Madonna di Oropa
Incredibile a dirsi, ma a volte anche una statua può sentire il bisogno di scappare. Nel quarto secolo dopo Cristo, infatti, la statua di una Madonna nera dovette lasciare in fretta la sua chiesa in Palestina e rifugiarsi in Italia. Oggi è esposta a Oropa, tra i monti del biellese. Per sua fortuna, la Madonna non era sola, di lei si occupò sant’Eusebio, che era pieno di iniziativa e che fuggì portandola con sé. Vediamo come andarono i fatti, e cerchiamo di spiegare cosa ci facesse in Palestina sant’Eusebio, che in realtà era sardo e che da bambino aveva vissuto una terribile esperienza. Suo padre morì da martire, ammazzato dai persecutori dei cristiani. Eusebio ricevette un giorno una lettera di complimenti addirittura da sant’Ambrogio perché, da poco nominato vescovo della diocesi di Vercelli, era riuscito a dare alla comunità della sua zona un’organizzazione di vita in comune, come accade tra i monaci e come a quell’epoca sapeva fare solo la Chiesa d’Oriente.
In quel periodo c’erano dispute molte aspre per questioni che riguardavano la dottrina ed Eusebio era dalla parte degli ortodossi, cioè di coloro che sostenevano il mistero della Trinità. Perciò, fu sempre un avversario durissimo degli ariani, che invece credevano nella superiorità del Padre sul Figlio. Secondo Ario e i suoi seguaci, infatti, Cristo era stato creato dal Padre come gli altri uomini e non aveva sostanza divina. In quegli anni il papa era Liberio, che in giro non riscuoteva grandi simpatie, al punto da essere ricordato oggi come il primo pontefice della storia a non essere diventato santo. Questo papa inviò Eusebio dall’imperatore Costanzo II, figlio del grande Costantino, per convincerlo a convocare un concilio nel quale si potesse finalmente risolvere il lungo litigio tra ariani e ortodossi, che come Eusebio sostenevano la Trinità. Costanzo II, in realtà, non era un arbitro imparziale: aveva molta più simpatia per gli ariani. Infatti, nel concilio che si tenne a Milano nel 355 era presente una larghissima maggioranza di vescovi ariani, nominati proprio dall’imperatore. Quando si misero ai voti le questioni dottrinarie, Eusebio capì di trovarsi in minoranza e rifiutò di firmare gli editti conciliari. L’imperatore non la prese bene e lo punì spedendolo in esilio in Palestina.
Ma il destino aiutò Eusebio, facendo sedere sul trono imperiale Giuliano, uno che sulla dottrina e sugli ariani la pensava diversamente da Costanzo II. Il nuovo imperatore decise che Eusebio poteva tornare in Italia. Ma il rientro non fu affatto semplice. Eusebio lasciò il Medio Oriente portando con sé ben tre Madonne nere. Una di esse, quella poi conservata nel santuario di Oropa, il santo l’aveva trovata sotto le macerie nella città di Gerusalemme. La condusse a Oropa e la tenne nascosta nella cavità dell’enorme masso che ancora oggi è accanto alla chiesa. Secoli dopo, alcuni pastori si accorsero della statua della Madonna nera rintanata nella pietra. La tirarono fuori e in quel luogo fecero erigere una cappella, che a partire dal tredicesimo secolo sarebbe divenuta una vera e propria chiesa.
Madonna di Tindari
Proprio in corrispondenza del promontorio su cui hanno costruito il santuario della Madonna nera di Tindari, c’è una spiaggia La zona si trova nella parte orientale della Sicilia, nella provincia di Messina. In effetti, si tratta di una spiaggia piuttosto capricciosa, il mare ne cambia continuamente forma e dimensioni, prima invadendola e poi ritirandosi all’improvviso.
Una storia del luogo racconta che un giorno una mamma e la sua bambina fecero una gita da quelle parti. Ebbene, malgrado fosse molto religiosa, la donna non riusciva ad avere fede in quella Madonna. Il suo, diciamo la verità, era solo un pregiudizio. La vedeva troppo scura, e le sembrava che una Madonna con quella pelle così nera non la potesse aiutare. Ora, pare che la statua fosse lì dal tredicesimo secolo, naturalmente proveniva dall’Oriente. Dovete sapere che in quel periodo nacque nel mondo bizantino un movimento, che in realtà fu una vera ossessione religiosa, a cui fu dato il nome di iconoclastia. Questo movimento volle improvvisamente che tutte le icone, e cioè tutte le immagini religiose, venissero distrutte. Il perché è presto detto. Gli iconoclasti ritenevano che il culto delle immagini fosse peccato e che ogni icona rappresentasse una forma perversa di idolatria. Fu per questo che molte statue sacre furono distrutte, altre per fortuna riuscirono a salvarsi. La Madonna nera che poi finì a Tindari fu una delle tante che scampò a quel curioso massacro.
Ma torniamo alla mamma a cui, diciamo la verità, la pelle nera di quella Madonna non piaceva affatto. In un attimo, si accorse di non avere più la bambina accanto a sé. Era sparita. La cercò e subito si fece aiutare nelle ricerche dagli abitanti della zona. Ma non ci fu nulla da fare, la piccola era introvabile. Qualcuno pensò che fosse finita in mare e fosse stata ormai inghiottita dalle onde di quel mare così imprevedibile. In effetti era andata più o meno così. Dopo pochi istanti, però, la bimba ricomparve su una spiaggia che prima non esisteva e che il mare, ritraendosi, aveva fatto apparire. A tutti sembrò un miracolo, non era mai accaduto niente del genere. Questo prodigio spinse la donna a nutrire un’eterna gratitudine verso quella Madonna nera che dominava il santuario e che proteggeva l’intera zona.
Questo è uno di quei casi in cui la fede nasce dalla soluzione di un fatto personale. Ma in generale io penso che sono presuntuosi quelli che dicono di avere fede o di non averne. Come si può affermare, senza alcun dubbio, di credere nell’esistenza di Dio oppure di essere assolutamente certi che non esista? Io preferisco praticare il Dubbio Positivo. Positivo perché ho sostituito il verbo credere col verbo sperare. Io spero che Dio ci sia e ho paura che non ci sia. Dubitando, chiedendomi così spesso se Lui c’è veramente oppure se non c’è nulla, alla fine è come se stessi continuamente in sua compagnia. Più di chi crede fermamente nella sua esistenza e non ci pensa più.
Madonna di Loreto
Un giorno l’arcangelo Gabriele, mandato da Dio, si presentò a Maria e le annunciò la nascita di Cristo. E questo lo sappiamo tutti. Ma dov’era la casa in cui Gabriele si presentò con la sua importante notifica? Questo è quasi altrettanto facile. Si trovava nella regione della Galilea, a Nazareth, il villaggio in cui i Vangeli di Luca e Matteo raccontano che Giuseppe e Maria vivessero già prima che Gesù nascesse. Infatti, proprio perché era un cittadino di Nazareth, molti chiamano Cristo il Nazareno. Ma se vi chiedessi dov’è adesso questa casa? Ecco, questo sono pochi a saperlo. Una tradizione racconta che sul finire del tredicesimo secolo accadde un fatto curioso, e che adesso l’appartamentino si trovi qui in Italia. Precisamente in provincia di Ancona, a Loreto.
Era il dicembre del 1294, faceva un freddo terribile. Quella piccola costruzione da tanti secoli sorgeva a Nazareth: non immaginate saloncino e doppi accessori. L’immobile era fatto solo di tre rozze pareti poggiate sull’ingresso di una grotta. Quella notte un gruppetto di angeli lo sollevò dal suolo e lo trasportò in Europa. Di solito traslocano gli uomini, in quel caso traslocò tutta la Santa Casa, che momentaneamente fu sistemata in un quartiere della città di Fiume, luogo che oggi appartiene alla Croazia. Ma fu solo una sosta tecnica, necessaria per prendersi un po’ di riposo. È vero che erano angeli, ma avevano pur sempre portato una casa sulle spalle per molti chilometri. Quando ripresero il volo, decisero che la sede definitiva doveva essere una foresta fitta di alberi di alloro nella regione delle Marche. Per la verità, ci sono studiosi che alla storia degli angeli non credono troppo. Anche se si è stabilito che, effettivamente, la casa può essere quella originale, perché la pietra di cui è fatta proviene dalla zona della Palestina, la tesi degli storici sostiene che siano state le navi dei Crociati a trasportare quelle mura fino in Italia. Di sicuro, fu un lungo viaggio, per questo la Madonna di Loreto è la protettrice di chi oggi vola in aereo e in generale di tutti gli emigranti. Tante volte, quando ho ballato su un jumbo a 10.000 metri di quota, lei deve avermi aiutato e io nemmeno lo sapevo. Clemente V fu il papa che si prese per primo la responsabilità di stabilire che quelle mura erano autentiche, che erano le stesse in cui per trent’anni Giuseppe e Maria avevano serenamente convissuto.
Inizialmente, a Loreto innalzarono una piccola chiesa attorno alla Santa Casa. Ci vollero quasi duecento anni per decidere che fosse più adatto un vero e proprio santuario. E ce ne vollero trecento prima che i lavori di costruzione della basilica si concludessero. L’opera fu affidata agli architetti più famosi dell’epoca, tra cui Bramante e Antonio e Giuliano da Sangallo. Del resto, la cupola della basilica doveva custodire addirittura la dimora in cui la Madonna un giorno aveva visto arrivare all’improvviso il misterioso Gabriele.
Avrete capito che anche qui c’è una Madonna nera, la cosiddetta Madonna Lauretana, collocata nella Santa Casa dalla fine del 1300. Poi, quattrocento anni dopo, quando dalle sue parti capitò Napoleone col suo esercito, pensò che in Francia potesse fare più bella figura, e trafugò la statua. In verità, durante la cosiddetta campagna d’Italia del 1796 il generale e il suo esercito saccheggiarono chiese e monumenti, decidendo che gran parte dell’arte italiana dovesse trasferirsi in Francia. Qualche mese dopo, Napoleone fece firmare al papa il Trattato di Tolentino, con cui sistemava alcune cosucce nei territori italiani. Per esempio, portò tantissime opere d’arte italiana a Parigi, altre decise di lasciarle. Lasciò anche la statua della Madonna di Loreto, che momentaneamente finì a Roma. È chiaro che non si trattava di una statua fortunata, nel 1921 un incendio la distrusse completamente. Fu il papa dell’epoca, Pio XI, a farla immediatamente rifare. Finalmente la Madonna Lauretana tornò al suo posto.
È scontato che, per tutti i cattolici, Napoleone trafugando la statua sacra aveva commesso un grave peccato. La pensava così anche un mio vecchio compagno dei tempi dell’università, Mario Vallauri. Diceva che un peccato è tale quando si fa del male a qualcuno, ma solo in quel caso.
“Facile a dirsi” gli risposi “ma vallo a spiegare a don Attanasio, il parroco di Santa Lucia. Quando ero ragazzino mi ripeteva che ogni volta che commettevo un peccato, diciamo così, solitario, proprio nel momento culminante san Sebastiano veniva colpito da una freccia.”
“Ma quale freccia! Quella colpisce san Sebastiano solo se fai del male al prossimo. Io per esempio faccio l’amore solo con donne consenzienti. Mi dici che male c’è?”
“E il tradimento? Quello secondo te è peccato?”
“Non lo è fino a quando il tradito non lo viene a sapere. Solo a quel punto gli hai fatto del male.”
“E le droghe? Con quelle non fai male a nessuno, solo a te stesso.”
“Le droghe sono peccato, Lucià. Io ho detto che non bisogna fare del male a qualcuno. E questo qualcuno siamo pure noi stessi. Vuoi sapere qual è il peccato più grande? Il suicidio.”
Madonna morenita
Nel 490 avanti Cristo il basilico e il pomodoro si dettero appuntamento nella piana di Maratona.
“Avete visto il pomodoro?” chiese a tutti il basilico, ma nessuno capì di cosa stesse parlando. Il pomodoro infatti non era stato ancora scoperto: si trovava in America e, non essendo ancora nato Cristoforo Colombo, non aveva alcuna speranza di venire in Europa. Il basilico invece era giunto dalla vicina Persia, dove era noto come la pianta del Re (da “basilikon”, erba regale). Quando finalmente s’incontrarono, duemila anni dopo, capirono subito che erano fatti l’uno per l’altro: due colori e due sapori talmente diversi, eppure gradevolissimi se mangiati contemporaneamente.
Gli americani non avevano capito che il pomodoro era un condimento: credevano che fosse un frutto e quando ne assaggiavano un pezzettino, lo sputavano subito, facendo una smorfia di disgusto.
“Oh Manitù” erano soliti esclamare “perché mai ci hai regalato un frutto così insapore?”
Giunto in Italia (a Napoli per la precisione), il pomodoro divenne subito di colore rosso (prima era verde) e acquistò la sua tipica forma a lampadina (anche detta di San Marzano). Unitamente al basilico, fu ben presto considerato il principe di tutti i condimenti. Molte pietanze, infatti, fino ad allora immangiabili, grazie al pomodoro e al basilico si trasformarono in piatti eccezionali (spaghetti, pizze e via dicendo). Oggi possiamo ben dire che nella storia dell’alimentazione il pomodoro rappresenta l’equivalente della Rivoluzione francese.
Quando qualcuno vi chiede chi è Cristoforo Colombo, per carità, non rispondete: “Colui che scoprì l’America” bensì, più semplicemente: “Quello che un giorno uscì di casa per andare a prendere i pomodori”.
Noi cattolici, in quanto a colorito, abbiamo Madonne di ogni tipo. Bianche, nere, rosa, grigie, bionde, una anche morenita, che è come dire “brunetta”. Ma per venire incontro ai nostri lettori, cercherò di fare un quadro completo di tutte le Sante Vergini, in modo che poi ognuno possa scegliersi quella che è più in sintonia col suo stato d’animo.
Supponiamo, ad esempio, che io fossi nato in Centroamerica. Ebbene: di chi mi sarei innamorato? Di sant’Orsola Benincasa? Nossignore: sarei finito ai piedi di una Madonna che a partire dal sedicesimo secolo è molto venerata soprattutto in Messico, proprio nel territorio dell’America Centrale su cui Colombo sbarcò più di cinquecento anni fa. Non c’è dubbio che questa Madonna doveva farsi viva per forza in quella terra, a nord di Città del Messico. E sapete perché? Perché aveva la pelle meticcia. La sua leggenda, infatti, ha inizio quando Lei, la Madonna, decise di apparire a un giovanotto indio di nome Juan Diego. È giusto che di questo pastorello io vi riveli anche il cognome, nonostante sia molto complicato da scrivere e da pronunciare. Si chiamava infatti Cuauhtlatoatzin. Ora, dovete sapere che l’intera zona proprio agli inizi del sedicesimo secolo aveva subito una trasformazione traumatica. Erano sbarcati, infatti, i peggiori mercenari spagnoli, che avevano subito imposto a tutto il paese la loro presenza tirannica. Si erano fatti vivi da quelle parti anche perché, come tanti a quell’epoca, cercavano oro e argento. Ebbene, questa indemoniata caccia all’oro, perché si sappia, determinò anche lo sterminio di intere popolazioni.
La grande civiltà azteca venne completamente distrutta. Non riuscì a resistere nemmeno lui, il famoso imperatore Montezuma, che non solo perse il suo trono, ma che prima di morire si volle togliere lo sfizio di lanciare verso gli invasori una maledizione che, non solo a detta degli storici, funziona ancora. Mi riferisco alla famosa dissenteria che colpisce chi viene in questa terra. Forse Montezuma pensò che, tenendo sedute le persone, evitava che andassero in giro a fare danni.
Però torniamo al nostro Juan Diego. Naturalmente la sua avventura è successiva all’arrivo degli spagnoli, lui visse quando ormai molti indigeni si erano convertiti alla religione cristiana. Un giorno il ragazzo si mosse dal villaggio per raggiungere la città e, come al solito, percorse l’altura del Tepeyac. Lui era abituato da sempre alla musica della natura, ma in questo strano 9 dicembre del 1531, non si sa perché, nel bosco il canto degli uccellini era decisamente più armonioso del solito. E non basta: Juan Diego sentì all’improvviso che una donna lo chiamava per nome.
“Juan, Juan, io sono Maria. Ti prego di ascoltarmi.”
A questo punto è comprensibile che a Juan Diego venisse l’affanno. Una Madonna non s’incontra tutti i giorni. Ma poi come fai a essere sicuro che sia davvero la Madonna e che invece non sia tu ad aver bevuto troppo?
Juan Diego scelse di ascoltarla e di raccogliere la sua richiesta: “Voglio che ai piedi di questa collina sia costruita una chiesa”.
Al ragazzo non restò che cercare qualcuno in grado di aiutarlo. Ma non era facile presentarsi a un’autorità pubblica e dire: “Buongiorno, ho appena visto la Madonna, mi ha detto che vuole una chiesa nel posto in cui l’ho incontrata”. Correva il rischio che lo ricoverassero subito all’ospedale più vicino, così Juan Diego si fece coraggio e andò in città, direttamente dal vescovo. Il suo racconto, in verità, non ottenne subito un gran successo. Il vescovo quando ascoltò il suo racconto scosse un pochino la testa e poi gli disse: “Figlio mio bello, ma sei davvero così sicuro di avere visto proprio la Madonna?”.
Juan Diego lo guardò e non disse niente. Naturalmente lui era sicuro, ma sapeva che era difficile farsi credere solo con le parole. Il giorno dopo tornò su...