Incontrare il mistero
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Incontrare il mistero

Vite segnate dall'ignoto

  1. 238 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Incontrare il mistero

Vite segnate dall'ignoto

Informazioni su questo libro

C'è un po' di mistero nella vita di ognuno di noi: fuggevoli sensazioni significative, improvvise e immotivate certezze di fatti imminenti, percezioni telepatiche, singolari stati modificati di coscienza... Misteri del quotidiano su cui si sofferma Fulvia Cariglia, autrice ben nota per la serietà di ricerca e per l'obiettività con cui da anni affronta questi temi, qui documentati anche attraverso i meno noti tratti biografici di grandi della letteratura come Ernest Hemingway, Mark Twain o Victor Hugo; ma, ancor più in particolare, mediante la storia personale della famosa chiaroveggente marchigiana Pasqualina Pezzola, di cui si offre la prima e unica biografia esistente. E, poiché il fascino per indefinite capacità occulte, non disgiunto dalla speranza di potersene giovare, ha da sempre attirato i potenti della Terra, la dissertazione dell'autrice si spinge ad analizzare con efficacia l'ambiguo rapporto che intercorse, ad esempio, fra la Corte di Francia e Cagliostro, i reali dell'Impero Russo e Rasputin, nonché l'interesse che Hitler, Mussolini e Stalin accordarono a controverse consultazioni. Un libro che esorta a guardare agli infiniti eventi dell'universo umano con la disponibilità ad accettare l'inconsueto

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
Print ISBN
9788804617365
eBook ISBN
9788852024610

III

Nelle maglie del potere

Un potente ci fa abbastanza bene
quando non ci fa del male.
PIERRE DE BEAUMARCHAIS
Una famosa incisione del 18871 raffigura Caterina de’ Medici nel suo regale studio mentre osserva, costernata, il grande specchio sopra il camino acceso: in esso, per esito di un’operazione di alta magia, appaiono le visioni sul futuro dei suoi figli. Di fronte a lei il grande Nostradamus,2 accovacciato al centro di un cerchio magico ornato di simboli e armato di una lunga bacchetta, attende con fervore alla propria arte di gran profeta per soddisfare la nobile consultante.
Lei, la fiorentina di origine borghese approdata alla corte di Francia con un compito troppo grande per una quattordicenne, non è nuova ai doni dell’occulto e, se talismani e altre stregonerie – come si mormora a palazzo – le hanno permesso di divenire madre dopo undici anni di sconfortante attesa, ora sa a chi deve rivolgersi per conoscere la sorte della numerosa prole destinata a governare uno dei più grandi paesi d’Europa. Lui, il medico di Saint-Rémy de Provence che si era dimostrato capace di debellare il morbo della peste, deve ora dimostrare di essere altrettanto abile nel divinare sì complessi destini mettendo in atto le sue prodigiose nozioni di catoptromanzia:3 su quella superficie specchiata, infatti, non è solo la sorte degli uomini ad apparire ma, con essa, quella che sarà del regno.
Improbabile che le cose siano andate esattamente così, ma la descrizione iconografica rappresenta emblematicamente il tentativo, da sempre invalso presso i potenti, di appropriarsi di informazioni utili ai propri autorevoli scopi anche servendosi di metodi che poco hanno a che vedere con l’ortodossia del ragionamento politico. È una fragilità cui può incorrere qualsiasi uomo nell’amarezza di non saper far fronte ad alcuni ostacoli con i propri strumenti, ma è in particolare una capricciosa velleità di figure dominanti preda del timore di non poter gestire cose e vicende a proprio piacimento.
Ben venga, dunque, il mistero ove conceda forza e coraggio... con le dovute precauzioni, però, da parte di chi ne dispensa i favori.
Ambasciator porta pena
La storia ci racconta come coloro le cui conclamate gesta di misteriosa origine hanno suscitato l’interesse dei grandi – vuoi a merito di capacità profetiche sostenute in buona fede vuoi per sapiente esercizio di ciarlataneria – si sono spesso trovati a dover fare i conti con le possibili conseguenze delle previsioni annunciate: dal cadere semplicemente in disgrazia al rischio di finire sulla forca, fino a dover rinunciare davvero al bene di una morte naturale.
L’evenienza parte da molto lontano ma, sebbene generalmente richiami a consuetudini oscurantiste proprie del Medioevo o a bizzarrie da Rinascimento in vena di occultismo, si è protratta fino ai tempi moderni – come andremo a verificare – senza che si modificasse consistentemente la motivazione di fondo: i burattinai della Terra, invasati di sé e per forza di cose avvezzi all’adulazione, se chiedono un parere è per sentirsene dare uno condivisibile con il proprio o, almeno, uno diverso purché aggradi le loro aspettative. E, quando un inviso parere proviene dalle impalpabili sfere della conoscenza occultistica, ancor più l’illustre consultante deluso, privo com’è per abitudine dei mezzi dell’accettazione e insofferente a un dominio superiore poiché ignoto, si sente in diritto di ricorrere alla forza della propria supremazia contro il messaggero.
Esempio ben documentato è nella vicenda di tal Luca Guarico,4 celeberrimo astrologo cinquecentesco divenuto vescovo per intercessione di Paolo III al quale, quando questi era soltanto il cardinale Alessandro Farnese, aveva predetto che avrebbe indossato la tiara papale. Ci aveva azzeccato! e ciò gli era valso un lungo periodo di amicale predilezione a fianco del soglio di San Pietro nonché consistenti privilegi, che del resto egli ogni giorno compensava elargendo gradite veggenze quali la sicura destinazione all’Inferno di Lutero, della cui posizione astrale – Giove e Saturno congiunti nel segno dello Scorpione – non faceva che dire peste e corna; e, per poter rincarare la dose, s’era addirittura ingegnato a falsare la data di nascita dell’odiato teologo riformista.5
Non era uno sciocco il Guarico, semplicemente aveva imparato la lezione e, memore di un doloroso ricordo di gioventù, sapeva ormai come rendersi sempre amabile e, in ogni modo, si sarebbe guardato bene dal ripetere l’errore di anticipare una spiacevole verità.
Già dotto matematico e abilissimo nell’elaborazione di calcoli astrologici, era tuttavia ancora troppo inesperto dell’animo umano quando, leggendo scrupolosamente la carta del cielo di Giovanni Bentivoglio II, signore di Bologna, sinceramente gli predisse la sua cacciata dalla città. Pressato da congiure interne e sempre all’erta per la continua minaccia chiamata Cesare Borgia, il principe rinascimentale sfogò allora le proprie ansie e il proprio risentimento condannando al crudele supplizio della corda l’imprudente astrologo. Al quale, peraltro, dovette rivolgere un pensiero – si suppone – quella notte del 2 novembre 1506 mentre, con dame e dignitari, si affrettava ad abbandonare per sempre il proprio palazzo.6
Eppure nella sua carriera di astrologo ormai accorto Guarico dovette inciampare ancora, e proprio con il munifico suo papa, avventatamente pronosticandogli una vita lunga ottantun anni senza valutare che certe predizioni non sono propriamente confortanti per un settantasettenne. E, per non sentirsi dire una seconda volta che avrebbe reso l’anima a Dio il 10 novembre 1549, Paolo III lo spedì con piacere in una sede vescovile lontana da Roma sostituendolo con il più simpatico collega Marius Alterius che, se pure non altrettanto colto, aveva almeno il buongusto di protrarre astrologicamente l’infausto evento fino all’età di novantantré anni. Tant’è che la morte lo colse impreparato sì, ma sereno, per l’appunto il 10 novembre 1549.
Si dice che comunque la fama del matematico che interpretava le stelle per il Pontefice si fosse estesa a tal punto nel tempo che la regina di Francia in persona, quella stessa Caterina amante delle scienze occulte, l’aveva voluto a Parigi per commissionargli l’oroscopo per sé e il marito Enrico II; oppure è vero che l’astrologo italiano ebbe modo di vaticinare sulla fine del re di Francia in uno scritto diretto a Ercole II d’Este interessato a conoscere le alterne fortune di alcuni regnanti, il contenuto del quale fu poi reso noto da indiscreti ambasciatori e amplificato dai pettegolezzi delle corti. Sia come sia, è un fatto che Guarico pronunciò, sette anni prima che accadesse, la funesta sentenza: il monarca dei francesi avrebbe corso un pericolo mortale, a quarantun anni, durante un torneo cavalleresco.
Ed è così – come sappiamo – che andò a finire; mentre non sappiamo per certo se fu questa centrata ma ferale preveggenza che indusse Caterina a preferire sempre accanto a sé Nostradamus, il più grande, il più ricercato, il più culturalmente poliedrico e, probabilmente, anche il più dosato fra i tanti occultisti che ruotavano attorno ai troni. I potenti, si sa, vanno presi con le molle e, in particolare, all’epoca dei divini signori osare contraddirli o dar loro cattive notizie era cosa che imponeva qualità di alto prestigio mantico quanto di squisita diplomazia; e, pur ammettendo l’enormità contenuta nell’immagine descritta in apertura di capitolo, c’è da credere che l’eccelso cultore di arcane energie rivelatrici sia stato ben attento a non far apparire sullo specchio la cruda verità, fatta solo di premature morti e immani sciagure.7
Tuttavia la Medici, resa vedova dalla sfortunata giostra e fortemente intenzionata a conservare i diritti dinastici dei Valois con qualsiasi mezzo, aveva troppo a cuore il prezioso consigliere per privarsene nonostante possibili preannunci di avversità e, soprattutto nel periodo in cui fu reggente in nome del figlio Carlo Massimiliano – re con il nome di Carlo IX a soli dieci anni –, lo tenne in conto più di ogni altro. Non era stata forse lei a introdurre la scienza astrologica nel suo paese d’adozione, ove era giunta con un folto seguito corredato di indovini del cielo natale? Ma anche con la propria forchetta personale, insegnando ai boriosi nobili francesi che non è con le mani che si mangia. Raffinata ed elegante, dunque, ma anche profonda conoscitrice delle dottrine che coltivano segrete conoscenze e abile nel gestirne gli utili, non si sarebbe mai comportata come Galeazzo Maria Sforza.8
Forsennato credente nella fede degli astri, il duca di Milano aveva ben dato prova dell’assunto in premessa, per cui se da un lato non sapeva astenersi da consultazioni divinatorie, dall’altro non ammetteva – e nella maniera più categorica – preveggenze indesiderate. E, uomo intollerante per natura nonché caratterizzato da un’accesa aggressività, non passò sotto silenzio l’oltraggio di previsioni poco rassicuranti sulla propria persona e lo Stato stampate negli Iudicia;9 né gli riuscì di chiudere un occhio, o almeno limitare l’inconsulta reazione, neppure considerata la prestigiosa firma sul libretto, insieme ad altre due, dell’intellettuale Girolamo Manfredi molto stimato nel mondo accademico.10 Ne nacque, anzi, un incidente diplomatico fra Milano e Bologna, avendo inviato lo Sforza una diffida ufficiale – tanto ai tre astrologi quanto alle Autorità – con la decisa intimazione di non permettersi mai più simili vaticini negativi che lo riguardassero, nonché obbligando a un’immediata rettifica dello scritto; in mancanza della quale, beninteso, avrebbe provveduto all’invio di un sicario in terra bolognese.
Manfredi e gli altri provvidero in gran fretta alle opportune modifiche e, oltretutto, ringraziando la loro buona sorte, consapevoli che un’ingiunzione pur sì gravemente minacciosa in fondo è un nulla se rapportata a concrete vie di fatto; perché sapevano tutti la storia del povero prete rinchiuso «con un solo pane, un bicchier di vino e un’ala di cappone»11 nelle profondità di una torre, e lì lasciato a morire di fame quale giusta punizione per la sua sincera avventatezza. Allo stesso duca di Milano che chiedeva lumi sulla lunghezza del proprio regno secondo i più dettagliati calcoli astrali, il religioso, cui la tonaca vietava di dire bugie, si era permesso di adombrare il suo Signore con una risposta per lui deludente.
Come volevasi dimostrare!
Per il capriccio di una magica memoria
D’altra parte piccole o grandi disavventure, nella peggiore delle ipotesi irrimediabili, avrebbero dovuto essere messe nel conto quando ci si esponeva nell’arte dell’astrologare senza le malizie di condursi nel mondo; tanto più quando di quell’arte si faceva un mestiere di cui campare e, per mangiar meglio, la si metteva al servizio di ricchi padroni. Dopotutto, va notato, potevano essere soltanto costoro i prodighi fruitori di una scienza che richiedeva un ampio e prolungato impegno di studio, ed era soltanto scrivendo Iudicia a loro riguardo che ci sarebbe stata certezza di successo editoriale e prospettive redditizie. Alla fine, però, risultava quasi meno importante riuscire a indovinare il futuro che riferirlo a dovere.
Ma si vede che andando a toccare certi tasti, non necessariamente divinatori ma sufficientemente misteriosi, era davvero difficile passarla liscia e anche senza asservirsi ai potenti o semplicemente frequentandoli, giacché chi ha molto danaro mal sopporta di restare indietro a chi ha molto genio e ancor peggio sopporta di non potersene comprare l’impagabile ricchezza.
È dopo averne combinate di tutti i colori, dal punto di vista dell’opposizione al dottrinarismo cattolico, che un fior di filosofo e scrittore come Giordano Bruno12 segna la propria fine per aver provocato una banale invidia o, meglio dire, l’invidia di un uomo banale; la graticola del potere era infatti già calda da un pezzo per lui, è vero, ma c’è voluto il sospetto ch’egli non volesse rivelare il suo magico segreto della mnemotecnica – se mai lo possedeva – perché ci si adoprasse a farne attizzare i carboni accesi. O, almeno, è questa la versione più diffusa.
A Napoli, nel convento dove diciottenne era divenuto monaco, Bruno fu dapprima professo, poi sacerdote e, infine, dottore in teologia; qui studiò avidamente poeti e filosofi, raggiungendo un elevatissimo grado di cultura e affermandosi eccellente e raro ingegno, ma qui anche si verificò il primo incidente della sua esperienza conventuale che gli costò l’avvio di un procedimento di cui però poco si conosce. Per certo invece risulta dai documenti rimasti che «ad un novizio che leggeva la istoria delle sette allegrezze in versi» disse: «Che cosa voleva far di quel libro, che lo buttasse via e leggesse più presto [...] la vita dei Santi Padri»;13 e tanto bastò per essere segnalato a chi di dovere nelle stanze della “Legge di Dio”.
Fu circa dieci anni dopo che, espressosi in personali interpretazioni sulle Sacre Scritture, la sua azzardata posizione di commentatore di divine cose si aggravò e, ormai in odor di eresia, dovette rifugiarsi a Roma presso il Convento di Santa Maria sopra Minerva. Così, mentre andava rispolverandosi la questione napoletana, è avviato un nuovo processo a suo carico, cui si aggiunge l’orrenda quanto ingiusta accusa dell’uccisione del suo denunziatore. Per il religioso, ribelle agli insegnamenti chiesiastici quanto si vuole ma innocente a questo riguardo, fu la sferzata che ci voleva per farlo decidere a cambiare radicalmente la propria esistenza.
Abbandona opportunamente la città del Sant’Uffizio ma anche l’abito monacale, dando inizio a una serie di peregrinazioni nel Nord Italia, in Francia e a Ginevra, dove prende contatti con i protestanti e aderisce al calvinismo, salvo poi ribellarsene con aspre contese polemiche e riprendere i suoi viaggi. A Tolosa consegue il dottorato nelle arti e ottiene la cattedra in materia, a Parigi è ben accolto da Enrico III14 che gli conferisce un incarico accademico stipendiato, a Londra gode del favore della regina Elisabetta I,15 a Oxford è nominato lettore di filosofia e astronomia ma se ne allontana per accese dispute con i teologi di quell’università.
Lunghi percorsi e tormentati g...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Incontrare il mistero
  3. Introduzione
  4. I. Il romanzo misterioso della vita
  5. II. Arcani pensieri d’autore
  6. III. Nelle maglie del potere
  7. IV. Semplice storia vera di una donna leggendaria
  8. V. Sulla soglia della morte
  9. Bibliografia essenziale
  10. Indice dei nomi
  11. Dello stesso autore
  12. Copyright