
- 378 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Quando, nel 1928, Agatha Christie assistette alla prima rappresentazione di un testo teatrale tratto da un suo romanzo, L'assassinio di Roger Ackroyd, non apprezzò né il testo né l'interpretazione. Decise quindi di scrivere lei stessa una pièce con Hercule Poirot come protagonista. Il risultato fu Caffè nero (1930), nel quale il celebre investigatore belga è alle prese con un tentativo di rubare una formula segreta trasformatosi in omicidio. In seguito la scrittrice tornò a scrivere per il teatro, a volte adattando trame di propri romanzi, altre volte componendo testi originali: come La tela del ragno (1954), pensato per la brillante diva cinematografica Margaret Lockwood, con una divertente rivisitazione del vecchio cliché del passaggio segreto; o ancora come L'ospite inatteso (1958), considerato una delle sue opere più riuscite grazie al dialogo teso ed efficace e all'intrigo lineare. Con operazione inversa rispetto a quanto era solita fare la Christie stessa, dai tre testi teatrali il critico letterario Charles Osborne - profondo conoscitore dell'opera della Christie oltre che interprete di Caffè nero in giovane età - ha tratto questi tre romanzi nei quali brilla tutta l'inventività narrativa e verbale della grande giallista.
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Informazioni
Print ISBN
9788804618935eBook ISBN
9788852026256La tela del ragno
Caffè nero
1
Hercule Poirot stava facendo colazione nel suo piccolo ma confortevole appartamento di Whitehall Mansions, un elegante condominio di Mayfair, il quartiere più esclusivo di Londra. Aveva già preso una tazza di cioccolata calda con brioche e, in via eccezionale, aveva per una volta infranto l’immutabile routine delle sue abitudini chiedendo al suo cameriere George di portargliene un’altra.
Mentre aspettava, Poirot diede un’occhiata alla posta del mattino disposta sul tavolo della colazione.
Con il consueto senso dell’ordine, aveva sistemato le buste che aveva aperto con cura con il tagliacarte a forma di stiletto – dono del suo amico Hastings in occasione di un compleanno di molti anni prima – in una pila ordinata. In una seconda pila erano collocate le comunicazioni che Poirot non aveva trovato di alcun interesse – le solite pubblicità – e che George avrebbe poi destinato al cestino della carta straccia. La terza era dedicata a quelle lettere che richiedevano una risposta educata e piuttosto vaga. Poirot se ne sarebbe occupato dopo colazione, ma non prima delle dieci, perché non considerava professionale cominciare a lavorare prima di quell’ora. Quando indagava su un caso importante, ah, bien, naturalmente era molto diverso. Una volta lui e Hastings si erano alzati prima dell’alba per…
No, non voleva ripensare al passato, a quel passato felice. Dopo avere risolto il caso dei quattro criminali internazionali, Hastings era ritornato dalla moglie nel suo ranch in Argentina e, anche se adesso era di nuovo a Londra per affari, era piuttosto improbabile che lui e Poirot si ritrovassero a lavorare insieme per sciogliere un nuovo mistero.
Forse era per quel motivo che Hercule Poirot si sentiva irrequieto, nella bella mattina di primavera del maggio 1934. Pur essendo ufficialmente a riposo, Poirot si era spesso rimesso al lavoro per indagare sui misteri particolarmente interessanti che venivano sottoposti alla sua attenzione. Era stato meravigliosamente eccitante essere di nuovo sulle tracce di qualche criminale, e Hastings aveva accettato di buon grado il ruolo di cassa di risonanza per le sue brillanti teorie. In ogni caso erano mesi che l’interesse professionale di Poirot non veniva solleticato da un caso. Dove erano finiti gli assassini astuti e fantasiosi di un tempo? Ormai intorno a lui non c’erano che violenza e stolida brutalità, sordidi delitti a scopo di rapina che non considerava confacenti alla sua dignità di investigatore.
Per fortuna il silenzioso George comparve a consolarlo con la seconda tazza di cioccolata, il cui dolce gusto avrebbe fatto dimenticare a Poirot per un istante che quella giornata di sole gli prospettava soltanto una passeggiata igienica nel parco e un pranzo solitario, nel suo ristorante preferito a Soho. Già, il pranzo. Avrebbe cominciato con del pâté, poi avrebbe preso una sole bonne femme, poi…
In quel momento si accorse che George gli stava parlando. L’impeccabile e imperturbabile George, un perfetto cameriere britannico dal volto di pietra, era con Poirot da qualche tempo ormai e incarnava per lui il servitore ideale. Completamente privo di curiosità e singolarmente riluttante a esprimere un’opinione personale su qualsiasi argomento, George era ancora più fanaticamente meticoloso del suo celebre padrone e rappresentava inoltre un’utile miniera di informazioni sull’aristocrazia britannica. Poirot gli aveva spesso rimproverato la sua mancanza di immaginazione. Ma quest’ultima era una qualità che il grande detective possedeva già in abbondanza, mentre l’abilità del cameriere nello stirare i pantaloni era per lui una dote molto più rara e preziosa. Sì, era stato molto fortunato ad assumerlo.
«… mi sono così preso la libertà, signore, di promettergli che stamattina lei gli avrebbe telefonato» stava dicendo George.
«Le chiedo scusa, mon cher George. La mia mente era altrove. Sta dicendo che qualcuno ha telefonato?»
«Sì, signore, ieri sera, mentre era fuori a teatro con la signora Oliver. Sono andato a letto presto e non ho ritenuto necessario lasciarle un messaggio. Era troppo tardi perché potesse richiamare.»
«Chi mi ha cercato?»
«Un gentiluomo di nome Sir Claud Amory, signore. Mi ha lasciato il suo numero di telefono e dal prefisso mi sembrerebbe possibile supporre che abiti da qualche parte nel Surrey. Ha detto che si trattava di una questione delicata e le suggerisce, quando lo richiamerà, di non dire il suo nome ma di chiedere personalmente di Sir Claud.»
«Grazie, George. Lasci il numero di telefono sulla mia scrivania. Chiamerò Sir Claud dopo aver dato un’occhiata al “Times”. È un po’ troppo presto per telefonare, anche se si tratta di una questione delicata.»
George si inchinò e si allontanò, mentre Poirot sorbiva lentamente la sua cioccolata calda e usciva poi sul balcone a leggere il giornale.
Dopo pochi minuti, il «Times» giaceva abbandonato. Le notizie di politica estera erano, come al solito, deprimenti. Il diabolico Hitler aveva trasformato i tribunali tedeschi in una succursale del Partito Nazionalsocialista, in Bulgaria i fascisti avevano preso il potere, ma soprattutto in Belgio, l’amatissimo paese di Poirot, quarantadue minatori erano dispersi dopo un’esplosione di grisou in una miniera presso Mons. Le notizie dall’interno non erano migliori. Nonostante i legittimi dubbi degli organizzatori, le tenniste avevano ottenuto il permesso di portare i calzoncini corti anche a Wimbledon. Per non parlare dei necrologi, che sembravano sempre meno confortanti, dal momento che un gran numero di coetanei di Poirot parevano ostinarsi a morire, negli ultimi tempi. Abbandonò sconfortato il giornale e si sistemò meglio sulla comoda poltrona di vimini, con i piedi su uno sgabellino di fronte a sé.
Sir Claud Amory. Gli pareva di avere già sentito quel nome da qualche parte. Sì, doveva essere una persona nota. Ma in quale campo? Un politico? Un avvocato? Un funzionario governativo? Sir Claud Amory. Amory…
Il balcone era esposto al sole del mattino, e Poirot non amava crogiolarsi al sole. Presto sarebbe diventato troppo caldo per lui.
“Fra un momento mi alzerò e andrò a consultare il Who’s Who. Se questo Amory è una personalità di una qualche rinomanza sarà sicuramente incluso in quell’ammirevole volume. Altrimenti…”
Il piccolo detective scosse significativamente le spalle. Essendo uno snob inveterato, era già stato ben disposto dal titolo di baronetto di cui Amory si fregiava. Se il suo nome si trovava sul Who’s Who, come del resto quello di Hercule Poirot, allora Sir Claud poteva essere degno del suo tempo e della sua attenzione.
Una repentina curiosità unita a un’improvvisa corrente d’aria fredda lo spinsero a ritirarsi nello studio. Andò allo scaffale dei libri di consultazione e prese un voluminoso tomo rosso il cui titolo era scritto a caratteri d’oro. Ben presto trovò la voce desiderata.
Amory, Sir Claud Herbert. Baronetto dal 1927. Nato il 24 novembre 1878. Sposato nel 1907 a Helen Graham, morta nel 1929. Un unico figlio, Richard. Studi: Weymouth Grammar School e King’s College a Londra. Dal 1905 fisico ricercatore presso i laboratori del GEC. Poi, dal 1916, al RAE di Farnborough, nel dipartimento di radiofonia, e dal 1921 presso i laboratori del ministero dell’Aviazione a Swanage. Nel 1924, per avere dimostrato un nuovo principio sull’accelerazione delle particelle, l’accelerazione lineare di onde generate da oscillatori a radiofrequenza, ha ricevuto il Premio Monroe della Reale Società di Fisica. Ha pubblicato diversi articoli su riviste scientifiche. Residenza: Abbot’s Cleve, Market Cleve, Surrey. Telefono: Market Cleve 314. Club: Athenaeum.
“Mais oui,” disse Poirot tra sé “il celebre scienziato.”
Si era ricordato di una conversazione che aveva avuto mesi prima con un membro del governo, dopo che aveva ritrovato un documento scomparso il cui contenuto, se pubblicato, avrebbe creato grave imbarazzo alle autorità del Regno.
Avevano parlato a lungo di sicurezza, e l’uomo politico aveva ammesso che le misure adottate non erano in genere sufficienti. «Per esempio» aveva spiegato a Poirot «le nuove scoperte di Sir Claud Amory avrebbero un’enorme importanza in una guerra futura...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Prefazione di Mathew Prichard
- La tela del ragno
- «Il teatro di Agatha Christie» di Charles Osborne
- Copyright