GERARD DE VILLIERS
IL CARTELLO
DI SEBASTOPOLI
Traduzione di Mario Morelli
MALKO LINGE (SAS)
Sua Altezza Serenissima, agente fuori quadro della CIA
RONALD CHAPTER
capo della stazione CIA di Vienna
VLADIMIR SEVSCENKO
trafficante d’armi ucraino, ex ufficiale del GRU
DIETER WEIZMAN
trafficante d’armi, informatore della CIA
DOINA UDVAR
amante di Weizman
HILDEGARDE FELDBACH (SISSI)
amante di Sevscenko
CRISTA SHÖNGAU
giornalista
NIKOLAS TOLMAN
trafficante d’armi sloveno, console onorario della Liberia
ROBERTO BARI
criminale italiano
ALÌ AL MAHDI
diplomatico sudanese
SORAYA TADJEH
principessa iraniana
BORIS NICOLAIEV
collaboratore della CIA, ex colonnello del GRU
JOHN BURKE
rappresentante della CIA a Istanbul
1
— Ha quello che voglio?
La voce bassa e roca di Vladimir Sevscenko era come sempre carica di aggressività. Anche se non ce n’era alcun motivo apparente. Dieter Weizman gli rispose con voce calorosa, sonora e cordiale.
— Certo! Nessun problema! Lei mi conosce!
— Allora a più tardi, come previsto.
Vladimir Sevscenko riagganciò senza nemmeno lasciare il tempo a Dieter Weizman di salutarlo. Quest’ultimo si alzò, si mise davanti alla finestra che dava sul parco dello Schwarzenberg e lasciò errare lo sguardo sui prati coperti di neve e sulle statue riparate d’inverno sotto strane nicchie di tela. Pareva di essere in aperta campagna. Eppure il grande albergo Schwarzenberg si trovava nel centro di Vienna, a quattro passi dal Kärntner Ring!
Di solito, la vista di quel parco riempiva di soddisfazione Dieter Weizman. Da quando si era trasferito in una fattoria dove allevava cavalli, presso Drosendorf, un piccolo paese situato vicino al confine ceco a un centinaio di chilometri da Vienna, non poteva più sopportare le città. Eppure, nato a Vienna cinquantatré anni prima, Dieter Weizman era più un cittadino che un campagnolo. La sua lunga carriera di truffatore, di falsario e informatore senza scrupoli si era potuta svolgere solo all’ombra del cemento. Ma alcuni soggiorni dietro le sbarre gli avevano dato un’insaziabile sete di verde e di spazio. Allo Schwarzenberg respirava! Si trattava di un verde pagato a peso d’oro, d’accordo, ma la sua nuova posizione di businessman internazionale gli permetteva finalmente di vivere secondo i suoi gusti.
Aprì la finestra, respirò a fondo riempiendosi i polmoni di aria gelida, ma la morsa che gli stringeva il petto non si allentò… Dietro la sua apparente giovialità, Weizman nascondeva una terribile angoscia. Da qualche anno scherzava con il fuoco. Mentiva sfrontatamente, vendeva ciò che non gli apparteneva, tradiva senza pudore i suoi clienti, sempre con lo stesso sorriso e con la stessa voce suadente e sicura. Le sue attività erano sempre illegali, spesso tortuose, talvolta rischiose. Purtroppo Dieter Weizman non conosceva nessun altro modo di guadagnarsi da vivere. Per rilassarsi si inventava situazioni altisonanti, basate su un biglietto da visita. Un suo vecchio amico dei tempi della miseria, che aveva una piccola tipografia nella periferia di Vienna, gli aveva già stampato dieci o dodici identità prestigiose, una più falsa dell’altra.
Che duravano solo il tempo di una truffa.
Le vere attività di Dieter Weizman, dalla truffa allo spaccio di denaro falso e agli assegni scoperti, non avevano bisogno di una “posizione”: bastavano faccia tosta e fantasia, condite da una buona dose di disonestà. Per anni era vissuto così, fino alla divina sorpresa della guerra civile in Jugoslavia. Da allora benediceva ogni giorno l’embargo sulle armi, che permetteva a intermediari come lui di fare finalmente fortuna.
Per avere l’animo in pace, Dieter Weizman aveva fatto suo il motto: “Non sono le armi che uccidono, sono gli uomini”. E così viveva in un’aura perfettamente serena…
Cercò di concentrare l’attenzione sul volo di uno stormo di uccelli che attraversava il parco innevato, ma non ci riuscì.
Prima di recarsi all’appuntamento doveva assolutamente risolvere il problema. In teoria sembrava facile. Stando alla persona interessata, si trattava solo di un errore inspiegabile e tutto si sarebbe risolto prima di cena. Non avrebbe nemmeno avuto bisogno di muoversi. Chiunque altro, meno canaglia di Dieter Weizman, si sarebbe accontentato di quella garanzia. Ma lui stesso aveva fatto tante di quelle promesse con voce vibrante di sincerità che ora non si fidava. Aveva a che fare con tipi della sua risma. Bugiardi nati. Mascalzoni senza fede né legge, la cui parola non valeva un copeco.
Non se la sentiva di fare come se nulla fosse e di correre il rischio di esporsi alla vendetta di Vladimir Sevscenko. Al solo pensiero si sentiva bloccare lo stomaco. Aveva una paura fisica, viscerale dell’ucraino. Un bruto di centoventi chili, dalla fronte bassa e dai folti capelli neri, che aveva iniziato la sua vita lavorativa come operaio metallurgico. Del suo vecchio mestiere aveva conservato una grande abilità nell’usare la fiamma ossidrica. Una volta, a Kiev, aveva bruciato vivo un intermediario senza scrupoli che aveva fatto sparire una commissione. La vittima ci aveva messo dei giorni a morire… Non si mentiva a Vladimir Sevscenko. Dieter Weizman pensò che, se il suo cliente non avesse mantenuto la parola, avrebbe detto la verità all’ucraino.
Senza badare alle conseguenze.
Soddisfatto della decisione presa, inspirò un’ultima boccata di aria fredda e richiuse la finestra. I suoi battiti cardiaci salirono come un barometro impazzito.
Doina Udvar, la sua amante, era uscita dalla stanza da bagno. Seduta sull’enorme letto della camera dai muri tappezzati di stoffa azzurra a fiori, con indosso solo un minuscolo reggiseno rosso, un paio di mutandine uguali e un reggicalze, stava finendo di infilarsi con impegno infantile le calze grigie, stendendo bene la gamba a quarantacinque gradi, come aveva visto fare al cinema. Fissò la calza al reggicalze e la lisciò sulla pelle della gamba. E dire che fino a un anno prima, commessa nel negozio Herrend di Budapest, metteva solo rozzi e spessi collant.
Dieter Weizman era stato conquistato dai suoi grandi occhi azzurri pieni di innocenza, dai corti capelli neri, dal viso regolare, dal corpo di dea dalle lunghe gambe affusolate e soprattutto dalla statura: un metro e ottanta. Il suo sogno! Gli arrivava alla spalla. La sera che si erano conosciuti avevano cenato al Mathias Pince, il ristorante più sofisticato di Budapest. Tra il foie gras e i violini, Doina aveva ascoltato a bocca aperta i racconti di Dieter Weizman. Questi aveva avuto l’astuzia di non tentare di portarsela a letto quella sera stessa. Col suo istinto di farabutto aveva capito che Doina non era insensibile al suo reale fascino, ai suoi vivaci occhi azzurri, alla sua viva intelligenza. Era un po’ pelato, ma la sua stazza da lottatore rivelava una notevole virilità. Abituata alla rozzezza degli ungheresi e del mondo comunista, Doina Udvar non era rimasta sfavorevolmente colpita dall’aspetto contadinesco che gli davano la giacca di pelle, il grosso orologio, il colletto senza cravatta e un maglione sopra l’altro. La barbetta gli dava quasi un’aria da intellettuale o da pastore di anime.
Il giorno dopo avevano pranzato all’Hilton e Weizman aveva proposto a Doina di portarla in Austria con lui… Avevano fatto l’amore nella sua suite, dopo avere fatto fuori una bottiglia di Taittinger Comtes de Champagne Blanc de Blancs 1988.
A Vienna, Doina era rimasta letteralmente affascinata dallo Schwarzenberg. E ancora di più quando il suo nuovo amante le aveva dato un grosso mazzo di scellini lasciandola all’inizio di Kärntner Strasse, la strada pedonale tutta negozi di lusso. La sera stessa aveva sfoggiato il tailleur di Gianni Versace al Korso, uno dei ristoranti più eleganti di Vienna.
Dopo cena, Dieter Weizman aveva scoperto che sotto il suo aspetto angelico Doina era una creatura infernale. Vestita così era di una bellezza sconvolgente che faceva voltare tutti gli uomini presenti, e Dieter Weizman aveva provato una gioia segreta quanto immensa. Lui, l’uomo non più giovane, volgare e vestito male, era scortato da una dea.
Da quella sera non l’aveva più lasciata nemmeno per un attimo, per la paura che qualcuno gliela rubasse…
Doina Utvar era sbocciata nel lusso come un’orchidea in una serra, raggiungendo in poche settimane una raffinatezza sorprendente. Mai un’osservazione fuori luogo, mai uno stupore di troppo, sempre un po’ distaccata, piena di classe e tuttavia tenera come panna montata ogni volta che Dieter Weizman infilava le mani sotto il satin che le fasciava la pelle.
Essendosi accorta che lui la guardava, Doina alzò gli occhi e si agganciò la calza.
— Siamo in ritardo? — chiese in tono tranquillo fingendo di non accorgersi che il suo innamorato percorreva con lo sguardo tutto il suo corpo da sotto in su, come un elefante che lecca un gelato.
Era perfettamente truccata: il nero metteva in risalto il color cobalto degli occhi e la bocca era rossa come i suoi indumenti intimi. Dieter non rispose alla domanda: Doina si alzò, inerpicata sui tacchi altissimi, e si sistemò la parte posteriore della calza destra.
Dieter Weizman attraversò la stanza come un bisonte infuriato e si fermò a pochi centimetri da Doina. La sua angoscia si era sciolta nel desiderio come lo zucchero nel caffè. Gli pareva di avere il fuoco nelle arterie. Attrasse a sé Doina e le passò un braccio intorno alla vita, annusandone il profumo come un animale.
La mano sinistra partì all’avventura palpando i seni stupendi che parevano voler far scoppiare la loro coppa di satin, scendendo poi lungo i fianchi e le cosce, fermandosi sul nylon delle calze.
— Dio mio, come sei bella! — mugolò.
Si sentiva il cervello vuoto.
Doina sorrise. E continuò a sorridere anche quando Dieter Weizman cominciò a strofinarsi piano contro il suo corpo. Aveva fatto l’amore con lei centinaia di volte, ma non era mai sazio. Quando le sfiorò con la mano le mutandine rosse, tra le gambe, Dieter sentì qualcosa che gli fece perdere completamente la testa. Scostò l’elastico alla vita, infilò dentro la mano e la posò sul sesso della giovane donna. Era umido come sempre, e questo aumentò la sua eccitazione. Pensò di nuovo: “Una creatura infernale!”. Diceva “infernale” perché aveva scoperto qualcosa di diabolico, di troppo perfetto, dietro la facciata dell’innocenza.
Gli occhi azzurri di Doina cercarono i suoi.
— Ti piaccio?
Una domanda da sgualdrina fatta con un tono da regina.
— Vieni qui — rispose Dieter Weizman, con voce roca.
La spinse contro il comò Luigi XV rococò e ve la fece appoggiare. Poi con una mano sola si slacciò la cintura, si aprì i pantaloni che gli si arrotolarono sulle caviglie mettendo in mostra un membro grosso e duro, che spuntava fuori dalle mutande a righe. Quasi in verticale.
Dieter Weizman si sentiva un giovanotto.
Scostò abilmente l’elastico delle mutandine rosse. A causa della differenza di statura gli bastò qualche colpo di reni per penetrare fino in fondo al ventre di Doina. La giovane ungherese barcollò e si aggrappò al comò. Prendendola per le anche, all’altezza delle giarrettiere, Dieter Weizman cominciò a muoversi con lentezza, piegando le ginocchia per penetrarla me...