
- 180 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Come finiscono le favole
Informazioni su questo libro
Nel momento più magico dell'anno, inizia una nuova, emozionante saga. Perché a volte, un pizzico di magia è tutto quello che ci vuole...
Mark Nolan sa benissimo come godersi la sua vita da scapolo; quello che non sa è come comportarsi con la nipotina Holly, sei anni, rimasta orfana dopo la morte della mamma, che gliel'ha affidata nel testamento. Per il trauma Holly ha smesso di parlare e Mark, già impacciato con i bambini, non sa proprio come comunicare con lei. Sua sorella gli ha scritto: "Amala. Il resto verrà da sé". Come se fosse facile... Forse, un giocattolo può ridare il sorriso a Holly. Così Mark entra nel negozio di Maggie Conroy, che ha da poco perduto il marito, e qualcosa di magico accade¿
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Informazioni
Print ISBN
9788804622253eBook ISBN
97888520253651
Fino alla morte di sua sorella, Mark Nolan aveva trattato la nipotina Holly con l’affetto sbrigativo degli zii scapoli. La vedeva alle sporadiche riunioni familiari delle festività e si assicurava sempre di comprarle qualcosa per il compleanno e per Natale. Di solito dei buoni-regalo. Quello era stato il massimo della sua interazione con Holly, ed era sempre bastato.
Ma tutto era cambiato una sera d’aprile lucida di pioggia, quando Victoria era rimasta uccisa a Seattle, in un incidente d’auto sulla I-5. Poiché Victoria non aveva mai fatto cenno ad alcun testamento o progetto per il futuro di Holly, Mark non aveva idea di cosa sarebbe successo alla sua figlioletta di sei anni. Non c’era un padre, nel quadro. Victoria non aveva mai rivelato chi fosse, nemmeno agli amici più intimi. Mark era ragionevolmente sicuro che non l’avesse nemmeno informato dell’esistenza della bambina.
Appena trasferita a Seattle, Victoria aveva stretto amicizia con una compagnia di bohémien, un gruppo di musicisti e personaggi variamente creativi. Il risultato era stato un inanellarsi di fugaci relazioni che avevano garantito a Victoria tutta la bisboccia artistica che aveva sempre sognato. Alla fine, però, era stata costretta a riconoscere che la ricerca di appagamento personale doveva essere controbilanciata da uno stipendio fisso. Aveva cercato un impiego in un’azienda informatica e ne aveva trovato uno nelle risorse umane, con una buona paga ed eccellenti benefit. Sfortunatamente, a quel punto Victoria aveva scoperto di essere incinta.
«È meglio per tutti che ne resti fuori» aveva detto a Mark quando le aveva chiesto chi fosse il padre.
«Hai bisogno di un po’ d’aiuto in questa situazione» aveva protestato Mark. «Quel tipo dovrebbe almeno provvedere ai suoi obblighi economici. Avere un bambino non costa poco.»
«Posso farcela da sola.»
«Vick… essere una madre single è una cosa che non augurerei a nessuno.»
«È il concetto stesso di essere genitore, in qualsiasi forma, che ti terrorizza» aveva detto Victoria. «Il che è perfettamente comprensibile, con il nostro passato. Ma io voglio questo bambino. E farò un buon lavoro.»
E l’aveva fatto. Victoria si era rivelata una madre responsabile, paziente e dolce con la sua unica figlia, protettiva senza essere soffocante. Sa Dio da dove fossero saltate fuori queste capacità materne. Dovevano essere istintive, dato che Victoria di certo non le aveva apprese dai genitori.
Mark era sicuro di non possedere quell’istinto. Ecco perché uno shock si sovrappose all’altro quando capì di avere non solo perso una sorella, ma anche guadagnato una bambina.
L’eventualità di essere nominato tutore di Holly non l’aveva mai nemmeno sfiorato. Era consapevole delle sue capacità nella maggior parte delle cose e aveva un’idea ottimistica di quello che probabilmente sarebbe riuscito a fare in situazioni mai affrontate prima. Ma questo… prendersi cura di una bambina… questo era troppo per lui.
Se Holly fosse stata un maschio, forse avrebbe avuto una mezza possibilità. I ragazzi non erano poi così difficili da capire. L’intero genere femminile, invece, era un mistero. Ormai da anni, Mark si era rassegnato al fatto che le donne fossero complicate. Dicevano cose come: «Se non lo sai, io non te lo dico». Non ordinavano mai un dessert ma assaggiavano il tuo, e quando ti chiedevano un’opinione su cosa indossare, mettevano sempre quello che non avevi suggerito. Tuttavia, pur senza pretendere di capirle, Mark adorava le donne; la loro elusività, le sorprese che sapevano farti, i loro intricati, affascinanti cambiamenti d’umore.
Ma crescerne veramente una… Gesù, no. La posta in gioco era troppo alta. Non aveva modo di offrirle un esempio sufficientemente buono. E guidare una figlia nell’insidioso, difficile clima di una società che nascondeva rischi di ogni tipo… Dio sapeva che per quello non era qualificato.
Mark e i suoi fratelli erano stati allevati da genitori che interpretavano il matrimonio come una guerra di logoramento in cui i figli avevano la funzione di ostaggi. E come risultato, i tre fratelli Nolan – Mark, Sam e Alex – si erano messi l’animo in pace con l’idea di andarsene per la propria strada appena raggiunta la maggiore età. Victoria, invece, aveva continuato a desiderare con tutta se stessa quel tipo di legame che la loro famiglia non era stata in grado di creare. L’aveva trovato con Holly, e questo l’aveva fatta sentire fortunata.
Ma una mezza sterzata di troppo, un tratto di strada bagnato, una momentanea perdita di controllo e il tempo concesso a Victoria Nolan era, crudelmente, scaduto.
Victoria aveva lasciato una lettera sigillata, indirizzata a Mark, conservata in una cartelletta con il testamento.
Non hai altra scelta. Holly non conosce per niente Sam o Alex. Lo scrivo sperando che tu non debba mai leggerlo… prenditi cura di mia figlia, Mark. Aiutala. Ha bisogno di te. So quanto debba sembrare opprimente questa responsabilità. Mi dispiace. So che non l’hai chiesto tu. Ma puoi farcela. Capirai tutto.Comincia volendole bene. Il resto verrà.
«La prenderai davvero?» Sam aveva chiesto a Mark il giorno del funerale, dopo un ricevimento a casa di Victoria. Era stato inquietante vedere tutto nel modo in cui lei l’aveva lasciato: i libri sulla libreria, un paio di scarpe buttate là sul pavimento, un tubetto di lucidalabbra sul piano d’appoggio del bagno.
«Certo che la prendo» disse Mark. «Che altro posso fare?»
«C’è Alex. Lui è sposato. Perché Vick non ha lasciato Holly a lui e Darcy?»
Mark gli lanciò uno sguardo eloquente. Il matrimonio del fratello minore era come un computer impestato di virus: era impossibile avviarlo in modalità sicura e faceva girare programmi che, nonostante l’apparenza innocua, innescavano processi malevoli di ogni tipo.
«Tu lasceresti tuo figlio a loro?» chiese.
Lentamente, Sam scosse la testa. «Direi di no.»
«Quindi tu e io siamo tutto quello che resta a Holly.»
Sam lo guardò con aria circospetta. «Tu sei quello che firma per questa faccenda, non io. C’è un motivo se Vick non mi ha nominato tutore. Io non sono bravo con i bambini.»
«Resti lo zio di Holly.»
«Sì, lo zio. Le mie responsabilità sono limitate a farla ridere con battute sciocche sulle funzioni corporali e a bere troppa birra alle grigliate in famiglia. Non sono il tipo-papà.»
«Nemmeno io» disse Mark in tono grave. «Ma dobbiamo provarci. A meno che tu non voglia firmare per l’affidamento.»
Aggrottando la fronte, Sam si strofinò il viso con entrambe le mani. «Come l’ha presa Shelby?»
Mark scrollò il capo quando sentì il nome della sua ragazza. Era un architetto d’interni e l’aveva conosciuta quando stava arredando la prestigiosa casa di un suo amico a Griffin Bay. «Usciamo insieme solo da un paio di mesi. Dovrà prendere o lasciare: dipende da lei. Ma io non ho intenzione di chiederle aiuto. È una responsabilità mia. E tua.»
«Magari potrei fare da baby-sitter ogni tanto. Ma non aspettarti grandi cose; ho investito tutto quello che ho nella vigna.»
«Proprio quello che io ti avevo detto di non fare, genio.»
Gli occhi di Sam, dello stesso verde-azzurro dei suoi, si strinsero. «Se ascoltassi i tuoi consigli, farei i tuoi errori anziché i miei.» Tacque. «Dove tiene Vick la roba da bere?»
«Nella dispensa.» Mark si avvicinò a un armadietto, trovò due bicchieri e li riempì di ghiaccio.
Sam rovistò nella dispensa. «Mi sembra strano, bere il suo liquore quando lei… non c’è più.»
«Sarebbe la prima a dirti di fare come se fossi a casa tua.»
«Probabilmente sì.» Sam arrivò al tavolo con una bottiglia di whisky. «Aveva un’assicurazione sulla vita?»
Mark scosse la testa. «L’aveva lasciata scadere.»
Sam gli lanciò uno sguardo preoccupato. «Immagino che metterai in vendita la casa.»
«Già. Dubito che prenderemo molto con questo mercato.» Mark spinse un bicchiere verso di lui. «Abbonda» disse.
«Non preoccuparti.» Sam non smise di versare finché non ebbe riempito generosamente entrambi i bicchieri.
Si rimisero a sedere uno di fronte all’altro, alzarono i rispettivi whisky brindando in silenzio e bevvero. Era un buon liquore, e Mark lo sentì scivolare piacevolmente in gola ed effondergli una morbida sensazione di calore nel petto.
Traeva un inaspettato conforto dalla presenza di suo fratello. Forse il loro bellicoso passato infantile – le zuffe, i piccoli tradimenti – avrebbe smesso di mettersi in mezzo. Erano adulti, ormai, con un potenziale di amicizia che non era mai esistito quando i loro genitori erano ancora vivi.
Ad Alex, invece, era impossibile avvicinarsi tanto da poterlo apprezzare o detestare. Lui e sua moglie, Darcy, erano venuti al funerale, si erano fermati al ricevimento per circa un quarto d’ora e poi se ne erano andati senza quasi scambiare una parola con nessuno.
«Se ne sono già andati?» aveva chiesto Mark incredulo, notando la loro assenza.
«Se volevi che restassero di più» aveva detto Sam «avresti dovuto organizzare il ricevimento funebre da Nordstrom.»
Senza dubbio la gente si chiedeva come facessero tre fratelli a vivere su un’isola di circa settemila abitanti e ad avere così pochi contatti. Alex viveva con Darcy a Roche Harbor, sul lato nord. Se non era impegnato con il suo complesso condominiale, accompagnava la moglie agli eventi sociali di Seattle. Mark, da parte sua, si teneva ben occupato con la piccola azienda di torrefazione che aveva impiantato a Friday Harbor. E Sam, che era sempre alla vigna a curare e coccolare le sue viti, si sentiva più profondamente legato alla natura che non alle persone.
L’unica cosa che avevano in comune era l’amore per l’isola di San Juan, compresa in un arcipelago di circa duecento isole, alcune delle quali inglobate dalle contee di terraferma di Whatcom e Skagit. I Nolan avevano trascorso l’infanzia nella zona poco piovosa delle Olympic Mountains, generosamente risparmiata dal grigiore atmosferico del resto del Pacifico nordoccidentale.
Erano cresciuti respirando l’aria bagnata dell’oceano, i piedi nudi sempre impiastricciati di fango lasciato scoperto dal mare. Il destino aveva voluto che potessero godere di umide mattine color lavanda, terse giornate azzurre e tramonti tra i più spettacolari della terra. Non c’era nulla di paragonabile alla vista dei chiurli scattanti che rincorrevano le onde. O delle aquile testabianca che scendevano in picchiata sulla preda. O della danza delle orche, le loro sagome lisce e lucenti che si immergevano, facevano capolino e attraversavano il Mar dei Salish seguendo la potente vibrazione dei banchi di salmoni in movimento.
I fratelli avevano battuto ogni centimetro dell’isola, su e giù per i declivi ventosi sopra la costa, tra le colonne scure delle fustaie e attraverso folti prati di erba mazzolina e fiori selvatici dai nomi affascinanti… Campanella della missione, Stella cadente, Rossore del mare. Mai mescolanza di acqua, terra e cielo era stata così perfettamente equilibrata.
Si erano allontanati per il college e avevano provato a vivere in altri luoghi, ma l’isola li aveva sempre attirati di nuovo a casa. Persino Alex, con la sua inflessibile ambizione, era tornato. Era quel genere di vita per cui conoscevi di persona gli agricoltori che coltivavano quasi tutto quello che mangiavi, il tipo che produceva il sapone che usavi per lavarti, in cui davi del tu al padrone del ristorante. Potevi fare l’autostop in tutta sicurezza, perché tra isolani ci si dava sempre un passaggio.
Victoria era stata l’unica in famiglia a trovare qualcosa per cui valesse la pena di lasciare l’isola. Si era innamorata dei picchi di vetro e delle vallate di cemento di Seattle, dello scenario urbano di caffè-e-cultura, dei ristoranti eleganti e raffinati che seducevano le papille gustative, del labirinto sensoriale di Pike Place Market.
In risposta al commento di Sam che in città tutti parlavano e pensavano troppo, Victoria aveva ribattuto che Seattle la rendeva più intelligente.
«Io non ho bisogno di diventare più intelligente» aveva dichiarato Sam. «Più sei intelligente, più motivi hai per essere infelice.»
«Questo spiega perché noi Nolan siamo sempre di ottimo umore» aveva detto Mark a Victoria, facendola ridere.
«Non Alex, però» aveva aggiunto seria, un istante dopo. «Credo che Alex non sia stato felice nemmeno un giorno della sua vita.»
«Alex non vuole la felicità» aveva risposto Mark. «Sta bene con i surrogati.»
Tornando con la mente al presente, Mark si chiese che cosa avrebbe detto Victoria se avesse saputo che intendeva crescere Holly sull’isola di San Juan. Non si rese conto di aver pensato a voce alta finché Sam non rispose.
«Cioè, se sarebbe rimasta sorpresa? Vick sapeva che tu non ti saresti mai mosso dall’isola. La tua azienda è lì, come la tua casa, i tuoi amici. Deve aver immaginato per forza che avresti portato Holly a Friday Harbor, se le fosse successo qualcosa.»
Mark fece cenno di sì, sentendosi vuoto e desolato. L’enormità della perdita subita dalla bambina era un pensiero impossibile da reggere a lungo.
«Ha detto qualcosa, oggi?» chiese Sam. «Io non l’ho sentita emettere un suono.»
Da quando era stata informata della morte della madre, Holly era rimasta muta e aveva risposto alle domande accennando solo sì o no con la testa. Aveva un’espre...
Indice dei contenuti
- Copertina
- di Lisa Kleypas
- Come finiscono le favole
- Prologo
- 1
- 2
- 3
- 4
- 5
- 6
- 7
- 8
- 9
- 10
- 11
- 12
- 13
- 14
- Copyright