Le più strepitose cadute della mia vita
eBook - ePub

Le più strepitose cadute della mia vita

  1. 300 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Le più strepitose cadute della mia vita

Informazioni su questo libro

Antonio Flünke ha trent'anni, un talento educato nelle migliori accademie di musica internazionali, una madre squinternata che vive in Romagna, un padre tedesco sensibile e depresso, e un problema. Un problema che nessun medico è riuscito a risolvere: Antonio cade, senza preavviso, nelle situazioni più imprevedibili e meno sensate, perde l'equilibrio e cade, travolto da un'irrefrenabile risata poco liberatoria. Siamo a Milano, è la fine degli anni Novanta e, mentre attraversa la città che ha imparato ad amare, Antonio trova conforto pensando a D'Alema - un uomo coraggioso che grazie alla Bicamerale ridarà linfa democratica alla giovane Seconda Repubblica - e dedicandosi alla grande sfida che il suo manager gli ha proposto: utilizzare il suo talento canoro per fondare una boy band, la risposta italiana ai Take That, anzi, la risposta milanese ai Ragazzi Italiani che stanno per esibirsi a Sanremo...
Una folla di personaggi memorabili incrocia il cammino (e le cadute) del protagonista, da Alessio detto Bello alla seducente psicanalista dottoressa Limone, dal vecchio signor Sanpa, partigiano e repubblichino, a tanti grandi della Storia che - fotografati in "intermezzi" che sono pagine di surreale, struggente intensità - hanno avuto la ventura di cadere, come Antonio, pubblicamente: Margaret Thatcher durante la visita di Stato in Cina, papa Wojtyla solo di fronte a un pavimento sdrucciolevole, Enrico Berlinguer... In una Milano non più da bere, assediata da designer e stilisti, sette di guardoni virtuali, "calabresi al confino e friulani in cerca di gloria allo IED", Antonio è sorretto da un'unica certezza: se Massimo D'Alema ce l'ha fatta a formare la Bicamerale, allora lui può riuscire a salire sul palco senza cadere...
In questo esordio narrativo originalissimo, profondamente italiano ma venato di un'ironia rara alle nostre latitudini, Michele Dalai scrive una trionfale storia di insuccesso, l'epica contemporanea e veloce di un personaggio capace, nella sua mitezza, di catalizzare menzogne e verità, violenza e speranze insieme. Una sorta di viaggio in cui ci sentiamo incredibilmente vicini all'eroe, alle sue cadute, alla sua inconfessata, assoluta fiducia in un equilibrio possibile, in un futuro a misura dei nostri incerti passi. Perché se "siamo tutti al di sotto delle aspettative, allora sono le aspettative a sbagliare".

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Le più strepitose cadute della mia vita di Michele Dalai in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
Print ISBN
9788804620365
eBook ISBN
9788852025136

Atlantic City, giugno 1988
La camera d’albergo è grande quanto una piazza d’armi ed è fredda quanto una piazza d’armi. Non ci sono personalizzazioni, nessun messaggio di benvenuto e nemmeno un cesto di frutta sul comodino, quello che non si nega neppure ai clienti di una notte sola. Ogni cosa lo aiuta a ricordare che si tratta solo di un passaggio, che forse lui non è lì e che quel limbo durerà lo spazio di una ripresa o di un pugno solo, il tempo di mettere il culo su un ascensore ultraveloce, attraversare il backstage dell’arena e infilarsi in uno dei camerini, poi aspettare la chiamata e passare in mezzo alla folla che attende la sua ascesa al patibolo. Sia quel che deve essere. Tutto questo per la cifra di tredici milioni di dollari, la borsa più ricca di una vita intera ottenuta giusto un attimo prima del gong di fine carriera. Michael Spinks guarda nello specchio smisurato della sua suite e vede un uomo alto in accappatoio e mutandoni bianchi, la faccia distesa di chi sa di aver fatto tutto quanto era in suo potere per presentarsi bene all’appuntamento con la Bestia. Hanno scritto e scrivono che affronta questa serata con la voglia di uno che pensa solo alla cassa e non alla gloria, scrivono e dicono tante cose ma di lui sanno poco. La Bestia parla e mangia il terreno, la Bestia si riempie la bocca di parole come “ossa”, “sangue”, “distruggere”, “rompere”, “picchiare”. Il pugilato non è una scienza esatta, ma di sorprese ne fa ben poche, nessuna a chi lo conosce. Se tutti ti avvertono di stare attento a non farti male e nessuno lo ricorda all’altro, c’è qualcosa che non va. Il pugile in mutandoni bianchi saltella davanti allo specchio e ripete a memoria i numeri. Novantatré vittorie da dilettante, una medaglia d’oro alle Olimpiadi di Montréal, trentun vittorie da professionista di cui ventuno per ko, cinque titoli mondiali in due categorie diverse. Michael Spinks declama più volte l’impressionante sequenza e non cede il passo alla paura. La Bestia divora il vuoto dove trova vuoto, ma lui è ancora aggrappato alla vetta del Monte Olimpo e non lascia spazio. Butch Lewis bussa alla porta per la millesima volta in un’ora, vuole sapere se va tutto bene e se il suo ragazzo se la sente. Butch è un bravo cristo, ha dimostrato coraggio ed è riuscito a tenere testa a Don King, il criminale tutto genio, capelli e lacca. Quei due hanno messo insieme il capolavoro di un montepremi enorme, e dopo anni di mezze tacche lente e inguardabili hanno restituito il salotto buono ai pesi massimi, quelli veri. Non è stata una contrattazione lunga perché sia Butch sia il pugile in mutandoni bianchi sanno molto bene di non essere la vera attrazione della serata. Tutti hanno pagato il biglietto per vedere la Bestia far scempio delle carni di Spinks, e lui e il suo manager sono pure disposti a farglielo credere fino al momento del primo gong. L’unica condizione posta dall’entourage della Bestia è stata infatti quella faccia afflitta e preoccupata che lui, il Campione in carica, ha dovuto mostrare pubblicamente fin dal giorno in cui è stato annunciato il match. Conferenza stampa? Faccia preoccupata. Intervista televisiva? Faccia preoccupata. Presentazione dell’incontro e pesa dei pugili? Faccia preoccupata, e, se possibile, anche un po’ di contrizione preventiva per la sconfitta. Tredici milioni per dodici riprese fa più di un milione a ripresa e non ci vuole Butch per ricordarglielo, quindi il pugile in mutandoni bianchi non ha fatto altro che eseguire alla lettera. Una faccia preoccupata del genere non l’avevano ancora vista, da quelle parti.
Sempre quelli che stanno con la Bestia gli hanno detto che è necessaria grande cautela, che ci vuole la consapevolezza che a farsi picchiare da uno così ci si può fare male, molto male. Michael Spinks è “The Undisputed Champion of the World”, così ha deciso di chiamarlo il suo manager... può uno con un titolo del genere aver paura di farsi male? Tre anni prima è salito di categoria, poche libbre in più che comunque non guastano sul suo fisico longilineo e asciutto. Elegante, bello da vedere, velenoso e originale. Talentuoso. I giornalisti di “Ring Magazine” impazziscono per quei pugni che piovono all’improvviso da un altro pianeta, che partono dagli angoli più strani e tolgono il respiro, spengono la luce. È salito di categoria per prendere borse sempre più ricche, tanto non c’era più nulla da dimostrare. Il primo incontro per il titolo dei massimi glielo hanno organizzato contro il vecchio Holmes. Com’è finita lo sanno tutti, quindici riprese e Spinks vince, verdetto unanime. Cosa è successo prima lo sanno in due, i soliti due. È andata così. Prima dell’incontro Butch gli porta un piccolo libro – non che il pugile in mutandoni bianchi legga molto, ma quella volta Butch gli raccomanda di farlo. Il primo racconto di quel libro prezioso si chiama Una bistecca, è la storia di un pugile vecchio e malandato, costretto a combattere per mangiare ma anche a combattere senza aver mangiato. Il tizio si chiama Tom King ed è ancora molto forte, ma le circostanze e la fame lo fanno perdere contro un giovane spietato, arrogante e molto fortunato. Il pugile in mutandoni bianchi legge e versa molte lacrime per quell’uomo pieno di rabbia, talento e rassegnazione. Butch gli chiede se ha capito quello che doveva capire, e lui risponde di sì. Holmes è un vecchio guerriero capace di ogni impresa, ha battuto una collezione di figurine, ha sconfitto un pantheon intero, Holmes merita pugni e rispetto. Grande rispetto.
Il pugile in mutandoni bianchi saltella per la stanza e si chiede se qualcuno abbia fatto la stessa cosa con la Bestia, se qualcuno gli abbia regalato un libro e gli abbia parlato di pietà, di compassione, di rispetto. Ci sono cose che impari appena sali su un ring. Impari che respirare con un paradenti è difficilissimo. Impari che non puoi toglierti i guantoni e picchiarti come fossi all’ortomercato. Impari che quasi tutti i pugni portano in dote un dolore sopportabile, e capisci che alcuni fanno davvero male. Impari a riconoscere il sapore del tuo sangue e a non aver paura del sangue dell’altro. Sono tutte cose che ogni girino di pugile impara appena entrato nello stagno, appena passate le corde e iniziato a saltellare. Il pugile in mutandoni bianchi ha sempre saputo che lui e l’avversario sono un solo corpo, muscoli mossi dallo stesso grande motore, ferite che guariranno insieme. Per questo quando colpisce forte non infierisce, e quando l’altro è al tappeto non esulta sguaiato ma si sposta e si appoggia alle corde, o torna all’angolo. Da quel tappeto si passa tutti, è solo questione di tempo e di modi ma ognuno trova il suo spazzino, ognuno mette la testa dove stanno le scarpe dell’altro e così sia, per tutti i secoli dei secoli. Michael Spinks sa bene che però queste sono cose che impari subito o mai più, informazioni che ricevi solo dalla luce del tuo primo ring, perché poi c’è solo buio. La Bestia non ha imparato nulla. Cercano di costruirgli un’immagine migliore, parlano della sua infanzia orrenda, dei suoi amati piccioni e di quell’anziano maestro dal cognome italiano che gli ha fatto da padre, parlano e costruiscono e inventano per ore ma la faccia tradisce, la faccia della Bestia vanifica ogni loro sforzo.
Gli occhi fissi e vuoti come quelli di uno squalo, i denti d’oro sempre in mostra, la tenuta da combattimento ridotta ai minimi termini perché nulla deve ostacolare la sua furia gelida. Niente calze, niente mostrine, niente accappatoio con un soprannome idiota stampato sopra. Alla Bestia non interessa la forma, va per la sostanza. Un uomo nero con indosso dei pantaloncini neri lucidi che scalpita come se ci fosse una corrida a cui partecipare, come se le cose si dovessero risolvere sempre di fretta e con il più spaventoso dei danni possibili inflitto all’avversario. Ne ha messi in terra a decine, pugni brutali e senza stile solo per chi non li capisce, guardia bassa perché spesso nemmeno serve. Butch si è procurato tutte quelle videocassette, e dopo la seconda il pugile in mutandoni bianchi ha spento il registratore e ha guardato negli occhi il suo manager, uno sguardo calmo e intenso.
«Ho capito» ha detto. Poi gli ha dato una pacca sulla spalla ed è tornato in palestra ad allenarsi. Non c’è nulla di misterioso nella Bestia, non può essere peggio di quel che sembra e sembra la cosa peggiore in assoluto. Può una farfalla battere un elefante? Ci sono cose che paiono impossibili e altre che lo sono. Michael Spinks sa di non essere una vittima sacrificale e non combatte per una bistecca, ma la natura è regolata da leggi ben precise e, se non fossero nel ventre di una Trump Arena qualsiasi, quelle leggi risulterebbero ancora più evidenti a tutti, perché sarebbe impossibile scappare, perché non ci sarebbe bisogno di una borsa, del pubblico e di tutte le cianfrusaglie di cui quell’incontro è stato ricoperto. La Bestia lo cercherebbe lo stesso, anche al buio. Vorrebbe comunque la sua corona, il titolo e la sua testa da appendere vicino a quella degli altri.
Butch entra senza bussare, è tempo di scendere. Lo staff riempie la camera di confusione, i fotografi cercano di immortalare una volta di più il suo muso lungo e preoccupato ma vengono respinti dal gruppo compatto che marcia verso gli ascensori, viene inghiottito dal vuoto per oltre trenta piani e si infila nel corridoio degli spogliatoi.
Nel camerino ci sono dei fiori, e se ci fosse un minibar potrebbe sembrare anche meglio della sua stanza. Una Bibbia in bella vista sulla panca dei massaggi, le solite foto in posa delle fan che offrono se stesse in premio, poca luce e nessun rumore.
Da fuori arriva l’eco attutita di urla e musica, dentro ci sono solo il pugile in mutandoni bianchi, Butch e l’allenatore abbracciati e stretti in un piccolo cerchio. Gli altri sono usciti, per le fasce e i massaggi c’è ancora tempo. Butch guida la preghiera a occhi chiusi. Michael Spinks adesso non indossa più solo i mutandoni, ha un paio di calze a righe bianche e blu e due ginocchiere color carne. Mentre la preghiera si arrampica sulle pareti nude della stanza, il pugile più talentuoso del mondo pensa a quanti minuti, ore e giorni ha passato a prendere e dare pugni. Fare bene la sola cosa che si sa fare è un obbligo, saper fare solo quella una prigione. Com’è fatto il mondo fuori dalla palestra? Chi sono i compagni di classe della sua bambina? Come si chiamano? Le hanno mai chiesto cosa fa il papà, perché ogni tanto viene a prenderla tutto tumefatto in volto e perché non c’è mai? Ogni prigione ha una porta d’accesso e un’uscita, non c’è bisogno di evadere, basta scontare la pena, anche se ha le fattezze mostruose e crudeli della Bestia.
Manca poco al suo momento, gli incontri di contorno si trascinano stancamente verso la fine, pugni senza nessuna importanza consumati tra i drink e gli schiamazzi di malavitosi e nuovi ricchi a bordo ring. La chiamano arena, sembra l’enorme sala d’attesa di un bordello. Celebrità che non salutano, celebrità che salutano e gente comune che si sbraccia a favore di telecamera. Hanno pagato cifre folli per quei biglietti, tutti vogliono esserci nell’attimo in cui la Bestia sferrerà il suo colpo più forte e metterà fine all’incontro del secolo. Ogni anno ha un incontro del secolo e ogni mese ha un incontro dell’anno, il tempo dell’epos si è compresso e c’è un altare per tutti. Nello spogliatoio di Michael Spinks si procede al ritmo lento e rassicurante delle parole dell’allenatore.
“Tienilo lontano, colpisci, usa l’allungo, colpisci, non farlo entrare, colpisci”, una cantilena ben studiata per indurre l’effetto desiderato, tanto che il pugile comincia a ballare sul posto, a piegarsi e rialzarsi mimando sequenze sempre più veloci.
Come si abbatte una colonna a mani nude? Può una stella marina affondare un transatlantico? Non può. Ma nel colpire c’è tutto il senso di quella lotta. Colpire perché si deve, perché è l’unico gesto conosciuto, perché è il destino di ogni pugile nato girino e arrivato all’ultimo giro di giostra.
«Qual è stato il momento più difficile della sua carriera, Mr Spinks?»
Glielo ha chiesto un giornalista gentile e divertente nell’intervista per il suo talk show notturno.
«L’incontro con Qawi» ha risposto lui senza esitazioni.
Bugia.
Sandy è morta nel gennaio 1983. Aveva ventiquattro anni, troppo pochi per tutto. Il pugile in mutandoni bianchi aveva ascoltato la notizia in silenzio. Non una lacrima, c’era la bambina a cui pensare. Si era tolto i guantoni e aveva preso la via di casa, sempre in silenzio. Aveva parlato con la polizia, ascoltato la dinamica dell’incidente stradale, risposto alla stampa, consolato i parenti, abbracciato gli amici. Aveva dormito con la bambina ed era tornato ad allenarsi. Tutti volevano l’incontro con Qawi, giornalisti e fan, tecnici e uomini della strada. Lui aveva ripreso a lavorare duro e si era messo in forma. Il momento più difficile della sua carriera era arrivato a pochi minuti dall’inizio del match, quando in uno spogliatoio molto più piccolo e freddo di questo sua figlia aveva rotto la tregua. Le domande dei bambini percorrono rotte impossibili e arrivano al centro esatto del dolore. «Ma almeno stasera mamma viene a vederti combattere?» Il muro costruito a fatica che si sbriciola, i primi otto round in apnea, poi la lenta risalita verso la luce. Non rispondere a quella domanda avrebbe fatto più male di mille pugni, rispondere anche. La Bestia non fa paura, la Bestia fa il suo lavoro perché solo quello conosce.
La sera del 27 giugno 1988 Michael Spinks entra nell’arena e raggiunge il ring, dietro di lui c’è il suo manager e amico Butch Lewis e su di loro gli occhi di quasi un miliardo di persone collegate da tutto il mondo. Il pugile in mutandoni bianchi è il cibo della Bestia, lo guardano come si guarda una cosa morta. La Bestia entra e il pavimento trema. Faccia a faccia, l’arbitro con i guanti in lattice e quel ciuffo brillantinato che sembra proprio una parrucca regge i guantoni. Spinks non ascolta, la Bestia non guarda. Spinks fa quello che deve fare, le sue calze a righe bianche e blu ballano per il ring e cercano di evitare la collisione, vola qualche pugno ma niente che non sappia di cose già sentite, subite e viste. Poi la Bestia rallenta e incrocia il suo sguardo. Si chiama Mike Tyson e solo allora il pugile in mutandoni bianchi legge tutto il dolore e tutta la consapevolezza che pensava di non trovare, che sperava di incontrare. Quello è il momento di prendere la porta. Il primo colpo di Tyson lo prende alla figura e gli piega le ginocchia. L’arbitro conta, Spinks si rialza e annuisce. La seconda volta è come volare, cadere nel vuoto, lasciarsi andare. Al novantunesimo secondo un destro al volto lo manda sotto le corde, non sembra nemmeno un pugno violento ma dentro c’è tutto quello che i due si dovevano dire, tutto quel che serve. Dicono che ha la faccia triste, dicono che lo ha fatto per la borsa, li sente gridare che quella caduta è una truffa. Cosa ne sanno loro di quanto sia difficile cadere e uscire in silenzio? Spinks cade, e mentre cade ricorda che deve restare impassibile. Da terra guarda il pugile giovane che lo ha battuto, lo vede esultare e rimettere la maschera della Bestia. Ma è solo questione di tempo, al tappeto ci vanno tutti.

19

Tutti i grandi hanno dei buoni maestri, io ho appena sognato la mia. Non era uno di quei sogni complessi fatti di scatole dentro ad altre scatole, ho solo sognato la sua faccia piccola e affilata, i capelli grigi tagliati alla maschietta e la voce stridula mentre recitava il proverbio che ha segnato il mio destino. Un tratto comune dei grandi uomini è la frequentazione infantile di profondi conoscitori del talento: ognuno di loro ha avuto insegnanti illuminati. Che sia alle prese con la sua autobiografia o con la più stupida intervista a un giornaletto di gossip, il grande della Storia menziona sempre un brav’uomo di provincia che, con umanità, metodo e pazienza, ha tracciato orizzonti di gloria di cui andavano solo uniti i puntini. Alcuni di quegli splendidi manipolatori hanno impartito lezioni sull’eguaglianza e la giustizia, altri sull’ambizione e l’importanza della prevaricazione. Questione di metodi e di ruoli da interpretare, il poliziotto buono e quello cattivo, il fratello che non hai mai avuto o il padre severo, ognuno ha il suo e l’importante è che il risultato finale sia conseguito in pieno: entrare nella Storia dalla porta di servizio, dall’ascensore per le consegne, entrare nella Storia citati da qualcuno che ce l’ha fatta e ha bisogno di mostrarsi riconoscente e di ricostruirsi un’infanzia vergine e felice. Tutti spendono nomi ripescati dai ricordi confusi e sfumati dei primi anni, tutti hanno avuto un pianificatore di grandezze future. Quelli che hanno avuto grandezze future, s’intende. Penso a quel distinto signore dell’Oxfordshire, instancabile bevitore di tè che, nonostante i polsini lisi della sua camicia, riuscì a farsi rispettare dal piccolo Winston Churchill e gli consigliò di diffidare dei tedeschi con i baffi. Vuoi che non sia esistito un corso che, dalla groppa del suo asino, abbia spiegato a Napoleone che il mignolo nell’orecchio gli avrebbe conferito un’allure di pensosa solennità? Possibile che non ci sia stato un saggio maestro di Sequals che, guardando il piccolo ma già enorme Carnera, non gli abbia detto: “Primo, è inutile girarci attorno, qui tocca imparare a picchiarsi”?
La mia maestra detestava il suo lavoro, e di conseguenza detestava tutti noi che eravamo il suo lavoro. Una piccola donna il cui nome è perso tra mille altri, o che forse non ho mai nemmeno imparato perché era solo la maestra dell’asilo. Marchigiana in terra di Romagna, considerava quei pochi chilometri una distanza culturale incolmabile e si sentiva continuamente discriminata, emarginata ma necessaria come ogni papa straniero. Odiava tutti e in particolare me, perché ero sorridente e bendisposto e questo non poteva che essere un affronto, o comunque un modo sprezzante di porre la questione della razza, io che ero figlio di un tedesco a sua volta probabilmente figlio di un altro tedesco e quindi, per una proprietà transitiva fondata sulle strisce di “Sturmtruppen” e sulla “Domenica del Corriere”, un piccolo ariano. La mia maestra prendeva con estrema serietà il suo ruolo, e con altrettanta solerzia aveva deciso che il suo compito era quello di privarci di qualsiasi sogno e illusione, lei doveva a tutti i costi anticipare i tempi delle scoperte amare e educarci alla desistenza, all’idea stessa del possibile f...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Le più strepitose cadute della mia vita
  3. Milano, Gennaio 1997
  4. Pechino, settembre 1982
  5. Austria, giugno 1975
  6. Atlantic City, giugno 1988
  7. Città del Vaticano, aprile 1994
  8. Sanremo, 18 febbraio 1997
  9. Padova, 7 giugno 1984
  10. Nota al testo
  11. Ringraziamenti
  12. Copyright