- Della stessa autrice
- I newyorkesi
L’evoluzione di Jane
Il letto di Alice
L’ossessione di Brenda
Sono come lei
Nel ricordo indelebile
di Bertha Ehrenwerth.
Il frutto non cade mai lontano dall’albero.
Quando Joseph Weissmann divorziò da sua moglie aveva settantotto anni e lei settantacinque. Annunciò la sua decisione nella cucina del loro appartamento al decimo piano di un grande ed elegante palazzo su Central Park West costruito agli inizi del secolo precedente, tra lo scintillio delle piastrelle bianche originali. Joseph, che al lavoro era conosciuto come Joe ma che sua moglie aveva sempre chiamato Joseph, pronunciò le parole “differenze inconciliabili” e vide la sincera confusione negli occhi di sua moglie.
Differenze inconciliabili? ripeté lei. Ovvio che ci sono differenze inconciliabili. Ma cosa diavolo c’entrano con il divorzio?
Nel caso di Joe c’entravano molto poco. Nel caso di Joe, come accadeva molto spesso, la ragione del divorzio era una donna. Ma, prevedibilmente, non fu questo il motivo che addusse a sua moglie.
Differenze inconciliabili?
Betty era sorpresa. Erano stati sposati per quarantotto anni. Si era abituata a Joseph, ed era sicura che per Joseph fosse lo stesso. Ma lui non sentiva ragioni. Per lui il loro passato era una storia chiusa.
Joseph era stato un bell’uomo. Aveva tuttora un portamento eretto, e il suo cranio calvo sembrava più un motivo di distinzione che un difetto, come se gli uomini – gli uomini di un certo livello – aspirassero a una lucida pelata. Il suo era un naso sottile e importante. Anche gli occhi erano sottili, e con il passare degli anni sempre più protetti da pieghe di pelle, quasi fossero segreti. Alle donne Joseph piaceva. Di sicuro a Betty era piaciuto. Era tranquillo e non invadente, e aveva bisogno soltanto di un’abbondante colazione prima di andare in ufficio, di un grosso bicchiere di scotch quando tornava a casa e di una cena leggera alle 19.30 in punto.
Con il passare degli anni, Betty aveva cominciato a scordarsi che Joseph le piaceva. L’abbondante colazione le pareva grottesca, lo scotch un’ossessione, la cena leggera un’affettazione. Ciò era avvenuto nel terzo decennio di matrimonio e si era protratto fino al quarto. Poi Betty si era resa conto che le consuetudini di Joseph avevano in qualche modo assunto un ritmo confortante, come il battito cardiaco della madre per un neonato. Si era riscoperta contenta, addirittura innamorata. Erano andati in Toscana e dalle colline del Chianti avevano guardato avvicinarsi le rondini e le rapide nubi grigio ardesia gonfie di pioggia. Avevano esplorato in nave i fiordi della Norvegia e le isole Galápagos. Avevano percorso l’India in treno da un palazzo all’altro, immaginando il Raj ormai scomparso e gustando curry delicati e fragranti. Avevano fatto tutte quelle cose insieme. E ora tutte quelle cose erano finite.
«Differenze inconciliabili» disse Joe.
«Oh, Joseph. Cosa c’entra questo con il divorzio?»
«Voglio essere generoso» disse Joe.
Generoso? pensò Betty. Era come se lei fosse la domestica e stesse per essere licenziata. Le avrebbe offerto due mesi di stipendio?
«Non puoi essere generoso con quello che mi appartiene» obiettò.
E il divorzio partì al galoppo, come un gruppo di cavalli dai fianchi schiumanti su una pista fangosa.
La differenza inconciliabile di Joe si chiamava Felicity, anche se Betty, fingendo di non ricordarselo, a volte la chiamava Pleurisy, pleurite, e più spesso Duplicity. Ma ciò sarebbe successo più avanti, dopo la perdita dell’appartamento su Central Park West. Durante i negoziati che avrebbero condotto a quell’abbandono, Betty e le sue figlie dovettero accontentarsi di formulare congetture, supposizioni e sospetti circa l’esistenza di una Felicity a cui non erano mai state presentate ufficialmente.
«Sarò generoso con mia moglie» disse Joe a Felicity. «Dopo tutto, ho passato quasi cinquant’anni della mia vita con quella donna.» Nell’udire le parole “mia moglie”, Felicity gli scoccò un’occhiataccia. Ma lui non se ne accorse, poiché la parola “cinquanta” l’aveva reso triste e confuso. Era più di metà della sua vita. Che cosa stava facendo? Era troppo vecchio per ricominciare da capo. Ma quando la parola “vecchio” gli attraversò la mente, quelle due sillabe cupe e pesanti seguite subito dopo dall’espressione “da capo”, i dubbi svanirono e la parola “donna” venne pronunciata come se Betty fosse la scontrosa bigliettaia di un casello autostradale, una sconosciuta che tende una mano poco curata, e lo sguardo di Felicity si raddolcì.
«Certo che sarai generoso» disse. «Tu sei un uomo generoso. Tutto quello che farai sarà generoso, Joe.» Gli prese la mano e la baciò. «E io ti aiuterò» aggiunse. «Ti aiuterò a essere generoso.»
«Ovviamente le lascerò l’appartamento» disse Joe. «Mi sembra giusto. Ci abbiamo passato tutta la vita. Ci ha lavorato così tanto. È la sua creatura.»
Felicity aveva visto l’appartamento. Su una rivista. Splendido e scintillante, con una confortevole aura vecchio stile. O almeno così diceva l’articolo. A Felicity era sembrato semplicemente grande e lussuoso, anche se alle diverse sfumature di crema non avrebbe nuociuto una macchia di colore qua e là, e se alcuni pezzi dell’arredamento le parevano un po’ sgangherati, antichi o meno che fossero. «Ovviamente» gli fece eco. Poi Felicity guardò assorta Joe, seduto sul divano nel suo soggiorno, in un rispettabilissimo appartamento nelle Lincoln Towers da cui un tempo si poteva vedere il fiume Hudson. Si alzò e andò davanti alla finestra, guardando le Trump Towers che ora impedivano la vista. «Lo comprasti per quattro soldi, vero?» domandò.
Joe sorrise. «Già. E non abbiamo mai saltato una rata del mutuo.»
«Tu non hai mai saltato una rata del mutuo» lo corresse Felicity.
«Certo. Questo è vero.»
«Pagato con il tuo stipendio?»
«E quale altro stipendio poteva esserci?» chiese lui. «Betty non ha mai lavorato in vita sua. Non ha mai dovuto. Lo sai.»
Felicity lo sapeva. Lei, invece, in vita sua aveva lavorato sodo.
«Ma i soldi della caparra erano suoi» aggiunse Joe. Si considerava un uomo equo.
«Quattro soldi» ripeté Felicity. «L’hai detto tu.»
Joe rifletté. «Sì. Cinquemila dollari di anticipo. Te l’immagini?»
«E adesso quanto vale, tre milioni di dollari?»
«Oh, come minimo.»
Felicity non commentò, lasciando che lui cogliesse il sottinteso.
«Un bel profitto per un investimento di cinquemila dollari, vero?» disse lui.
«Immagino che le spese di mantenimento siano altissime.»
Joe annuì.
«In realtà è un onere, per una casa così grande e vecchia» proseguì Felicity. «Povera Betty. Non la invidio. Alla sua età.»
«Dovrebbe ridimensionarsi» disse Joe. «La soluzione migliore sarebbe vendere, e lei potrebbe usare la sua parte per comprare qualcosa di più adatto.»
«Joe, sei davvero un uomo generoso» disse Felicity. «Sempre pronto a sacrificarti.»
Lui le rivolse uno sguardo vuoto. Sapeva di essere generoso e sempre pronto a sacrificarsi, ma per un istante non riuscì a capire come il prendersi metà del ricavato invece che un bel niente rispondesse a quella descrizione. Poi Felicity aggiunse con una punta di allarme: «E le tasse? Al netto delle tasse non rimarrà quasi niente. Povera Betty». Vide che erano le sei in punto e gli versò il suo drink. «Per lei sarebbe un peso, molto più che per te. Tu hai una gran quantità di detrazioni, lei no, non avendo una sua attività.»
Joe non era uno stupido, e gli piaceva pensare di essere generoso; ma amava il grande e arioso appartamento che Betty aveva reso così confortevole, e amava Felicity. Era ovvio che per Betty sarebbe stato troppo difficile gestirlo, si disse. Come aveva potuto essere così sconsiderato, così insensibile?
«Alla sua età» mormorò di nuovo Felicity come se gli leggesse nel pensiero.
L’appartamento era molto più adatto a lui e Felicity. Lei era giovane e piena di energia. Lui non era né l’una né l’altra cosa, ma era abituato all’ambiente. Era giusto che venisse cacciato da casa propria soltanto per dare i suoi soldi al governo? Sarebbe stata una pessima decisione. Le tasse avrebbero ridotto Betty sul lastrico. Sarebbe stata una crudeltà.
Allora era deciso. Joe sarebbe stato generoso e si sarebbe tenuto l’appartamento.
Betty si era già sposata una volta prima di conoscere Joseph Weissmann. Il suo primo marito era morto giovane in un incidente d’auto, lasciandola sola con due bambine, Annie di quattro anni e Miranda di due. Joseph era entrato nella loro vita solo un anno dopo l’incidente. Aveva sposato Betty, e malgrado le bambine cenassero in cucina prima che lui rientrasse dal lavoro e non lo vedessero mai nei sabati in cui andava in ufficio, avevano preso il suo cognome, lo chiamavano Josie e lo consideravano il loro padre, amandolo come se lo fosse davvero.
Quando Annie ricevette la telefonata in cui sua madre annunciava la scoperta da parte di Joseph di differenze inconciliabili dopo quasi cinquant’anni di matrimonio, aveva subito consigliato una visita neurologica. Josie aveva avuto qualche strano mal di testa? Comportamento incoerente, emicranie, capogiri? Era palesemente un tumore al cervello. Sua madre si era forse scordata di Oliver, il compagno di università di Annie? Era morto proprio in quel modo. Betty avrebbe fatto meglio a portarlo dal medico quello stesso giorno. Povero Josie.
«Non è un tumore al cervello» disse sua madre. Erano anni che Joseph non si sentiva così bene. «E tu sai questo cosa significa.»
Annie accettò a malincuore quello che sua sorella Miranda capì all’istante.
«È innamorato» disse quest’ultima quando Betty la chiamò per darle la notizia.
«Temo di sì» concordò Betty.
Le due donne rimasero in silenzio. Credevano entrambe nell’amore. Ma quell’amore era un’eresia.
«Annie cosa dice?»
«Gli parlerà. E mi ha consigliato di prendere un avvocato.»
«Un avvocato?» Nella voce di Miranda c’era un tono di disapprovazione. «E di questo Josie cosa pensa?»
«Ha suggerito di rivolgerci a un consulente.»
«Non posso credere che stia succedendo.»
E decise anche lei di parlare con Josie.
«Ho il diritto di vivere la mia vita» esordì Joseph quando le vide apparire insieme nel suo ufficio. Ma aveva le lacrime agli occhi. «Ho diritto alla mia vita.»
Davanti alle sue lacrime, entrambe le donne si commossero. E convennero che Josie avesse diritto alla sua vita, ma a certe condizioni. Annie spiegò che la vita che Josie aveva il diritto di vivere era la vita che aveva sempre vissuto, quella con la loro madre; Miranda, che aveva un animo più romantico, osservò che pur ammettendo che la vita andasse vissuta in tutta la sua pienezza, Josie non era più giovane e la sua attuale esistenza era certamente abbastanza piena per un uomo della sua età.
«È difficile anche per me» disse Joseph. Si premette i pugni sugli occhi come un bambino. Le due donne lo strinsero in un abbraccio.
«Josie, Josie» sussurrarono con dolcezza consolando l’uomo, elegante nel suo gessato. Non avevano mai visto piangere il loro patrigno.
Lui si ritrasse e abbassò lo sguardo sulle figlie, le sue “ragazze”, e vide che non erano più ragazze. Miranda era graziosa come sempre, con la sua aria da smorfiosa, gli occhi dardeggianti e i lucenti capelli castano chiaro che le sfioravano le spalle, un taglio non molto diverso da quello dell’adolescenza. Ma ora nella sua bellezza ancora giovanile c’era un che di duro, di caparbio. Annie, da parte sua, giovane non lo era mai sembrata; sempre così seria, con quei suoi occhi scuri che assorbivano ogni cosa senza tradire emozioni. Lungo la scriminatura dei capelli si cominciava a vedere del grigio. Annie lo fissava ansiosa. Che cosa poteva fare Josie per lei, per la sua ragazza triste? Qualche decennio prima, quando lui era ancora un giovanotto, un uomo nella sua posizione avrebbe potuto darle qualche banconota e dirle di comprarsi un cappellino per consolarsi. Se la immaginò con un cappellino da cocktail di velluto, inclinato in modo sbarazzino sulla testa. L’assurdità di quell’immagine lo convinse a scuoterla.
«Sarò molto generoso con vostra madre» disse. «Potete contare su di me.»
E le figlie uscirono dall’ufficio arrabbiate, deluse, ma comunque speranzose per il benessere materiale della madre.
«Ciao, Felicity» dissero con forzata allegria alla graziosa vicepresidente che aveva lanciato la divisione Internet dell’azienda in costante ascesa. Era inutile lasciar trasparire la loro sofferenza. Forse l’intera faccenda poteva essere sistemata prima che Felicity e gli altri in ufficio venissero a sapere qualcosa.
«Be’, almeno non andranno per avvocati» disse Miranda. «Gli avvocati sono avvoltoi sanguisughe.»
«Stai mescolando specie diverse.»
«Parassiti» insistette Miranda in tono di sfida. Miranda era un agente letterario, e aveva il dente avvelenato con gli avvocati per il loro interferire in faccende che non li riguardavano come i contratti dei suoi clienti, ma le sue esperienze con la professione legale erano state particolarmente dolorose nel corso degli ultimi sei mesi. «Dovrebbero badare ai fatti loro.»
«Sfortunatamente, i divorzi sono un po’ fatti loro. Alcuni, almeno.»
Miranda non aveva mai divorziato. Questo, ne era consapevole, era dovuto soltanto al fatto che non si era mai sposata. Si innamorava troppo facilmente, troppo spesso e troppo intensamente per sposarsi. Miranda amava essere innamorata. Era un piacere per cui era disposta a soffrire, e a cui non poteva fare a meno. Al momento era innamorata di quell’inetto del suo day trader. Pensava a lui e avvertiva un fremito di vertiginoso entusiasmo: la schiena nuda china in piena notte sul suo computer in camera da letto, l’espressione sofferente illuminata dal grande schermo.
L’amore era uno dei motivi che adduceva per giustificare il fatto di non essersi mai sposata, la ragione principale. Ma ce n’era un’altra. Era sempre troppo ...