accanto a questa donna stupefacente, ho avuto momenti di debolezza che somigliavano a quella passione pusillanime, ho sempre saputo vincerli e ritornare ai miei princìpi. Anche se la scena di ieri mi avesse, come credo, trascinato un po’ più lontano di quanto contavo; seppure avessi, per un attimo, condiviso il turbamento e l’ebbrezza che suscitavo, questa illusione passeggera sarebbe ora svanita: eppure il fascino rimane. Ammetto che proverei persino un piacere tanto dolce ad abbandonarmici, se non mi provocasse qualche inquietudine. Sarei dunque, alla mia età, dominato come uno scolaretto da un sentimento involontario e sconosciuto? No: bisogna prima di tutto combatterlo e sondarlo.
Del resto forse ne ho già intravisto la causa! Almeno mi compiaccio di questa idea e vorrei che fosse vera.
Nella moltitudine di donne con cui ho svolto finora il ruolo e la funzione di amante, non ne avevo ancora incontrata nessuna che almeno non avesse tanta voglia di darsi quanta ne avevo io di convincerla a farlo. Mi ero persino abituato a chiamare pudiche quelle che facevano solo la metà del percorso, a differenza di tante altre la cui difesa provocante mascherava solo parzialmente le prime profferte fatte da loro stesse.
Stavolta invece ho trovato una prima prevenzione sfavorevole, fondata poi sui consigli e sulle indiscrezioni di una donna piena d’odio ma lucida; una timidezza naturale estrema, rafforzata da un pudore assennato; una dedizione alla virtù, guidata dalla religione e che contava già due anni di trionfi; infine delle mosse brillanti, ispirate da questi diversi motivi, e che avevano tutte il solo scopo di sottrarsi ai miei corteggiamenti.
Non è dunque, come nelle altre mie avventure, una semplice capitolazione più o meno vantaggiosa, e di cui è più facile approfittare che inorgoglirsi; è una vittoria completa, ottenuta con una campagna faticosa e decisa da sapienti manovre. Perciò non è sorprendente che questo successo, dovuto a me solo, mi divenga più prezioso; e il maggior piacere che ho provato nel mio trionfo, e che avverto ancora, non è che la dolce sensazione del sentimento della gloria. Mi piace molto questo modo di vedere la cosa, perché mi salva dall’umiliazione di pensare che possa dipendere in qualche maniera dalla schiava stessa che mi sono asservita; che io non abbia in me stesso la pienezza della mia felicità; e che la facoltà di farmene godere in tutta la sua energia sia riservata a questa o quella donna, con l’esclusione di ogni altra.
Queste riflessioni sensate orienteranno il mio comportamento in questa occasione importante; e potete star certa che non mi lascerò incatenare al punto di non poter sempre spezzare questi nuovi legami, come e quando vorrò. Ma già vi parlo della rottura e voi non sapete ancora in che modo ne ho acquisito il diritto; leggete dunque, e guardate a cosa si espone la saggezza quando cerca di soccorrere la follia. Studiavo così attentamente le mie parole e le risposte che ottenevo, che spero di potervele ripetere con un’esattezza di cui sarete contenta.
Vedrete dalle due copie delle lettere accluse45 quale mediatore avevo scelto per avvicinarmi alla mia bella, e con quale zelo il sant’uomo si è prodigato per riunirci. Devo anche dirvi che avevo saputo da una lettera, intercettata come al solito, che il timore e la lieve umiliazione di essere lasciata avevano un po’ scosso la prudenza dell’austera devota, e le avevano colmato il cuore e la testa di sentimenti e di idee che, anche se prive di senso comune, non per questo erano meno interessanti. Dopo questi preliminari, necessari da sapere, ieri, giovedì 28, giorno fissato e concesso dall’ingrata, mi sono presentato da lei come schiavo timido e pentito, per uscirne vincitore incoronato.
Erano le sei di sera quando arrivai dalla bella reclusa, dato che dal suo ritorno la sua porta era rimasta sbarrata per tutti. Quando fui annunciato tentò di alzarsi ma le ginocchia tremanti non le permisero di restare in quella posizione: si rimise subito a sedere. Siccome il domestico che mi aveva introdotto aveva qualcosa da fare nell’appartamento, ne parve spazientita. Riempimmo quest’intervallo con i soliti convenevoli. Ma per non perdere niente di un tempo in cui ogni momento era prezioso, esaminai accuratamente il locale e già da allora individuai con un’occhiata il teatro della mia vittoria. Avrei potuto sceglierne uno più comodo: perché in quella stanza c’era un’ottomana. Ma notai che di fronte c’era un ritratto del marito, e confesso di aver temuto che, con una donna così strana, uno sguardo fortuito in quella direzione potesse distruggere in un momento il frutto di tante fatiche. Infine restammo soli ed entrai in argomento.
Dopo aver esposto, in poche parole, che padre Anselmo aveva dovuto informarla dei motivi della mia visita, mi sono lamentato del trattamento severo che avevo subìto; e ho insistito soprattutto sul disprezzo che mi era stato dimostrato. Come mi aspettavo, e vi aspettavate anche voi, lei si è difesa; e io ho fondato la prova sulla diffidenza e il timore che le avevo ispirato, la fuga scandalosa che ne era seguita, il rifiuto di rispondere alle mie lettere, persino di riceverle eccetera. Dato che cominciava una giustificazione che sarebbe stata molto facile, ho ritenuto di doverla interrompere e, per farmi perdonare la maniera brusca, l’ho subito mitigata con una lusinga. Così ho ripreso: «Se tanto fascino ha fatto un’impressione così profonda sul mio cuore, tante virtù non ne hanno fatta meno sulla mia anima. Sedotto senza dubbio dal desiderio di avvicinarmici, avevo osato credermene degno. Non vi rimprovero di avermi giudicato diversamente; ma mi punisco per il mio errore». Visto che lei taceva imbarazzata, ho proseguito: «Signora, ho desiderato giustificarmi ai vostri occhi o ottenere da voi il perdono dei torti che mi attribuite; per poter almeno metter fine con un po’ di pace a giorni cui non attribuisco più valore da quando voi avete rifiutato di abbellirli».
A questo punto ha cercato comunque di rispondermi: «Il mio dovere non mi permetteva...». E la difficoltà di terminare la menzogna che il dovere esigeva non le ha permesso di finire la frase. Ho dunque ripreso con il tono più tenero possibile: «Allora è me che volevate fuggire, vero?». «Quella partenza era necessaria.» «E che mi allontaniate da voi?» «È necessario.» «E per sempre?» «Lo devo.» Non occorre dirvi che durante questo breve dialogo la voce della tenera pudica era soffocata e che i suoi occhi non si alzavano fino a me.
Ritenevo di dover animare un po’ quella scena troppo languida; così alzandomi con aria offesa, dissi: «La vostra fermezza mi restituisce tutta la mia. Ebbene sì, signora, saremo separati, anche più di quanto pensiate: e potrete compiacervi quanto vorrete della vostra opera». Un po’ sorpresa da quel tono di rimprovero, volle replicare. «La decisione che avete preso...» disse lei. «Non è che l’effetto della mia disperazione» ripresi io con slancio. «Avete voluto che fossi infelice; vi proverò che ci siete riuscita al di là delle vostre speranze.» «Io desidero la vostra felicità» rispose lei. E il suono della sua voce cominciava a manifestare un’emozione molto forte. Così precipitandomi ai suoi piedi, e col tono drammatico che mi conoscete, gridai: «Ah, crudele, può mai esistere per me una felicità che voi non condividiate? Dove trovarla lontano da voi? Ah, mai, mai!». Confesso che, abbandonandomi a questo punto, avevo contato molto sull’aiuto delle lacrime: ma, o per la cattiva disposizione, o forse solo per l’effetto dell’attenzione faticosa che mettevo in tutto, mi fu impossibile piangere.
Per fortuna mi ricordai che per soggiogare una donna ogni mezzo era buono e bastava stupirla con un gran gesto, perché l’impressione restasse profonda e favorevole. Supplii dunque con il terrore alla sensibilità che mancava e, cambiando solo l’inflessione della mia voce, mantenendo la stessa posizione: «Sì,» continuai «ne faccio giuramento ai vostri piedi: possedervi o morire». Pronunciando queste ultime parole, i nostri sguardi si incontrarono. Non so quello che la timida creatura vide o credette di vedere nei miei: ma si alzò con un’aria spaventata e sfuggì dalle mie braccia che l’avevano circondata. È vero che non feci niente per trattenerla, dato che avevo notato parecchie volte che le scene di disperazione condotte con foga eccessiva cadono nel ridicolo appena diventano troppo lunghe, o non consentono che esiti davvero tragici che ero ben lontano dal volere. Tuttavia, mentre mi sfuggiva, aggiunsi con un tono sommesso e sinistro, ma in modo che potesse sentirmi: «Ebbene, la morte!».
Allora mi alzai e, restando un attimo in silenzio, gettai su di lei, come per caso, uno sguardo truce che, pur dovendo apparire smarrito, era penetrante e indagatore. Il portamento incerto, il respiro affannoso, la contrazione di tutti i muscoli, le braccia tremanti a metà sollevate, tutto mi provava che l’effetto era quello voluto: ma, dato che in amore non si conclude niente se non da molto vicino, e noi eravamo assai lontani l’uno dall’altra, occorreva innanzitutto avvicinarsi. Per riuscirci passai il più presto possibile a un’apparente tranquillità, adatta a calmare gli effetti di quello stato violento, senza affievolirne l’impressione.
La mia transizione fu: «Sono molto infelice. Ho voluto vivere per la vostra felicità e l’ho turbata. Mi dedico alla vostra tranquillità e la turbo ancora». Poi con un’aria composta ma contrita: «Perdonatemi, signora, poco abituato alle tempeste delle passioni, riesco a fatica a reprimerne i moti. Se ho avuto il torto di cedervi, pensate almeno che è l’ultima volta. Ah, calmatevi, calmatevi, vi scongiuro». E durante questo lungo discorso mi avvicinavo impercettibilmente. «Se volete che mi calmi,» rispose la bella sconvolta «siate più calmo voi stesso.» «Ebbene, sì, ve lo prometto» le dissi. E aggiunsi con voce più flebile: «Se lo sforzo è grande, perlomeno non deve essere lungo. Ma» ripresi subito con un’aria smarrita «sono venuto per restituirvi le vostre lettere, vero? Di grazia, degnatevi di riprenderle. Mi resta da compiere questo doloroso sacrificio; non mi lasciate niente che possa indebolire il mio coraggio». Ed estraendo dalla tasca la preziosa raccolta: «Eccolo,» dissi «questo pegno ingannevole delle vostre asserzioni d’amicizia! Mi legava alla vita, riprendetelo. Date così voi stessa il segnale che deve separarmi da voi per sempre».
A questo punto la timorosa innamorata cedette completamente alla sua tenera inquietudine. «Ma, Valmont, che avete, e che volete dire? Il passo che fate oggi non è volontario? Non è il frutto delle vostre riflessioni? Non sono esse che vi hanno fatto approvare la decisione necessaria che io ho seguito per dovere?» «Ebbene,» ripresi «quella decisione ha determinato la mia.» «E qual è?» «La sola che possa mettere fine alle mie pene separandomi da voi.» «Ma rispondetemi, qual è?» A questo punto la strinsi tra le braccia senza che si difendesse affatto; e valutando da quell’oblio delle convenienze quanto era forte e potente l’emozione, le dissi azzardando l’entusiasmo: «Donna adorabile, voi non avete idea dell’amore che ispirate, non saprete mai fino a che punto foste adorata e quanto questo sentimento mi fosse più caro della mia esistenza! Possano tutti i vostri giorni essere fortunati e tranquilli; possano abbellirsi di tutta la felicità di cui mi avete privato! Ricambiate almeno questo augurio sincero con un rimpianto, con una lacrima; e siate certa che l’estremo sacrificio non sarà il più penoso per il mio cuore. Addio».
Mentre parlavo così, sentivo il suo cuore palpitare con violenza; osservavo l’alterazione del suo volto; vedevo soprattutto le lacrime soffocarla, e tuttavia scorrere solo rare e a fatica. Fu allora che presi la decisione di fingere d’allontanarmi; così trattenendomi con forza: «No, ascoltatemi» disse vivamente. «Lasciatemi» risposi. «Mi ascolterete, lo voglio.» «Devo fuggirvi, devo!» «No!» gridò lei. A queste parole si precipitò, o meglio cadde svenuta tra le mie braccia. Poiché dubitavo ancora di un così felice successo, finsi un grande spavento; ma pur spaventandomi, la conducevo, o la portavo, verso il luogo precedentemente designato come campo della mia gloria; e infatti rinvenne ormai sottomessa e già in preda al suo felice vincitore.
Fino a questo punto, mia bell’amica, mi troverete una purezza di metodo che vi farà piacere; e vedrete che non mi sono allontanato in niente dai veri princìpi di questa guerra che, come abbiamo osservato spesso, è tanto simile all’altra. Giudicatemi quindi come Turenne o Federico. Ho costretto a combattere il nemico che voleva solo temporeggiare; con sapienti manovre mi sono attribuito la scelta del terreno e della posizione; ho saputo ispirare sicurezza al nemico, per raggiungerlo più facilmente nella ritirata; ho saputo suscitare il terrore prima di arrivare al combattimento; non ho lasciato nulla al caso, se non in considerazione di un grande vantaggio nell’eventualità del successo, e della certezza di altre risorse in caso di sconfitta; infine, ho dato il via all’azione solo dopo essermi assicurato una ritirata, attraverso la quale potessi coprire e conservare tutto quello che avevo conquistato precedentemente. Credo sia tutto quello che si può fare; ma temo adesso di essermi rammollito come Annibale nelle delizie di Capua. Ecco quello che è successo dopo.
Mi aspettavo proprio che un evento così importante non sarebbe trascorso senza le lacrime e la disperazione usuali; e se notai all’inizio un po’ più di confusione e una sorta di raccoglimento, attribuii l’una e l’altro alla condizione di pudica: così, senza fare caso a queste leggere differenze che credevo puramente circoscritte, seguivo semplicemente la strada maestra delle consolazioni, convinto che, come succede di solito, le sensazioni avrebbero aiutato il sentimento, e che una sola azione avrebbe fatto più di tutti i discorsi, che comunque non trascuravo. Ma trovai una resistenza davvero impressionante, non tanto perché eccessiva quanto per la forma sotto la quale si mostrava.
Immaginatevi una donna seduta, rigida, immobile, e con un’espressione impietrita; che sembra non pensare, né ascoltare, né capire; i cui occhi fissi lasciano sfuggire lacrime continue, ma che scorrono senza sforzo. Così era Mme de Tourvel durante i miei discorsi; ma se cercavo di riportare la sua attenzione verso di me con una carezza, persino col gesto più innocente, a questa apparente apatia seguivano subito il terrore, il soffocamento, le convulsioni, i singhiozzi, e qualche grido a intervalli, ma senza una parola articolata.
Queste crisi ritornarono diverse volte, e sempre più forti; l’ultima fu anzi così violenta, che ne fui completamente scoraggiato, e temetti per un attimo di aver riportato una vittoria inutile. Ripiegai sui luoghi comuni d’uso; e tra gli altri capitò questo: «Siete disperata per aver fatto la mia felicità?». A queste parole, l’adorabile donna si girò verso di me, e il suo viso, sebbene un po’ sconvolto, aveva tuttavia ripreso già la sua espressione celestiale. «La vostra felicità!» mi disse. Potete immaginare la mia risposta. «Siete dunque felice?» Raddoppiai le mie rimostranze. «E felice per causa mia!» Aggiunsi le lodi e le frasi tenere. Mentre parlavo tutte le sue membra si rilassarono; ricadde mollemente, appoggiata sulla sua poltrona e abbandonandomi una mano che avevo osato prendere: «Sento» disse «che questo pensiero mi consola e mi dà sollievo».
Immaginerete che, rimessomi sulla strada giusta,...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Le relazioni pericolose
- Introduzione di Vincenzo Papa
- Cronologia
- Bibliografia
- Avvertenza dell’editore
- Prefazione del redattore
- Parte prima
- Parte seconda
- Parte terza
- Parte quarta
- Postfazione di André Malraux
- Copyright