
- 196 pagine
- Italian
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Le cronache di Narnia - 7. L'ultima battaglia
Informazioni su questo libro
TERRA 1949 - NARNIA 2555 Il ciclo di Narnia è arrivato alla sua conclusione e tutti i personaggi dei sei romanzi precedenti vengono alla ribalta per salutare, dall'aquila Alidifuoco all'unicorno Diamante. Ma i veri eroi di questo "gran finale" sono Tirian, ultimo discendente dei re di Narnia, Jill ed Eustachio, che devono smascherare un assurdo impostore. Le forze del bene e del male si preparano alla battaglia decisiva, ma alla fine è al «cuore delle cose» che tutti dovranno guardare…
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Informazioni
Print ISBN
9788804599074eBook ISBN
9788852027031I NANI NON VOGLIONO
ESSERE IMBROGLIATI

Tirian pensava – o meglio, avrebbe pensato se ne avesse avuto il tempo – di essere ancora all’interno della stalla. In realtà si avviavano già tutti sul prato, sotto un magnifico cielo azzurro e con una leggera brezza primaverile che li carezzava dolcemente. Non lontano c’era un piccolo bosco fitto di alberi, con i rami carichi di frutti enormi e succulenti che facevano venire l’acquolina in bocca solo a guardarli. I grossi frutti rossi, gialli e dorati ricordavano l’autunno, ma siccome la temperatura era decisamente mite Tirian pensò che fosse giugno inoltrato. Decisero di raccoglierne qualcuno e tutti cercarono di scegliere i più belli e appetitosi; in effetti c’era solo l’imbarazzo della scelta. Al momento di prenderli uno di loro, intimorito dallo spettacolo meraviglioso, disse: — Non può essere vero… Forse non possiamo toccarli.
Peter li incoraggiò: — E va bene. So cosa pensiamo tutti in questo momento. Ma sono abbastanza sicuro che non ci sia alcun motivo di aver paura. Sento che siamo giunti in un luogo dove tutto è permesso.
— Avanti — disse Eustachio, e cominciarono a mangiare.
Volete sapere com’erano i frutti? Sfortunatamente è impossibile descriverne a parole il gusto e il sapore. Posso solo dire che, al confronto, la nostra mela più gustosa diventava insipida, l’arancia più succosa la più secca, la pera più morbida e matura pareva un pezzo di legno e la fragola più dolce leggermente asprigna. Inoltre, i frutti non avevano bucce né semi. Dopo averne mangiato uno, le cose più buone del nostro mondo potevano essere considerate alla stregua dell’olio di ricino. Ma neppure la più dettagliata e precisa delle descrizioni potrebbe rendere quel sapore unico e ineguagliabile: non vi resta che assaggiarli di persona!
Quando furono sazi, Eustachio disse a re Peter: — Non ci hai ancora detto come sei arrivato qui. Avevi cominciato a raccontare quando è venuto Tirian.
— In effetti non c’è molto da dire — rispose Peter. — Edmund e io vi aspettavamo sul binario e abbiamo visto arrivare il treno. Aveva preso la curva a velocità folle e per un attimo ho pensato che sarebbe deragliato; poi ho pensato che i nostri si trovavano sullo stesso treno, anche se Lucy non ne sapeva niente: un fatto molto divertente.
— I vostri, Re supremo? — chiese Tirian.
— Intendo i nostri genitori: miei, di Edmund e Lucy.
— E perché erano sul treno? — chiese Jill. — Vuoi dire che sanno tutto di Narnia?
— No, non hanno niente a che fare con Narnia, andavano semplicemente a Bristol. Io l’avevo saputo quella mattina, Edmund era sicuro che avessero preso lo stesso treno. — (Edmund apparteneva al genere di persone che sanno a menadito orari e tragitti ferroviari di tutto il mondo.)
— E poi che cosa è successo? — chiese Jill.
— Non è facile descriverlo, vero, Edmund? — disse il Re supremo.
— È così, infatti — rispose Edmund. — Non è stato come le altre volte, quando venivamo proiettati fuori dal nostro mondo grazie agli anelli magici. C’è stato un ruggito terribile e ho sentito che qualcosa mi colpiva, anche se non mi ha fatto male. Non mi sono spaventato. Anzi, ero più che altro eccitato. Oh, a proposito… questa sì che è una cosa veramente strana: nell’urto mi ero sbucciato un ginocchio, ma la ferita è scomparsa nel giro di pochi secondi e mi sono sentito subito meglio. E poi… eccoci qua.
— È stato più o meno lo stesso, per noi che eravamo sul treno — disse il signor Digory, pulendo le ultime gocce di frutta dalla barba dorata. — Polly e io ci siamo sentiti carichi di energia nuova. Voi giovani non potete capire, ma non ci sentiamo più come due poveri vecchietti.
— Siete giovani, altro che — esclamò Jill. — Perlomeno come noi.
— Un tempo lo siamo stati, cara — disse la signora Polly.
— E cos’è successo quando siete arrivati? — chiese Eustachio.
— Be’ — disse Peter — per un po’ non è successo niente (non saprei dire per quanto tempo). Poi, improvvisamente, la porta si è aperta…
— La porta? — chiese Tirian.
— Sì — rispose Peter. — La porta da cui siete entrato o siete sbucato voi. L’avete dimenticato?
— Ma dov’è?
— Guardate — indicò Peter.
Tirian si voltò e vide la cosa più strana e ridicola della sua vita. Pochi metri più in là, illuminata da un raggio di sole, c’era una porta con relativi infissi e nient’altro. Non c’erano pareti, tetto o pavimento, nessuna costruzione e niente che la tenesse in piedi. Si avvicinò, incuriosito, e gli altri lo seguirono per godere il suo stupore. Una volta di fronte alla porta Tirian le girò intorno con lo stesso risultato, perché anche dall’altra parte non c’era niente. Si trovavano in aperta campagna, in un mattino di primavera. La porta era piantata a terra come un albero cresciuto spontaneamente.
— Mio signore — disse Tirian al Re supremo — è una cosa davvero singolare.
— È la porta da cui siete entrati voi e il Calormeniano cinque minuti fa — precisò Peter, sorridendo.
— Ma io non sono entrato nella stalla? Questa porta sembra portare dal nulla al nulla.
— Può sembrare così se le girate intorno — disse Peter. — Ma provate ad avvicinarvi a quella fenditura e a guardarci attraverso.
Tirian si accostò e sbirciò dal buco della serratura. All’inizio non vide nulla perché dall’altra parte era troppo buio, poi, quando i suoi occhi si abituarono all’oscurità, cominciò a distinguere i particolari della scena. Si vedeva la luce cupa e rossastra di un fuoco che andava spegnendosi; era notte fonda e il cielo era un manto di stelle. Vide figure scure che si muovevano qua e là, altre che stavano in piedi tra lui e il fuoco. Poteva sentirne le voci e capì che erano guerrieri di Calormen. Solo allora si rese conto che era come guardar fuori della stalla, perché riconobbe il prato in cima alla collina dove aveva combattuto la sua ultima battaglia. I soldati discutevano sull’opportunità di entrare alla ricerca del capitano o appiccare il fuoco a tutto.

A quel punto Tirian si voltò e si guardò di nuovo intorno, ma non riusciva a credere ai suoi occhi. Sopra di lui c’era un cielo limpido e terso, intorno prati e colline che si stendevano a perdita d’occhio; gli amici erano lì vicino e sorridevano affettuosamente.
— Sembra che la stalla vista da fuori e quella vista “da dentro” siano due cose diverse — disse Tirian, sentendosi alquanto sciocco.
— Sì — confermò lord Digory. — L’interno è molto più vasto dell’esterno.
— Sì — ripeté la regina Lucy. — Una volta anche nel nostro mondo ci fu una stalla che ospitava qualcosa di molto, molto più grande di tutti noi. — Era la prima volta che Lucy interveniva nel discorso e dalla sua voce emozionata Tirian comprese che si trattava di un argomento importantissimo. Fino a quel momento Lucy era rimasta in silenzio, ad ascoltare con interesse, così felice da non trovare la forza di parlare. Ma Tirian voleva sentire ancora la sua voce pacata e melodiosa e disse: — Vi prego, signora, raccontatemi tutto.
— Dopo tanto frastuono — proseguì Lucy — ci siamo trovati qui e ci siamo chiesti che porta fosse quella, proprio come avete fatto voi. A un certo punto si è aperta (dall’altra parte c’era solo buio pesto) e ne è uscito un uomo grosso con la spada in mano. Da com’era vestito ci siamo subito resi conto che si trattava di un Calormeniano. Si è messo dietro la porta con la spada in pugno, pronto a mozzare la testa a chiunque avesse varcato la soglia. Noi gli siamo andati vicino e gli abbiamo parlato, ma ci siamo accorti che non poteva vederci né sentirci. Molto probabilmente, non era in grado di vedere nemmeno i prati e il cielo azzurro che aveva intorno. Dunque non ci rimaneva che portare pazienza e aspettare. A un certo punto abbiamo sentito scattare la maniglia; prima di sferrare il colpo, l’uomo nascosto ha aspettato di vedere di chi si trattasse. Questo ci ha fatto pensare che avesse ricevuto l’ordine di uccidere qualcuno e risparmiare qualcun altro. Proprio nel momento in cui la porta si è aperta, è comparso da chissà dove Tash in persona. Intanto un grosso gatto è entrato nella stalla: appena ha visto Tash è schizzato via come una furia. Giusto in tempo, perché il beccaccio di Tash stava per afferrarlo. Anche il guerriero ha visto il dio: è impallidito e si è inchinato in adorazione, ma il mostro è scomparso nel nulla. Di nuovo abbiamo aspettato un certo tempo e la porta si è aperta per la terza volta. È entrato un giovane calormeniano, un bellissimo ragazzo dall’aspetto gentile. Quando la sentinella lo ha visto, è rimasta di sasso: evidentemente si aspettava di veder entrare qualcun altro…
— Adesso capisco tutto! — esclamò Eustachio (che aveva la cattiva abitudine di interrompere una persona mentre parlava). — Il primo a entrare è stato il gatto, a cui la sentinella deve aver avuto l’ordine di non fare del male. Secondo i piani il gatto sarebbe dovuto uscire subito, per raccontare agli altri animali l’incontro spaventoso con Tashlan e terrorizzarli. Ma Cambio non aveva calcolato l’effettiva apparizione di Tash e non si è accorto che il Rosso non fingeva, quando è schizzato via in preda al panico. A quel punto, con la scusa di Tashlan, Cambio avrebbe potuto sbarazzarsi di chiunque, pensando che la sentinella avrebbe ucciso tutti coloro che osavano entrare nella stalla. Invece…
— Amico mio — intervenne educatamente Tirian — non interrompere una signora quando parla.
— Dunque — riprese Lucy — la sentinella è rimasta disorientata per un attimo. Questo ha permesso al giovane di sguainare la spada e difendersi: hanno combattuto per qualche minuto e alla fine il giovane è riuscito a uccidere l’altro, scaraventandolo con tutte le forze fuori della stalla. Noi abbiamo cercato di parlargli, ma il giovane si muoveva come in stato di trance. Continuava a ripetere: «Tash, Tash, dov’è Tash? Voglio andare da Tash.» Ci siamo resi conto che era inutile tentare di distoglierlo dal suo proposito, così lo abbiamo lasciato andare in quella direzione. Peccato, lo avrei conosciuto tanto volentieri. Subito dopo… oh, è orribile — Lucy fece una smorfia di disgusto.
— Subito dopo — continuò Edmund — qualcuno ha gettato nella stalla una grossa scimmia. Tash è comparso di nuovo; mia sorella ha l’animo troppo sensibile per dirvi che ha divorato la scimmia in un boccone.
— Ben le sta — disse Eustachio. — E speriamo che gli sia andata di traverso.
— Poi è toccato a una decina di nani — proseguì Lucy. — Quindi è stata la volta di Jill ed Eustachio; per ultimo siete arrivato voi.
— Spero che Tash abbia divorato anche i nani — commentò Eustachio con rabbia. — Sporchi traditori.
— Non li ha divorati affatto — ribatté Lucy. — E tu non parlare in questo modo, non essere troppo vendicativo. Tra parentesi, sono ancora qui; ho cercato di fare amicizia con loro, ma è stato uno sforzo inutile.
— Amicizia con quelli — gridò Eustachio. — Forse non sapete cosa hanno combinato.
— Basta, Eustachio — si innervosì Lucy. — Venite tutti: voi, re Tirian, forse potrete fare qualcosa per loro.
— Veramente, in questo momento non nutro un grande affetto per i nani — disse Tirian. — Ma se me lo chiedete, lo farò volentieri.
Lucy fece strada e arrivarono dove si trovavano gli undici nani di Narnia. A guardarli sembravano un po’ strani, non si capiva perché stessero immobili e imbambolati, seduti in cerchio a fissarsi negli occhi. Nessuno si muoveva, anche se le corde che li avevano tenuti legati sembravano scomparse. Non si voltarono nemmeno quando Lucy e Tirian furono così vicini da poterli toccare. Dopo un attimo li videro sollevare la testa, forse perché avevano sentito dei rumori e volevano sapere di cosa si trattasse, ma sembrava che non ci vedessero affatto.
— Sta’ attento — disse uno di loro. — Sta’ attento a dove metti i piedi, altrimenti rischi di venirci addosso.
— Va bene — si arrabbiò Eustachio. — Guarda che ce li abbiamo gli occhi, non siamo mica ciechi.
— Devono essere occhi magici, se riesci a vedere qua dentro — disse il nano che si chiamava Digolo.
— Dentro dove? — chiese Edmund.
— Come sarebbe, testa di legno? In questa maledetta, puzzolente stalla buia — esclamò Digolo.
— Siete diventati orbi? — fece Tirian.
— E cos’altro dovremmo essere, in questo buio pesto? — sbottò Digolo.
— Non è affatto buio, poveri, stupidi nani — disse Lucy. — Possibile che non riusciate a vedere il cielo, gli alberi e i fiori? Non vedete neppure me?
— Dannazione, come faccio a vedere tutte quelle cose? Con che coraggio dici di vedermi, se qui dentro è buio come la pece?
— Ti assicuro che ti vedo — ribatté Lucy. — E te lo posso provare. Stai fumando una pipa.
— Chiunque lo può dedurre dall’odore di tabacco — rispose Digolo.
— Poveretti — esclamò Lucy. — Che cosa terribile. — Poi le venne un’idea: si chinò e raccolse qualche viola selvatica. — Senti qui, nano. Anche se cieco, sarai in grado di sentire i profumi: annusa questa delizia. — Fece per avvicinare il ciuffo di fiorellini profumati al nasone di Digolo, ma per poco non si prese ...
Indice dei contenuti
- Copertina
- L'ultima battaglia
- Il laghetto Calderone
- L’imprudenza del re
- Gloria allo scimmione
- Cosa accadde quella notte
- Qualcuno giunge in aiuto del re
- Una notte di duro lavoro
- I nani
- I messaggi dell’aquila
- Tutti alla Collina della Stalla
- Chi entrerà nella stalla?
- Guerra!
- Oltre quella porta
- I nani non vogliono essere imbrogliati
- La notte scende su Narnia
- Il cuore delle cose
- L’addio alla Terra delle ombre
- Copyright