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Parigi, rue Saint Augustin
Casa dei Frédéric
30 maggio 1837
Madame,
non dovete angosciarvi per la sorte di Adèle. È qui con me, al sicuro. Nessuno le ha fatto del male, e vi prometto che nessuno gliene farà, né domani né mai. Voi mi conoscete e sapete che, nonostante la mia giovane età, sono perfettamente in grado non solo di prendermi cura del nostro tesoro, ma anche di proteggerlo da ogni pericolo. Vi scongiuro quindi di stare tranquilla e di pensare solo alla vostra salute e al modo di risolvere al più presto i vostri problemi.
Carissima madame, io spero che riuscirete quanto prima a leggere questa lettera. Non conosco il luogo dove vi hanno portato, ma Toussaint mi ha promesso che farà di tutto per scoprirlo. Fortunatamente siamo riusciti a parlare e a metterci d’accordo per restare in contatto prima che lo costringessero a seguirli. Lo considerano un bene di loro proprietà, quei cani rabbiosi – non saprei in che altro modo definire i nipoti del vostro padrino – lo considerano un oggetto, come se fosse un quadro o un tappeto o un letto a baldacchino. Oppure uno dei cavalli della scuderia di Jean-Baptiste. Solo perché Toussaint ha la pelle nera e non è stato in grado di mostrare il documento che certifica la sua liberazione da parte vostra. Lo abbiamo cercato freneticamente nei cassetti del vostro secrétaire, quel foglio, mentre i nipoti del padrino saccheggiavano la casa senza nessun riguardo per il cadavere dello zio, che giaceva ancora nel suo letto di morte, su al primo piano. Povero Cittadino Marchese! Non era passata un’ora da quando il nostro amico e protettore aveva chiuso gli occhi, che i suoi aristocratici parenti ci sono piombati addosso come furie scatenate, senza lasciarci il tempo né il modo di piangerlo come meritava per la sua grande bontà e per l’affetto che ci ha sempre dimostrato.
Eravamo sicuri, Tùssi e io, che il foglio si trovasse nel terzo cassetto a destra, insieme all’atto di donazione col quale monsieur Edouard ve lo aveva ceduto otto anni fa, appena arrivato dalla Giamaica. Siete stata voi a mostrare a Toussaint dove conservavate quel documento che lui stesso vi aveva pregato di custodire, ricordate?, perché sapesse dove cercarlo se ne avesse avuto bisogno in vostra assenza. Ma i cassetti del secrétaire erano tutti vuoti. Anche gli altri documenti, le lettere, il denaro, i vostri gioielli, tutto era sparito!
Restava solo, ma purtroppo non lo abbiamo visto perché era caduto sul fondo del mobile, il foglio della prima donazione, quello del 1829, che attestava il vostro diritto di proprietà su “uno schiavo negro di circa nove anni proveniente dalle Indie Occidentali chiamato Toussaint Louverture Déchâtre Lacroix”. Se invece di limitarci ad aprire i cassetti, li avessimo sfilati completamente e poggiati per terra, come ha fatto mezz’ora dopo il visconte de Lagardière, saremmo stati noi a trovarlo, lo avremmo nascosto o distrutto, e oggi Tùssi godrebbe di tutti i diritti di un uomo libero. Ma disgraziatamente il foglio è caduto nelle mani dei nipoti del Cittadino Marchese.
Ignorando le nostre proteste, e a onor del vero anche quelle di tutti i domestici, gli eredi hanno sostenuto che, fino a prova contraria, quello era l’unico attestato della condizione di Toussaint, e hanno requisito il nostro amico inventariandolo come “cosa” vostra, a risarcimento delle somme che, a loro dire, avreste estorto illecitamente al Cittadino Marchese.
Spero che abbiate la bontà, madame, d’informarci, se mai riceverete questa lettera e riuscirete a risponderci, se siete stata voi a svuotare in fretta i cassetti prima dell’arrivo dei parenti e a nascondere o a portare con voi il loro contenuto, oppure se sono stati quei cani rabbiosi a impadronirsene e a distruggere le prove che ponevano dei limiti alla loro avidità.
Io mi auguro che in qualche modo siate riuscita a nasconderveli addosso. Poter disporre di denaro e di gioielli vi sarebbe di grande aiuto, in qualunque sgradevole situazione quei malvagi individui vi abbiano cacciata.
Non preoccupatevi per Adèle e per me. Io sono riuscita a nascondere nella tasca interna della gonna la calza dove conservavo i miei risparmi. Non è una grande somma, ma confido che ci basterà fino al vostro ritorno. Anche perché adesso abitiamo in casa di madame Frédéric, la vecchia stiratrice moglie del cavatore di gesso di rue Saint Augustin, ricordate?, che ci ospita senza chiederci un soldo. A dire il vero i Frédéric non sanno che, volendo, potremmo pagare almeno il cibo che mangiamo. Ho preferito non rivelare l’esistenza della mia “cassaforte” segreta. All’inizio provavo un po’ di rimorso all’idea di approfittare della generosità di una famiglia che vive a stento del proprio lavoro. Ma ho pensato che era mio dovere non toccare quel denaro e conservarlo per i casi di vera emergenza. Alla stiratrice e a suo marito potremo sempre chiedere il conto e pagarglielo, aggiungendovi anche un bel regalo, quando voi sarete ritornata.
Per quanto riguarda Adèle, state tranquilla perché non le manca niente. Prima che gl’indegni nipoti arrivassero a saccheggiare la sua camera, con l’aiuto di Solange ero riuscita a stipare l’intero corredo del nostro tesoro e le sue bambole preferite nel baule verde, e avevo convinto Jean-Baptiste a nasconderlo nella rimessa degli attrezzi della casa vicina. Più tardi il marito di madame Frédéric mi ha aiutato a recuperarlo e a trasportarlo nella loro casa.
Naturalmente non abbiamo potuto mettere dentro il baule né il cavallo a dondolo né la carrozzina di Poupette. Non mi meraviglierei se qualcuno già domani mattina li trovasse in vendita da qualche rigattiere del Mercato delle Pulci.
Come mai ci siamo rifugiate in casa dei Frédéric?, vi chiederete. È che nessun altro sembrava disposto a ospitarci, quando quei cani feroci, una volta finito di spartirsi i mobili, i quadri, l’argenteria, la carrozza con i cavalli e gli altri oggetti facili da portare via, ci hanno informato che dovevamo andarcene all’istante, perché la casa adesso era loro e noi non avevamo alcun diritto di restarci. Oltretutto quegli imbecilli non sanno che la casa è in affitto, e che se vorranno tenersela, dovranno pagarne la pigione.
Attirata dal fracasso, madame Frédéric si era avvicinata con gli altri curiosi del quartiere per assistere al saccheggio. E si trovava proprio in prima fila quando il nipote più giovane, il marchese d’Arconville, ha sollevato Adèle prendendola sotto le ascelle, le ha fatto varcare il cancello e l’ha poggiata sul marciapiede dicendole con sarcasmo: «Buona fortuna, marmocchia. Va’ per la tua strada e fa’ attenzione a non ritrovarti più sulla nostra.»
Lo so che erano loro a doversi vergognare, però… Che umiliazione! Il nostro tesoro scacciato dalla sua casa come un cane rognoso, davanti a tutti. Una bambina di neppure sei anni che fino a quel giorno non aveva conosciuto dalla vita altro che affetto e gentilezza… Non sono riuscita a trattenermi e ho fulminato il giovane marchese con uno sguardo di disprezzo. «Siete un bruto! Vergognatevi» gli ho gridato sul viso. Ma lui ha finto di non sentire ed è rientrato in casa. Allora ho preso per mano Adèle. «Andiamocene» le ho detto, invitandola con lo sguardo e con l’esempio a tenere la testa alta, come il Cittadino Marchese ci aveva insegnato che bisogna fare quando ci si trova in mezzo a gente che gode delle nostre disgrazie. Dove saremmo andate, non lo sapevo. Il mio unico conforto era quella calza piena di monete che mi sentivo battere a ogni passo contro la gamba destra.
A quel punto madame Frédéric si è fatta avanti e ha carezzato Dédé sulla testa. «Venite a stare da me» ci ha detto «fino a quando la mamma di questa bella bambina non sarà tornata.»
È stata davvero generosa, la stiratrice, perché la casa dove vive col marito non è né grande né ricca e ci siamo dovute sistemare in uno stanzino senza finestre, dove c’è appena il posto per una sedia e un letto di ferro così stretto che di notte dobbiamo dormire abbracciate per non cadere. E a pranzo e a cena, i Frédéric possono offrirci solo patate e aringhe. Ma ci trattano con tanta gentilezza che davvero non potremmo desiderare di meglio.
Adèle non si lamenta. È una brava bambina, e capisce più di quanto sarebbe augurabile. Non mi ha chiesto neppure una volta come mai siamo state scacciate dalla nostra casa, e neppure come mai voi non siete venuta a soccorrerci. Per fortuna non ha visto quando le guardie vi hanno strappata dal letto di morte del vostro padrino e vi hanno portata via.
Ma poco fa, quando si è inginocchiata per dire le preghiere della sera, l’ho sentita che chiedeva sottovoce: «Per favore, per favore, Vergine santa, fa’ che la mamma torni presto. E tu, buon Gesù, manda i tuoi angeli in Boulevard des Capucines a prendere l’anima del Cittadino Marchese per portarla in cielo.»
È davvero commovente il nostro tesoro, nella sua ingenuità.
Eppure gliel’aveva spiegato tante volte, il padrino, che lui, da antico rivoluzionario, non credeva nella Santa Vergine, ma nell’Essere Supremo e nella dea Ragione.
Ma forse vi stancherete a leggere una lettera così lunga. Anche a me bruciano gli occhi e vedo che la fiamma della candela sta già vacillando. Bisogna che concluda prima di restare al buio.
Vi auguro tutto il bene del mondo, madame. Fateci sapere al più presto vostre notizie. E state tranquilla per Adèle. Sarò il suo angelo custode, la proteggerò anche a costo della mia vita. Ve l’ho promesso fin dall’inizio, ricordate? Da quando me l’avete messa in braccio, quel giorno terribile in cui… Ma no, non voglio pensarci adesso! La fiamma sta dando gli ultimi guizzi. Addio, madame. Che l’Essere Supremo vi ricambi tutto il bene e l’affetto che avete offerto a me, a Toussaint, al povero Cittadino Marchese e a tutti quelli che hanno avuto bisogno del vostro aiuto. Che la dea Ragione vi protegga, insieme alla Vergine Maria, al buon Gesù e a tutti i santi del Paradiso.
La vostra fedele e per sempre riconoscente
Sophie
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La fiamma dette un ultimo guizzo e la piccola stanza piombò improvvisamente nel buio. Sophie depose a tentoni la penna sulla sedia che le era servita da scrittoio, chiuse il calamaio, soffiò sul foglio per invitare l’inchiostro ad asciugarsi e si gettò sul letto cercando di non addossarsi troppo a Adèle. Nel piccolo locale privo di finestra l’aria era ferma e densa d’umidità. Il caldo era soffocante.
Invece la prima volta che era entrata nella casa della bambina, ricordò Sophie, aveva i piedi lividi e quasi insensibili per il freddo. Nonostante si sforzasse di non pensarci, le immagini di quei giorni lontani le si affollavano prepotenti nella memoria, con un sapore insieme dolce e amaro.
Dolce perché quel gelido pomeriggio di tanti anni prima, con sua grande meraviglia, la giovane e bella padrona di casa, invece di sgridarla e scacciarla perché stava lasciando tracce di fango gelato sul marmo lucidissimo dell’atrio, l’aveva sollevata e messa a sedere sul tavolo a mezzaluna, i suoi stracci bagnati a contatto con le porcellane e i vasi d’argento colmi di fiori. Poi le si era inginocchiata davanti, le aveva tolto le scarpe sfondate e le calze a brandelli fradice di neve e le aveva asciugato delicatamente i piedi con una delle eleganti camicie a piegoline confezionate con tanta fatica dalla madre di Sophie.
— Non preoccuparti — le aveva detto la bella signora, cogliendo il suo sguardo contrariato. — Lisette la laverà e la farà tornare come nuova.
Sembrava tutto così facile in quella stanza calda e profumata… Ma quanta attenzione era costata alla povera Fantine Gravillon, là nella soffitta gelida e scarsamente illuminata, evitare che le belle camicie si macchiassero mentre le cuciva! Da una settimana ormai la giovane vedova non faceva che tossire, e ogni colpo di tosse era accompagnato da un fiotto di sangue o da un getto di minuscole goccioline rosse che non sempre il fazzoletto premuto contro la bocca riusciva ad assorbire.
Denaro per pagare il medico non ne avevano. E a quale scopo chiamarlo, quando sapevano che avrebbe prescritto medicine, cibi nutrienti, vino caldo, calze di lana, fuoco nel braciere, tutti lussi che madre e figlia ormai da più di un anno non si potevano permettere?
Quando era vivo, il padre di Sophie non lasciava mancare loro il necessario, benché fosse solo un semplice operaio che stendeva la carta e faceva girare il torchio in una piccola tipografia di rue Championnet.
Ma un anno e mezzo prima, il 28 luglio 1830, Jean-Jacques Gravillon era morto, falciato sulle barricate di rue de Rivoli da una raffica di artiglieria, mentre agitava un drappo tricolore e gridava: — Abbasso i Borbone! Viva la Repubblica!
D’altronde, spiegava la madre alla bambina, cosa può fare un operaio tipografo quando un re usurpatore abusa del suo potere sciogliendo il Parlamento e sopprimendo la libertà di stampa, se non ribellarsi e scendere per strada insieme ai compagni per difendere il proprio lavoro?
Anche i giornalisti si erano rifiutati di obbedire. Nonostante il divieto, i giornali erano usciti ugualmente, con la loro protesta in prima pagina. I parigini si affollavano sempre più numerosi e indignati per le strade, nonostante le autorità avessero mandato schiere di soldati per disperdere ogni assembramento. Dall’alto, dalle finestre delle case, la gente lanciava sui militari gli oggetti casalinghi che aveva sottomano: vasi di fiori, pentole, ciocchi di legna da ardere… Giù nella strada i ragazzini, saltando da un punto all’altro, scagliavano pietre. Quando i militari, stretti da ogni parte, avevano cominciato a sparare sulla folla, erano apparse le prime barricate, che l’indomani erano state rinforzate con gli alberi dei grandi viali abbattuti dagli insorti. Per ostacolare le cariche della cavalleria, la gente aveva cosparso il suolo di cocci di bottiglie. Il popolo di Parigi aveva combattuto con tanto coraggio che, nonostante le perdite, il terzo giorno si era impadronito del Palazzo Borbone e del Palazzo del Louvre. All’una di notte il re Carlo X e la sua corte avevano lasciato Parigi.
Ora, grazie al sacrificio del padre di Sophie e di molti altri patrioti liberali che erano morti in quelle giornate di lotta, che i parigini avevano battezzato “Le Tre Gloriose”, la vecchia e corrotta dinastia dei Borbone era stata spazzata via e sul trono di Francia regnava un nuovo principe illuminato, Luigi Filippo d’Orléans, che aveva ripristinato...