Parecchi anni fa qualche scienziato di cui si è persa memoria ebbe un’ottima idea: paragonare la vita della Terra a un anno solare. Un ragionamento intelligente, citato da innumerevoli testi didattici in tutto il mondo, che ci permette di valutare meglio la quantità di tempo trascorso dall’origine del nostro pianeta. Nel 1992 il padre della divulgazione scientifica italiana, Piero Angela, lo ha ripreso in un libro molto interessante. Questo esempio può essere utilizzato per comprendere un’ampia serie di sfaccettature che spesso sfuggono all’uomo moderno. Prima di entrare nei particolari attraverso esempi piuttosto curiosi, è bene sottolineare che comprimendo il tempo in questo modo, ricordando che la Terra ha approssimativamente 4 miliardi e mezzo di anni, ogni secondo di questo ideale calendario corrisponderebbe a circa 144 anni, e quindi ogni giorno a più di 12.300.000 anni.
Quanto siamo piccoli
Sicuramente gli esempi possono aiutarci più di qualunque discorso. Cominciamo ponendo la formazione della Terra al 1° gennaio, corrispondente a 4 miliardi e mezzo di anni fa. Il 9 luglio, dunque parecchi mesi dopo, si formano l’ossigeno e l’atmosfera: siamo a 2 miliardi e 200 milioni di anni fa. Rapidamente arriviamo al 29 novembre, corrispondente a 400 milioni di anni fa; in quella data cominciamo a vedere le prime piante e i primi animali. Dobbiamo arrivare al 13 dicembre per veder nascere i dinosauri, 230 milioni di anni fa. Provate solo a pensare che di solito, quando arriva il 13 dicembre, per noi l’anno è ormai quasi finito e siamo già in ritardo per i regali di Natale; in questo nostro calcolo, invece, ci aspetta ancora una strada molto interessante da percorrere. Il 27 dicembre, solo quattro giorni prima della fine dell’anno, si estinguono i dinosauri e ci troviamo così a 65 milioni di anni fa. In quel periodo la Terra non era quella che conosciamo oggi, i continenti erano ancora uniti in un’unica grande massa, chiamata Pangea. È infatti il 28 dicembre, circa 30 milioni di anni dopo la scomparsa dei dinosauri, solo ventiquattr’ore nel nostro ideale calendario, che ha inizio il movimento della crosta terrestre.
Ma veniamo a noi e parliamo dell’Homo sapiens. Fa la sua comparsa circa 35.000 anni fa; nel nostro ipotetico anno siamo arrivati alle 23.56 e 15 secondi del 31 dicembre, mancano meno di quattro minuti alla mezzanotte, e l’uomo è ancora poco più di una scimmia. Alle 23.57 e 43 secondi ha inizio l’Era glaciale: stiamo parlando di 20.000 anni fa. A poco più di un minuto dalla mezzanotte, cioè alle 23.58 e 42 secondi, finisce l’Era glaciale; ci troviamo a 12.500 anni fa, cioè 10.500 anni avanti Cristo. Mancano solo 34 secondi alla mezzanotte quando, nel 2975 a.C., fa la sua comparsa il primo faraone in Egitto. Alle 23.59 e 55 secondi Dante sta scrivendo la Divina commedia. Alle 23.59, 59 secondi e 74 centesimi, il cosmonauta russo Yurij Gagarin affronta per primo lo spazio. Quindi, in questo anno idealmente compresso, tutta la nostra civiltà evoluta, legata all’elettronica, allo spazio, alle tecnologie più avanzate, occupa 26 centesimi di secondo. Un battito di ciglia quasi impercettibile in un anno. È un esempio curioso, ma può farci capire quello che realmente siamo rispetto a quello che crediamo di essere.
A questo punto nasce una domanda che ci accompagnerà nel corso di tutto il libro: è possibile che in un lasso di tempo così esteso, considerando anche solo il periodo compreso tra la scomparsa dei dinosauri e oggi, la nostra sia l’unica civiltà evoluta sviluppatasi sulla Terra? Utilizzando il tempo del nostro anno compresso possiamo chiederci: è possibile che tra il 26 dicembre e la mezzanotte del 31 non sia successo qualcosa che ci sfugge? Stiamo parlando di un periodo di circa 70 milioni di anni. Un lasso di tempo enorme se pensiamo che ne sono passati solo 12.500 dalla fine dell’ultima glaciazione, e meno di 5000 dalla costruzione della prima piramide. Pensate quante volte 5000 si trova all’interno di 70 milioni e quindi quante volte la durata della nostra civiltà potrebbe ritrovarsi nello spazio che ci separa dall’estinzione dei dinosauri. Un’altra civiltà avrebbe avuto tutto il tempo per nascere, svilupparsi e scomparire, lasciandoci tracce quasi impercettibili, perché travolte da milioni di anni. Basterebbe anche meno tempo.
Piccoli ma significativi, questo possiamo essere noi. Certamente piccoli, basta guardare il cielo di notte per comprendere che siamo poco più di un granello di polvere nell’universo, e nell’età di quel granello di polvere occupiamo l’ultimo battito di ciglia. Un frammento infinitesimale di tempo, eppure stiamo segnando la vita e di certo il futuro del nostro mondo. Facciamo allora un salto indietro e cominciamo a osservare con attenzione cose che abbiamo avuto sotto gli occhi per anni e che, distratti, non abbiamo mai notato, ma anche piccolissime tracce emerse per errore e che potrebbero aiutarci a riscrivere una storia antica.
Provate a guardare quello che avete di fronte adesso: un libro, forse alcuni oggetti. Tutto quello che vedete in questo momento fra un milione di anni non ci sarà più. Anzi, sarebbe meglio dire quasi tutto; infatti, se avete la fortuna di vedere l’orizzonte e scoprire il profilo delle montagne, ebbene quelle ci saranno ancora. Ogni oggetto creato dall’uomo che non sia l’elaborazione di un blocco di pietra è inesorabilmente destinato alla distruzione. Ne sono testimonianza le ossa dei dinosauri, che possiamo certo ritrovare ai nostri giorni ma solo come fossili, cioè pietra.
Qualunque altro oggetto reca già scritta su di sé, involontariamente, la data di “scadenza”. Tra i manufatti più antichi ritrovati in tombe egizie di circa 5000 anni fa, gli unici oggetti ancora intatti, benché fragilissimi, erano terrecotte. E stiamo parlando di appena 5000 anni fa. Fra gli oggetti più antichi al mondo possiamo ricordarne uno in ceramica: la Venere di Dolní Věstonice, databile a 25.000-29.000 anni fa. È stata scoperta in Moravia, nella Repubblica Ceca, e attualmente non è esposta al pubblico. Con grande sorpresa, gli ultimi esami a cui è stata sottoposta hanno permesso di rilevare un’impronta digitale, forse di un bambino, lasciata prima della cottura.
Provate invece a pensare quanto possono durare altri tipi di oggetti: un CD o un computer, un quaderno di appunti o una costruzione, un palazzo, una casa, un’automobile, un qualunque utensile. Tutto, nel giro di poche migliaia di anni, anche se ben conservato, è destinato a diventare polvere. Tutto tranne la pietra.
Mi torna alla memoria un racconto tratto dall’epica greca: dopo il diluvio, un evento che ritorna nella storia di molti popoli, Deucalione e Pirra si gettarono alle spalle pietre che si sarebbero trasformate in nuovi uomini e nuove donne. Loro le chiamavano “le ossa della madre Terra”. E proprio dalle ossa della madre Terra dovremmo partire per scoprire se antichi uomini, più antichi di quanto possiamo immaginare, siano passati di qua prima di noi, lasciando qualcosa.
È stupefacente pensare che a testimonianza del nostro passaggio, dopo tutto quello che ognuno di noi ha costruito con tanta fatica e impegno nella propria vita, rimarrà forse solo quell’incisione fatta su un sasso quando eravamo bambini, prima di lanciarlo il più lontano possibile tra gli alberi.
Prove di pietra, piccole, grandi, enormi. Nelle prossime pagine troverete i racconti di oggetti non databili con le attuali tecniche basate sul radiocarbonio. Per la datazione al carbonio 14, infatti, il reperto deve essere di origine organica, e la pietra lavorata non lo è. Al massimo, è possibile datare qualche residuo organico rimasto, per esempio, nella fessura di un sasso, ma non il tratto che l’ha segnato. Grazie alla geologia si potrà conoscere l’età della pietra, ma non il momento nel quale è stata lavorata o messa in opera. Per cercare di assegnare una datazione a manufatti in pietra bisogna utilizzare altri parametri. Si tratta di un lavoro da portare avanti con grande attenzione perché, naturalmente, un falso di pietra, se fatto con astuzia, risulta più difficile da “smascherare” rispetto ai falsi creati con altri materiali.
Fortunatamente, al mondo la pietra non manca, quindi si può cercare ovunque una traccia, un segnale. E in questo viaggio scopriremo quante coincidenze “di pietra” si possono trovare. Individueremo notevoli coincidenze, quasi magiche, capaci di farci pensare ad antichi uomini molto più evoluti di quanto siamo in grado di immaginare. Uomini che, secondo la linea della storia che conosciamo oggi, non dovevano disporre di utensili di ferro, per esempio, ma che furono in grado di scolpire giganteschi blocchi di pietra durissima con una perfezione rara. E ancora, tali capolavori non si trovano in un unico punto del pianeta ma sono distribuiti in maniera tanto uniforme da far pensare che le menti e le mani che li hanno creati avessero già da tempo conosciuto ogni angolo della Terra. Non si tratta solo di scelte artistiche o architettoniche, ma di vere e proprie tecniche di costruzione, tanto complesse e lontane dal nostro modo di pensare che risulta difficile credere che siano state realizzate, in maniera così uguale e perfetta, in terre lontanissime fra loro da persone che non si erano mai incontrate.
Cosa resterà di noi…
Le nostre tracce sembrano sempre più forti, ma in realtà sono sempre più facili da far sparire.
La nostra civiltà ci sta portando a digitalizzare tutto: archivi e biblioteche possono, o a breve potranno, essere consultati direttamente da un computer. Ma attenzione: nel frammento di tempo che stiamo vivendo, come abbiamo visto nel capitolo precedente, corriamo il rischio di lasciare ben poco della nostra cultura e della nostra tecnologia a chi verrà dopo di noi. Provate a inserire un floppy disk in un computer di ultima generazione: non troverete nemmeno lo strumento in grado di leggerlo. Eppure sono passati poco più di dieci anni. Come possiamo fare allora? Dobbiamo copiare i nostri dati e i nostri scritti, costantemente, su supporti nuovi e con programmi aggiornati; scrivere su buona carta, con una buona penna, quello che ci sta più a cuore; infine, possiamo sperare che la tecnologia crei al più presto tecniche e supporti in grado di attraversare più tempo di quanto sappiano fare oggi.
Mi giunge notizia che è allo studio un DVD, o qualcosa di simile, non in plastica o metallo, ma in pietra rivestita di cristallo. Naturalmente non sarà un prodotto amatoriale o casalingo: avrà un costo proibitivo, richiederà particolari strumenti per essere inciso, e con ogni probabilità sarà utilizzato solo per salvare dati e documenti di grande importanza per molte nazioni, se non addirittura per l’intera umanità.
A questo punto del viaggio proviamo a pensare come potevano essere questi antichi uomini. Erano come noi? Più piccoli? Più grandi? Sarà un viaggio di sorprese e mi piacerebbe sapere se, quando verrà confermato e verificato con certezza quello che sto per raccontare, questo libro sarà ancora leggibile o sarà diventato polvere. Del resto, come potete agevolmente accorgervi dal peso, non è stato inciso sulla pietra!
Nel giugno del 2011 la versione online della “Pravda” ha dato una notizia realmente sorprendente. Alcuni archeologi impegnati in una campagna di scavo nell’Africa centrale si erano imbattuti, in maniera del tutto inaspettata, in resti di umanoidi alti oltre 2 metri e con la testa molto grande. Questa, però, non è la prima volta che si trova qualcosa di straordinario che riguarda uomini “fuori misura”.
Era il 1936 quando due archeologi francesi, Marcel Griaule e Jean-Pierre Lebeuf, esaminarono i ritrovamenti fatti durante le campagne di scavo in Ciad. Rimasero alquanto stupiti di fronte a quei resti umani di dimensioni molto maggiori di quelle a cui si era abituati.
Nel 2009 è stata pubblicata una ricerca svolta presso l’Università di Oxford. Parlava di uomini alti almeno 3 metri, e questo grazie al ritrovamento di oggetti d’uso comune di dimensioni assolutamente fuori dal normale.
Queste scoperte, ancora oggi difficili da spiegare, aprono nuovi orizzonti sull’esistenza di una civiltà precedente formata da uomini molto più alti rispetto a noi. Quali tracce potrebbero aver lasciato?
In effetti sono stati trovati molti reperti, alcuni dei quali vengono presentati in esposizioni che si ripetono ciclicamente. In questo libro troverete le immagini di alcuni di questi inspiegabili oggetti, che presentano rilevanti coincidenze comuni. Sembrano infatti appartenere a una civiltà precedente, a noi completamente sconosciuta. In un capitolo successivo verranno descritti nei particolari ma, nel frattempo, è più importante comprendere cosa realmente conosciamo e, soprattutto, quello che ancora non sappiamo. Come è possibile ritrovare ossa umane fossilizzate appartenenti a uomini vissuti 265 milioni di anni fa, quando le prime tracce di umanoidi, molto lontani dall’uomo come oggi lo conosciamo, possono risalire al massimo a 7 milioni di anni fa?
I miti
Prima di andare a scomodare la scienza, facciamo un viaggio attraverso i miti dell’antichità. In ogni angolo del pianeta sono diffuse antiche storie che hanno per protagonisti eroi dotati di una forza sovrumana. A volte queste figure possedevano solo pura forza fisica, a volte invece erano considerate vere e proprie divinità. Basti ricordare l’Antico Testamento, nel quale vengono nominati diversi giganti: i Refei, gli Anakiti, il famoso Golia sconfitto da Davide e descritto come una creatura alta più di 3 metri. Questi non sono però i soli. Og, un altro gigante citato nella Bibbia, viene presentato come l’ultimo sopravvissuto di una civiltà precedente, una civiltà risalente a prima del diluvio universale. Nel Deuteronomio è descritto come una creatura alta più di 4 metri. È stato anche uno dei primi clandestini della storia, dato che durante il diluvio salì sull’arca, ma non vi entrò e rimase seduto sul tetto.
Cambiando orizzonti, secondo la mitologia norvegese la prima creatura vivente fu proprio un gigante, il suo nome era Ymir. Sarebbe stato il capostipite di due razze, la nostra e quella di altri uomini giganteschi. Ma i racconti sui giganti non si fermano qui. Anche in culture molto lontane dalla nostra ritroviamo leggende incredibilmente simili. Ne sono testimonianza la spiritualità indù, alcuni testi dello Sri Lanka e della Thailandia, ma non solo. Ne troveremo traccia anche in due popolazioni che avremo modo di conoscere nel corso di questo libro: si tratta naturalmente degli Egizi e, sorprendentemente, dei Baschi, dei quali racconteremo una storia affascinante legata a una realtà oggettiva, una realtà di sangue.
Non possiamo dimenticare in questo elenco la mitologia greca, Ulisse e Polifemo, ma non solo: proprio in Grecia alcuni territori vengono ancora chiamati “zone dei giganti”.
Con notevole sorpresa, notiamo che decine di antichi testi sembrano concordare su un unico punto: l’esistenza di una civiltà precedente, formata da creature gigantesche che avrebbe dominato il pianeta molto prima di noi, e che si sarebbe estinta per un motivo ancora non chiarito. Molti, naturalmente, propendono a spiegare questa estinzione con una catastrofe naturale.
Ossa impossibili?
Fin qui la mitologia. Tutto può essere vero, tutto può essere un’invenzione. È una storia suggestiva, ricca di coincidenze ma, da un punto di vista puramente scientifico, senza alcun valore. Eppure, come capita sempre nelle scoperte più importanti, arriva un momento nel quale per un incidente, una fortunata coincidenza o altro, si entra in contatto con qualcosa che mette in moto il cervello. Per la maggior parte dei casi si è parlato, giustamente, di fraintendimenti o di falsi, per altri, invece, forse vale la pena perdere un po’ del nostro tempo per cercare di capire esattamente cosa possa essere accaduto. È il caso di Carlos Vaca, un sacerdote che per molti anni, in segreto, aveva raccolto una serie di reperti unici. Era il 1992 quando decise di aprire il suo armadio segreto e mostrare le sue scoperte. Si trattava di ossa fossili ritrovate in Ecuador che, a un primo esame, sembravano appartenere a un dinosauro. Infatti, nessun osso umano è s...