Il freddo si allontanò, riluttante, dalla terra, e le nebbie in ritirata rivelarono un esercito accampato sulle colline, in riposo. Mentre il paesaggio mutava dal bruno al verde, l’esercito si svegliò, e cominciò ad agitarsi, ascoltando con avidità le voci che correvano. Teneva d’occhio le strade, che si trasformavano da lunghi solchi di fango liquido in vere carrozzabili. Un fiume, color dell’oro nell’ombra delle rive, scorreva ai piedi dell’esercito; e di notte, quando l’acqua era diventata d’un nero doloroso, si vedevano brillare sull’altra sponda i fuochi del nemico, come occhi rossi sotto le basse sopracciglia delle colline lontane.
Una volta un soldato alto raccolse tutto il suo coraggio e marciò con decisione a lavarsi la camicia. Tornò di corsa dal ruscello, agitando l’indumento come una bandiera. Non poteva tenersi dentro la storia che aveva ascoltato da un amico fidato, che l’aveva ascoltata da un cavalleggero credibile, che l’aveva sentita da suo fratello, sincero pure lui, e una delle ordinanze al quartier generale della divisione. Si dava le arie di un araldo in livrea d’oro e scarlatto.
«Domani ci muoviamo, è sicuro» annunciò pomposamente a un gruppo radunato presso gli alloggi della compagnia. «Risaliamo il fiume, lo guadiamo, e li attacchiamo alle spalle.»
Davanti all’uditorio interessato, tracciò ad alta voce il piano completo d’una brillante campagna. Quando ebbe finito gli uomini in blu si allontanarono, dividendosi in piccoli gruppi e continuando a discutere tra le file delle basse baracche di legno. Un conducente negro che ballava su una cassa di gallette, rumorosamente incoraggiato da una quarantina di soldati, si trovò abbandonato. Non gli restò che sedersi, rattristato. Il fumo saliva pigramente da una moltitudine di bizzarri camini.
«È una bugia! Ecco cos’è: una bella bugia!» disse un altro soldato, parlando forte. Era rasato di fresco, e rosso in viso, le mani cacciate con malumore nelle tasche dei pantaloni. L’aveva presa come un’offesa personale. «Non ci credo che ’sto cazzo di esercito si muoverà più. Siamo piantati qui. Mi sono preparato a partire otto volte nelle ultime due settimane, e mica ci siamo ancora mossi.»
Il soldato alto si sentì in obbligo di difendere la verità di una voce che proprio lui aveva messo in giro. Lui e quello che parlava forte per poco non facevano a pugni.
Un caporale cominciò a bestemmiare davanti a tutti. Aveva appena messo un pavimento d’assi in casa sua, e gli era costato parecchio, disse. All’inizio della primavera aveva evitato di investire troppo in comodità domestiche, perché pensava che l’esercito avrebbe ricevuto l’ordine di marciare da un momento all’altro. Ma da un po’ di tempo s’era convinto che quello era una specie di acquartieramento perpetuo.
Molti degli uomini discutevano con passione. Uno descrisse con insolita chiarezza tutti i piani del comandante in capo; ma trovò l’opposizione di altri, secondo i quali i piani di campagna erano del tutto diversi. Litigarono, e più d’uno tentava, senza successo, di guadagnare il consenso popolare. Nel frattempo, il soldato che s’era procurato la notizia si dava adeguata importanza. Lo perseguitavano continuamente di domande.
«Cosa succede, Jim?»
«Ci muoviamo, ecco cosa succede.»
«Ah, cosa dici! Come fai a saperlo?»
«Be’, puoi pure non crederci. Frega un cazzo, a me.»
Le sue risposte davano da pensare. Era sul punto di convincerli, e proprio perché non si degnava di fornire le prove. L’eccitazione cresceva.
C’era un giovane soldato semplice che ascoltava avidamente le parole del soldato alto e i diversi commenti dei suoi camerati. Quando ebbe fatto il pieno di discussioni su marce e attacchi, andò alla sua baracca e strisciò attraverso un buco che serviva da porta. Voleva restare solo con certi pensieri che da poco gli erano venuti in mente.
Si sdraiò sulla branda, messa di traverso in fondo alla stanza. Dall’altro lato, casse di gallette servivano da mobilia. Stavano raggruppate vicino al fuoco. Una figura ritagliata da un settimanale illustrato era attaccata alla parete di tronchi, e tre fucili pendevano paralleli dai ganci. Articoli d’equipaggiamento erano appesi alle sporgenze, a portata di mano, e piatti di latta giacevano su una pila di legna da ardere. Una tenda piegata serviva da tetto. La luce del sole, fuori, batteva sulla tenda, e la colorava di giallo. Una piccola finestra proiettava un trapezio di luce più bianca sul pavimento ingombro. Il fumo del fuoco, di tanto in tanto, trascurava il camino e serpeggiava nella stanza, e questo camino fabbricato alla bell’e meglio con argilla e rami minacciava perennemente di incendiare l’intera abitazione.
Il ragazzo era in preda allo stupore. Così, alla fine stavano per combattere. Domani, forse, avrebbero avuto la battaglia, e lui ci sarebbe stato. Per un po’ dovette faticare per costringersi a crederci. Non poteva accettare con sicurezza l’avvertimento che fra poco avrebbe preso parte a una delle grandi faccende di questo mondo.
Naturalmente, aveva sognato battaglie per tutta la vita: scontri vaghi, ma sanguinosi, che lo avevano fatto fremere col loro impeto e il loro fuoco. Nelle sue visioni, s’era già raffigurato in molti combattimenti. Aveva immaginato popoli sicuri nell’ombra del suo eroismo d’aquila. Ma da sveglio considerava le battaglie nient’altro che macchie rosse sulle pagine del passato. Cose dei vecchi tempi, come le corone e i castelli. C’era un pezzo della storia del mondo che per lui era l’epoca delle guerre, ma credeva che se ne fosse andato da un pezzo oltre l’orizzonte, sparito per sempre.
Da casa, i suoi occhi di adolescente avevano guardato con diffidenza alla guerra nel suo paese. Non poteva essere una cosa seria. Aveva perduto da un pezzo la speranza di assistere a una battaglia degna dei Greci. Come quelle non se ne faranno più, aveva detto. Gli uomini erano migliori, o più pavidi. L’istruzione e la religione avevano cancellato l’istinto di prendersi alla gola, e poi i soldi contavano troppo, non c’era più spazio per le passioni.
Parecchie volte gli era venuta voglia di arruolarsi. Dappertutto si sentivano raccontare grandi imprese. Magari non risultavano propriamente omeriche, ma procuravano comunque molta gloria. Aveva letto di marce, assedi, scontri, e aveva desiderato vederli. La sua fantasia era indaffarata a dipingere quadri grandiosi, dai colori stravaganti, e pieni di gesta sensazionali, da togliere il fiato.
Ma sua madre lo aveva scoraggiato. Pareva anzi nutrire un certo disprezzo per la qualità del suo ardore guerresco e del suo patriottismo. Era capace di mettersi tranquillamente seduta ed elencare senza apparente difficoltà molte centinaia di ragioni per cui lui era infinitamente più utile alla fattoria che sul campo di battaglia. E il ragazzo capiva, dal suo modo di parlare, che le sue affermazioni a questo proposito erano radicate in una profonda convinzione. Per di più, sentiva che in quella discussione sua madre aveva motivazioni morali inattaccabili.
Alla fine, tuttavia, s’era ribellato contro questa luce fredda, che illividiva i colori delle sue ambizioni. I giornali, le chiacchiere del villaggio, le sue fantasie, lo avevano eccitato fino a perdere il controllo. Era proprio vero, combattevano mica male, laggiù. Quasi ogni giorno la stampa pubblicava il resoconto di una vittoria decisiva.
Una notte, mentre se ne stava a letto, il vento gli aveva portato i rintocchi della campana della chiesa: qualche entusiasta s’era attaccato freneticamente alla corda, per comunicare la notizia distorta d’una grande battaglia. Questa voce, la voce del popolo che si rallegrava nella notte, lo aveva fatto rabbrividire per l’eccitazione, in una prolungata estasi. Più tardi, era sceso in camera di sua madre e aveva parlato così:
«Ma’, io mi arruolo.»
«Henry, non fare lo scemo» aveva risposto sua madre. Poi s’era tirata la coperta sulla faccia. Per quella notte, la faccenda era finita lì.
Tuttavia, al mattino era andato nella città più vicina e si era arruolato in una compagnia che si stava formando laggiù. Quando era tornato alla fattoria, sua madre stava mungendo la vacca pezzata. Altre quattro aspettavano il loro turno. «Ma’, io mi sono arruolato» aveva detto prudentemente. Seguì un breve silenzio. «Sia fatta la Sua volontà, Henry» rispose lei alla fine, e poi continuò a mungere la vacca pezzata.
Quando si era trovato sulla porta, con il vestito da soldato, l’eccitazione e l’attesa prevalevano quasi, nei suoi occhi, sul luccichio del rimpianto per quel che lasciava a casa; ma aveva visto due lacrime lasciare la loro traccia sulle guance scavate di sua madre.
Ma anche allora era riuscita a deluderlo; non aveva parlato affatto di ritornare con lo scudo o sopra di esso, o cose del genere. Lui s’era preparato la scena; aveva studiato certe frasi che, riteneva, avrebbero avuto un effetto toccante. Ma le parole di lei distrussero i suoi progetti. Se ne stava lì ostinata a pelare patate, e gli aveva detto quanto segue:
«Sta’ solo attento, Henry, e abbi cura di te lì alla guerra; sta’ attento, e abbi cura di te. Non metterti in testa che puoi far fuori tutto l’esercito ribelle appena arrivi, perché non puoi. Sei solo un ragazzino in mezzo a un sacco di gente, e devi star zitto e fare quello che ti dicono. Io lo so come sei, Henry.
«Ti ho fatto otto paia di calzini, Henry, e ti ho messo dentro tutte le tue camicie migliori, perché voglio che il mio ragazzo stia comodo e al caldo come chiunque altro nell’esercito. Se si bucano, me li rimandi subito indietro, così li rammendo.
«E sta’ sempre attento alla compagnia che ti scegli. C’è un sacco di gente cattiva nell’esercito, Henry. È l’esercito che gli fa perdere la testa, e non c’è niente che gli piace tanto quanto portare un ragazzo sulla cattiva strada, uno che non è mai stato via di casa e ha sempre avuto una mamma dietro, e insegnargli a bere e a bestemmiare. Sta’ alla larga da quelli lì, Henry. Non fare niente che poi non avresti il coraggio di raccontarmi, Henry. Fa’ finta che io sono lì e ti vedo. Se non te ne dimentichi, magari ne verrai fuori bene.
«E ricordati anche di tuo padre, ragazzo, e ricordati che non ha mai bevuto una goccia di liquore in tutta la sua vita, e non bestemmiava, anzi, se poteva non giurava neanche.
«Non so cos’altro dirti, Henry, se non questo, di non tirarti mai indietro per causa mia, ragazzo. Se verrà mai il momento che dovrai farti ammazzare oppure fare qualche bassezza, be’, Henry, pensa solo a fare quello che è giusto, perché ci sono tante donne che devono farci i conti, di questi tempi, e il Signore si prenderà cura di noi tutte.
«Non dimenticarti i calzini e le camicie, ragazzo; e ti ho messo nel fagotto un barattolo di marmellata di more, perché so che ti piace tanto. Addio, Henry. Stai attento, e fa’ il bravo.»
Naturalmente era stato impaziente, mentre affrontava la prova di quel discorso. Non era proprio quel che s’era atteso, e l’aveva sopportato con aria irritata. Se ne andò provando un vago sollievo.
Eppure, guardando indietro dal cancello, aveva visto sua madre inginocchiata fra le bucce di patata. La sua faccia bruna, levata verso l’alto, era rigata di lacrime, e il suo corpo magro tremava. Chinò la testa e andò avanti, vergognandosi improvvisamente delle sue intenzioni.
Da casa era andato a scuola, per dire addio a tanti compagni. Si erano affollati intorno a lui con meraviglia e ammirazione. Aveva sentito l’abisso che li separava e s’era gonfiato di sereno orgoglio. Lui e qualcun altro che aveva indossato la divisa erano stati sopraffatti di privilegi per un intero pomeriggio, ed era stato delizioso. Potevano darsi delle arie.
Una certa ragazza dai capelli biondi aveva riso del suo spirito marziale, ma c’era un’altra ragazza, bruna, che lui aveva fissato fermamente, e gli era parsa seria e triste, vedendolo in divisa blu e bottoni d’ottone. Scendendo per il sentiero fra le due file di querce, s’era voltato e l’aveva vista alla finestra, che lo guardava partire. Vedendosi scoperta, aveva subito alzato gli occhi a guardare il cielo attraverso i rami degli alberi. Lui s’era accorto del rossore e della fretta con cui aveva cambiato posizione. Ci ripensava spesso.
Sulla strada per Washington il morale era salito ancora. Il reggimento era nutrito e coccolato a ogni stazione, tanto che il ragazzo s’era persuaso di essere un eroe. Pane e carni fredde, caffè, conserve e formaggio si sprecavano. Mentre le ragazze gli sorridevano, e uomini maturi gli battevano sulla spalla e si complimentavano, aveva sentito crescere dentro di sé la forza di compiere grandi imprese.
Dopo trasferimenti complicati, con parecchie soste, erano sopraggiunti mesi di monotona vita d’accampamento. Aveva creduto che la guerra vera fosse una serie di combattimenti mortali, con appena il tempo per mangiare e dormire; ma da quando il suo reggimento era giunto al campo l’esercito aveva fatto poco altro che starsene tranquillo e cercare di scaldarsi.
Così tornò un po’ per volta alla sua vecchia idea. Battaglie degne dei Greci non se ne facevano più. Gli uomini erano migliori, o più pavidi. L’istruzione e la religione avevano cancellato l’istinto di prendersi alla gola, e poi i soldi contavano troppo, non c’era più spazio per le passioni.
Aveva finito per considerarsi nient’altro che una parte di una grande rappresentazione blu. Il suo ruolo era di badare, per quel che poteva, alla sua comodità personale. Per passare il tempo, poteva girare i pollici e speculare sui pensieri che dovevano agitare la mente dei generali. E poi, si capisce, addestramento, e addestramento, e parate, e addestramento, e addestramento, e parate.
I soli nemici che avesse mai veduto erano certe sentinelle dall’altra parte del fiume. Era gente abbronzata e filosofica, che qualche volta, dopo averci pensato bene, sparava alle sentinelle blu. Rimproverati per questo, di solito si scusavano, e giuravano sui loro dèi che i fucili avevano sparato senza permesso. Il ragazzo, una notte che era di guardia, parlò attraverso la corrente con uno di loro. Era un uomo piuttosto malvestito, che sapeva sputare perfettamente fra una scarpa e l’altra e possedeva una gran quantità di calma, infantile sicurezza. Al ragazzo, personalmente, piaceva.
«Yank,» l’aveva informato l’altro «te sei proprio un gran bravo ragazzo.» Questa opinione, navigando fino a lui sull’aria tranquilla, gli aveva fatto p...