Il dramma del Florida (Classico del giallo)
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Il dramma del Florida (Classico del giallo)

  1. 196 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il dramma del Florida (Classico del giallo)

Informazioni su questo libro

Un ago, un ditale, un paio di forbici. Tre piccoli, insignificanti oggetti la cui scomparsa sarebbe priva d'interesse, se non fosse avvenuta a bordo del Florida, un mercantile in navigazione sulla tratta da Bermuda a Halifax, Canada. E soprattutto, se prima della partenza dallo scalo di New York un uomo non fosse stato ucciso e l'unico testimone ridotto in fin di vita da qualcuno che si nasconde tra i passeggeri. Per il tenente Valcour, imbarcatosi sulle tracce dell'assassino, quei tre piccoli oggetti tutt'altro che insignificanti sono tessere di un mosaico delittuoso che dovrà ricostruire. Prima che il Florida, tagliato fuori da ogni comunicazione con la terraferma, si trasformi in una bara galleggiante.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
eBook ISBN
9788852026072
RUFUS KING

IL DRAMMA
DEL FLORIDA

Traduzione di Enrico Piceni
Mondadori

PERSONAGGI PRINCIPALI
SOHME
capitano del Florida
SWITHERS
ufficiale in seconda del Florida
GANS
radiotelegrafista
VALCOUR
tenente della polizia di New York
CASSIE POOLE
passeggera del Florida
TED POOLE
marito di Cassie
ANN WICKSTOD
cameriera di Cassie
MARGARET SIDDERBY
ETTA SIDDERBY
STICKNEY
FORCE
DUMARQUE
WRIGHT
SUSAN SANFORD
HORACE SANFORD
altri passeggeri del Florida

1

Gans, il radiotelegrafista, era morto. Il suo corpo giaceva sul ponte del piroscafo proprio davanti alla cabina del capitano Sohme. Sul gracile collo apparivano dei segni lividi. Qualcuno lo aveva afferrato alla gola e non aveva lasciato la stretta fino a che i polmoni non avevano cessato di funzionare. Il cuore si era arrestato.
Gans doveva aver lottato, nei limiti delle sue modeste forze; poi era morto.
Fino al momento in cui Margaret, la maggiore delle sorelle Sidderby, scoprì il cadavere di Gans, il viaggio era stato molto piacevole.
La signora Poole ne aveva costituito il centro focale.
La maggiore delle due sorelle Sidderby (“Margaret, la mia sorella maggiore” diceva immancabilmente Etta Sidderby, quando ne parlava) era abilissima nell’indagare sul suo prossimo, ma nel caso della signora Poole i suoi sforzi erano stati vani.
Già il fatto che la signora Poole, con i suoi abiti, i suoi gioielli, suo marito, la sua cameriera personale e il suo misterioso passato, fosse a bordo costituiva di per sé un controsenso. I coniugi Poole non erano una coppia facile da immaginare tra i passeggeri di un modesto piroscafo come il Florida. Anche se durante la tragica, interrotta traversata Bermuda-Halifax non fosse capitato l’incidente, la sola presenza della signora Poole e dei suoi sensazionali bagagli (il marito era il più modesto di tutti) sarebbe bastata a rendere memorabile quel viaggio.
Nessuno, così sembrava, fu presente all’imbarco della signora Poole, quando il Florida salpò da Hamilton: il marito sì, lo videro, e anche la grassa e placida cameriera nordica, e le lussuose, nuovissime, innumerevoli valigie... Ma la signora Poole, no.
La signorina Sidderby, “la maggiore”, rammentava molto vagamente di aver scorto un’ombra, avvolta in vesti azzurre, passare sul ponte proprio in un momento di grande confusione: una gru aveva lasciato cadere una grossa cassa, che era andata a fracassarsi giù nella stiva.
Soltanto all’ora di colazione, quando ormai il porto infuocato dal sole e i prepotenti verdi di Bermuda erano svaniti, la signora Poole fece la sua apparizione.
Margaret Sidderby, che metteva molto bene a profitto i diritti dell’età, stava seduta alla destra del capitano Sohme. Come in tutti i piroscafi della Compagnia di Navigazione Mercantile, la sala da pranzo era piuttosto piccola, occupata da un tavolo ovale con dodici posti. Il capitano era a capotavola. Non per il suo personale desiderio di condividere il pasto insieme con gli strani campioni di umanità che sceglievano i navigli della Mercantile come un mezzo economico per girare il mondo, ma perché tale era l’ordine della Compagnia a tutti i suoi capitani. Secondo la Direzione ciò era molto distinto e giovava al buon andamento degli affari. La signorina Sidderby, infatti, era soddisfattissima della cosa, ma il capitano Sohme, da parte sua, non era dello stesso parere. Non che Margaret lo annoiasse. Era allenato a sopportare un numero indefinito di signorine Sidderby, e poteva intrattenerle pensando ad altre cose che lo interessavano di più. Era la “scocciantissima disposizione” che non gli andava giù. Sarebbe stato tanto bene alla mensa ufficiali, in maniche di camicia, liberissimo di rimpinzarsi di cetriolini verdi (come aveva fatto in quei lontani e felici giorni, prima che la Compagnia avesse costruito cabine per i passeggeri in tutti i buchi liberi dei suoi piroscafi), senza provocare la sbalordita domanda di tutte le signorine Sidderby del mondo: “Sono contro il mal di mare, i cetriolini?”.
— Sono certa — stava proprio dicendo Margaret — che voi, capitano Sohme, li mangiate per tenere lontano il mal di mare... Credete che ce ne saranno ancora, di quei cosi verdi?
E in quel momento la signora Poole, preceduta dal marito, fece il suo ingresso nel salone.
Il suo vestito era bianco, molto più bianco della vernice delle pareti. Le braccia, il viso, le gambe erano color rame; i capelli e le sopracciglia di un biondo chiarissimo; gli occhi avevano una curiosa espressione soddisfatta. Quanto all’età, si era fermata sui ventisei anni. Il capitano Sohme si alzò. Anche sopra un lussuosissimo transatlantico la signora Poole avrebbe costituito per lui una meravigliosa apparizione, figuriamoci quindi sul modesto e familiare Florida.
Si inchinò e offrì una sedia che stava alla sua sinistra. La signora Poole si sedette, e il signor Poole, vedendo che la sedia accanto a quella di sua moglie era vuota, fece altrettanto.
Margaret fu la prima a ritrovare la voce.
— Molto bene — disse. — Eccoci finalmente riuniti come in una bella e allegra famiglia! — E rivolse un sorriso imparziale a tutti i commensali.
— Siete dunque molto pratica di famiglie? — ribatté prontamente la signora Poole con un maligno sorriso.
— Di famiglie? Voi siete la signora Poole, vero?
La signora Poole continuò a sorridere, e spiegando il tovagliolo annuì all’identificazione che Margaret aveva fatto con tono quasi d’accusa.
— Io sono Margaret Sidderby, e questa è la mia sorella minore. Non sono in grado di presentare il resto della nostra piccola compagnia, ma a ciò provvederà il capitano Sohme. Non è vero, caro capitano?
Senza tener conto dell’insinuazione evidentemente sarcastica relativa alle famiglie, Margaret tornò a dedicare tutta la sua attenzione alla zuppa che le stava nel piatto. Il capitano Sohme, pensando che, tutto sommato, le disposizioni della Compagnia non erano prive di buonsenso, iniziò le presentazioni.
— Il signor Stickney — disse, indicando un uomo di mezza età, dal volto pallido e floscio che sedeva alla destra della signorina Sidderby junior. Stickney accennò un inchino.
— Il signore e la signora Sanford — continuò il capitano, rivolgendosi a due vecchietti molto abbronzati. La signora Sanford, con un indescrivibile abito di seta, aveva un’aria sciropposa, ma era assai più solida del marito, esilissimo, quasi trasparente.
— Il signor Dumarque.
La signora Poole aveva già notato questo signor Dumarque, che smentiva clamorosamente l’idea che si era fatta sul passeggero tipo del Florida. Lo aveva visto passare sul ponte, e le sue scarpe dagli alti tacchi avevano subito attratto la sua attenzione. Non c’era ragione perché il signor Dumarque, alto più di un metro e ottanta, portasse calzature simili; e inspiegabili erano pure gli abbondanti calzoni di lana, grigi. Una bombetta completava l’abbigliamento del signor Dumarque, la cui faccia era davvero bizzarra al punto da giustificare una simile eccentricità.
— Il signor Force... Il signor Wright.
Lo sguardo soddisfatto della signora Poole lasciò quello educatamente inespressivo del signor Dumarque e si appuntò sul signor Force. Pensò subito che forse non arrivava alla ventina: quali strani eventi ne avevano fatto, così giovane, un passeggero del Florida? E il “signor Wright”... Nulla di notevole in quel quarantenne grasso, se non la testa, enorme, e il naso piccolo e lucido. Le persone brutte non davano noia alla signora Poole: semplicemente non esistevano, per lei, anche se erano dei geni.
— E ora, signora Poole, eccoci al nostro ospite d’onore a bordo.
La signora Poole sorrise. Si sentiva amabile, allegra; le andava a genio l’aspetto di quell’uomo tranquillo, distinto, non più giovane, i cui occhi grigi la guardavano sorridendo.
— Un ospite d’onore? — chiese.
— Sì, signora Poole: il tenente Valcour della polizia di New York.
— Oh! — Riuscì a impedire che troppa acqua cadesse sulla tovaglia e depose il bicchiere. — Ma guarda! Anch’io, signor Valcour, abito a New York.
L’inchino del tenente Valcour, educato e indifferente, comprese anche il giovane signor Poole.
— Già, signora Poole — disse. — Lo so.

2

Il capitano Sohme, parzialmente sazio di cetriolini, ritornò nella sua cabina subito dopo colazione. Aveva mantenuto la calma sino in fondo. Salutò con un cenno Swithers, l’ufficiale in seconda che all’estremità del ponte di tribordo stava contemplando pensosamente il vuoto, ed entrò nella propria cabina.
Era una bella cabina, spaziosa, con le pareti ricoperte di legno scuro, e discretamente fresca anche quando il clima era torrido: un ventilatore muoveva l’aria continuamente.
Il capitano Sohme si levò la giacca. Gli stava molto stretta in vita e, quando si tolse quell’indumento, la sua figura apparve notevolmente più rotonda. Quando si distese sulla cuccetta, tutto era pace intorno a lui, e i rumori esterni si fondevano in una sinfonia ben nota.
— Accidenti! — esclamò il capitano, udendo bussare alla porta della cabina con insistenza. Chi poteva mai essere quel cretino... non certo un uomo dell’equipaggio! Disturbare così quell’ora sacra.
— Avanti!
Il tenente Valcour aprì la porta cercando di abituare gli occhi all’oscurità della cabina.
— Capitano Sohme? Vogliate perdonare la mia irruzione, ma si tratta di una cosa piuttosto urgente.
— Entrate, tenente Valcour, entrate pure.
Valcour, che era già entrato, rimase lì fermo mentre il capitano Sohme, sorpreso, si metteva a sedere sulla cuccetta.
— Un affare urgente? Non capisco. — Il suo pensiero corse ai normali pericoli del mare: tempeste, collisioni, incendi.
Il tenente Valcour parlava con voce bassa e pacata e il suono non giungeva più in là delle rosse e sporgenti orecchie del capitano.
— Si tratta di un criminale che credo si trovi su questa nave.
Il capitano Sohme, sempre seduto, si irrigidì. Sul soffitto della cabina giocavano, rapidissimi, i riflessi dell’acqua. Un criminale: cioè un mucchio di seccature, gente di terra che sarebbe venuta a turbare il tranquillo ordine di bordo...
— E che specie di criminale?
...

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