Ninna nanna, ninna oh,
questo bimbo a chi lo do?
Se lo do all’uomo nero,
se lo tiene un anno intero.
Personaggi principali
KIRA VON DURCHEIM
attrice e spia
LUDWIG VON WEISSHAMMER
ufficiale delle SS
LOTTE STROTHMANN
aspirante attrice
MARIE DULAC
collaboratrice del progetto Lebensborn
FAITH WHITE
scrittrice
AMADOU DESSALINES
ballerino
BORIS KOCHNO
CHRISTIAN BÉRARD
artisti
RUDOLF HESS
HEINRICH HIMMLER
gerarchi nazisti
Corridoio di Danzica, campagna nei pressi del confine tedesco, notte fra il 2 e il 3 luglio 1936
Bambini.
Prigionieri del loro destino, del luogo e del tempo in cui sono nati, della volontà o incoscienza di chi ha dato loro la vita: per lussuria, per follia, per errore. Poco meno prigionieri di quanto lo siano i bambini di tutto il mondo.
Bambini biondissimi, dagli occhi azzurrissimi.
Radunati dagli uomini delle SS sul piazzale dell’orfanotrofio, come un branco di cuccioli cercano l’uno la vicinanza dell’altro per trovare conforto. Poco meno terrorizzati e smarriti di quanto lo siano sempre stati, nonostante le SS, nelle loro tute nere, incappucciati di nero, debbano sembrare loro giganti confusi con la notte, mostri usciti dalle tenebre di milioni di anni di paura infantile.
Nell’istituto venivano affamati, picchiati duramente alla minima mancanza, legati ai letti come cani. Talvolta usati come oggetti di piacere da uomini e donne che si erano assunti il compito di allevarli e proteggerli in vece dei genitori. È tutto nel rapporto segreto all’Ufficio della razza e del popolamento di Berlino.
Ora i loro aguzzini sono morti, uccisi dalle SS.
Una donna che indossa la stessa tuta e lo stesso cappuccio neri delle Schutzstaffeln avanza verso i piccoli. Al suo passo elastico e quasi danzante i bambini rispondono con un moto di sorpresa intimorita, poi si immobilizzano come coniglietti.
La donna si toglie il cappuccio, liberando lunghi e ondulati capelli di un oro cupo dai riflessi di fiamma, occhi di un blu violetto penetrante, simili a pietre preziose. I bambini la fissano immobili, affascinati. Lo sguardo di lei è compassionevole, il sorriso malinconico.
I bambini si tendono verso di lei, vorrebbero raggiungerla, essere forse accarezzati da lei, accolti nelle sue braccia protettrici.
Fiducia. Fiducia e accettazione.
La donna vestita di nero che accompagna quegli uomini neri potrebbe prenderli per mano e condurli via, e loro la seguirebbero.
Lacrime scendono sulle guance della donna in nero. Lei non le asciuga, le lascia cadere sulle zolle riarse, nella terra.
Sospira, chiude gli occhi.
Per un istante si sente accomunata alla sorte di tutti quei bambini. Le pare di essere tutti loro. Anche lei ha perduto i genitori in età troppo tenera, anche lei ha conosciuto la fame e la miseria, la crudeltà e la violenza del mondo, lo stupro e la tortura, la solitudine e la paura.
Da tutto questo dolore è rinata come la donna che è oggi: Kira von Durcheim, stella del cinema tedesco, spia e amica intima del Reichsleiter Rudolf Hess, incaricata di missioni di importanza vitale per la Germania direttamente dal Führer Adolf Hitler. Quella che tutti in segreto chiamano Walkiria nera.
Forse perché intuiscono in lei la loro stessa sofferenza, vinta e temprata nella forza di una guerriera, i bambini sono disposti a mettere le loro vite nelle sue mani. O forse è per quella bellezza eterea, che sugli schermi cinematografici fa apparire il suo volto immateriale, irradiante pura luce. Per il carisma che le permette di interpretare dee e regine, sante e walkirie.
Per loro è una bella, bellissima signora, la fata di qualche racconto di magia, o forse la Vergine Maria.
La donna sospira.
Quello che sta facendo è giusto?
È una strana missione, quella di cui l’hanno incaricata. Insignificante all’apparenza, eppure Rudolf Hess ha insistito molto, e in modo molto particolare, perché vi partecipasse. Semplicissima, cela complicazioni che si intuiscono indicibili. Sviluppi assolutamente inimmaginabili.
Tutti quei bambini non potrebbero, in realtà, essere neppure suoi figli, partoriti da lei. Hanno colori più chiari dei suoi: i capelli sono quasi argentei, gli occhi cerulei come il cielo di primavera. All’Ufficio della razza hanno scoperto che in quella regione della Polonia nascono persone che corrispondono ai requisiti massimi richiesti di appartenenza alla razza ariana.
Il Reichsleiter le ha chiesto di entrare segretamente in territorio polacco con le SS e rapire bambini che nessuno ha desiderato, e che nessuno reclamerà. La cosa è già stata fatta in passato, e verrà ripetuta sempre più spesso in avvenire. Niente di difficile. E niente che vada veramente contro le convinzioni morali di Kira von Durcheim. Il personale dell’istituto meritava di essere trucidato, a cominciare dal direttore, che accumulava una fortuna stornando sui suoi investimenti personali i fondi elargiti dal governo polacco per il mantenimento dei bambini, fino agli inservienti brutali e libidinosi.
Eppure, Kira sente che c’è qualcosa di sbagliato in quello che sta facendo, di intrinsecamente sbagliato.
Nota un bambino fra gli altri, il più biondo, dalla pelle talmente bianca da sembrare trasparente. Non avrà più di sette anni, ed è il più grande.
Gli fa segno di avvicinarsi, sorridendogli per rassicurarlo, e lui va verso di lei. Gli altri accennano a volerlo seguire, come se un filo invisibile li tenesse tutti legati.
Kira vorrebbe accarezzare e confortare il bambino, ma gli si rivolge come a un adulto, parlando con poche e chiare frasi in polacco.
— Come ti chiami?
— Vaslav.
— Vaslav, ti piacerebbe diventare un altro?
Kira prende un libro che le porgono. È un semplice libro per l’infanzia, con illustrazioni che mostrano bambini a casa con un padre, una madre, un nonno, una nonna, un cane, un gatto. Bambini coccolati e baciati. Bambini che vanno a scuola. Bambini che studiano. Che giocano all’aperto, a rincorrersi, o in una stanza dei giochi, con bambole e trenini.
— Ti piacerebbe diventare un bambino tedesco, questo bambino?
Vaslav guarda le immagini con gli occhi sgranati. Non ha mai conosciuto una vita del genere, ma forse la sua età e la sua intelligenza gli hanno permesso di indovinarla. Ora che la vede effigiata in un libro, vuole entrare in quel libro. Ha appena la forza di annuire.
Sì, sì, lo voglio. L’ho sempre voluto. Portami via, ti prego, e dimmi che non è un sogno.
Ebbene, Vaslav sarebbe diventato un bambino tedesco. Adottato da genitori tedeschi, che avrebbe chiamato Mütterchen e Väterchen. Lui stesso avrebbe avuto un nuovo nome, si sarebbe chiamato Hans, Heinz, o Heinrich. Non più Dreckpolack, sporco polacco, condannato a un disumano lavoro in miniera, o al crimine e all’ubriachezza, o all’accattonaggio. Un bambino tedesco, con una buona educazione e una vita migliore nel Reich millenario.
E così gli altri. Sottratti a una sorte di sventura. Diversamente da lei, Kira, sono tutti abbastanza piccoli da poter dimenticare la povertà e gli abusi, le percosse e la violenza sessuale. Col tempo, tutto l’orrore che hanno subito nella loro carne discenderà sempre più lontano nelle loro coscienze, trasformato in un incubo infantile, una di quelle favole nere con cui le balie addormentano i bambini.
Con una specie di solennità, Kira consegna a Vaslav il libro, il passaporto per la sua nuova esistenza. La promessa di entrare in quelle pagine. Essere un altro, con un altro nome e un altro destino. Un’opportunità che viene concessa a pochi in questo mondo... a nessuno.
Kira ha un brivido. È veramente come interpretare il ruolo di Dio nell’intreccio dell’universo, cambiare le carte sul tavolo da gioco, mutare il corso delle vicende umane.
Fa un cenno alle SS.
Gli uomini neri appiccano il fuoco all’edificio basso e incombente, del colore del sangue coagulato.
Le fiamme cominciano a divorare lo scadente legname da costruzione.
In meno di un’ora, ci sarà soltanto un orfanotrofio polacco bruciato, e per la cronaca tutti i suoi occupanti saranno periti in un incendio accidentale.
Ma ecco, come per una punizione nell’aver voluto usurpare il ruolo di Dio, i conti non tornano.
I bambini, i bambini non sono tutti lì.
Kira ha letto i registri dell’istituto; sa che l’ultima annotazione relativa ai nuovi ingressi dei neonati abbandonati risale a otto mesi prima. Contando rapidamente i bambini, compresi quelli più piccoli fra le braccia delle Schutzstaffeln, si accorge che ne manca uno.
Dio conosce il numero dei granelli di sabbia della spiaggia più sperduta; lei ha dato per scontato che le SS avessero radunato tutti i bambini fuori, e non avrebbe dovuto. Un bambino di otto mesi, gattonando, potrebbe essere finito sotto un letto, o in qualsiasi altro luogo nascosto, e sfuggito alla loro ispezione.
Deve essere ancora là dentro, nell’edificio avvolto dalle fiamme.
Senza la minima esitazione, Kira comincia a correre verso l’orfanotrofio incendiato. Le fiamme formano come un cerchio magmatico intorno a un anello di oscurità: l’attirano e la sfidano, più che farle paura.
Ma anche la paura fa parte del gioco. È cresciuta in un circo ed è stata acrobata e trapezista. Agli inizi della carriera di attrice ha interpretato film di montagna, scalando vette, superando abissi e lasciandosi seppellire da valanghe. La neve e il fuoco, il caldo e il freddo non sono che gli estremi di un unico elemento.
Kira salta nel cerchio di fuoco.
Nell’attimo in cui è sospesa nell’aria non vede che rosso e non sa dove atterrerà. Potrebbe essere inghiottita dalle fiamme, e non le importa.
— Non è niente — mormora a fior di labbra.
Si ritrova nell’atrio dell’istituto, interamente divorato dal fuoco. La temperatura elevatissima l’avvolge come un sudario incandescente. Fra l’atrio e il corridoio che conduce al dormitorio, le fiamme divampano altissime.
Aggrappandosi a un brandello di tendaggio penzolante come se fosse una liana, Kira attraversa il rosso veloce come una freccia.
Il corridoio è una galleria di fuoco.
Kira corre, corre, corre. Se si fermasse, comincerebbe a bruciare. Comincerebbe ad avvertire l’ustione sulla pelle.
Con i polmoni pieni di fumo, arriva nel dormitorio.
Un refolo d’aria, che respira avidamente.
Tossendo, Kira si getta sul pavimento. Guarda sotto i letti, negli armadi, in...