
- 224 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Il cimitero senza lapidi e altre storie nere
Informazioni su questo libro
Nobody Owens cade dal melo ai confini del cimitero, nel terreno sconsacrato dove sono sepolti i malvagi, e decide di donare una lapide alla strega che lo soccorre. Jack incontra un troll sotto il ponte della ferrovia e da quel momento la sua vita sarà legata a un terribile patto di morte.
Un nobile cavaliere trova il Santo Graal nel salotto di una vecchina che non ha alcuna intenzione di spostarlo dal suo grazioso caminetto.
Tra l'horror, il fantasy e il giallo hard boiled, undici perle inedite per rabbrividire e sorridere. Racconti che, come scrive lo stesso Gaiman, sono "viaggi fino all'estremo opposto dell'universo che puoi fare con la certezza di essere di ritorno per l'ora di cena".
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Informazioni
Print ISBN
9788804585039eBook ISBN
9788852026928
C’era una strega sepolta al confine del cimitero, era un fatto risaputo. La signora Owens aveva detto praticamente da sempre a Bod di tenersi lontano da quell’angolo del mondo.
— Perché? — le chiedeva lui.
— Non è salutare — rispondeva sempre la signora Owens. — C’è umidità in quella zona. È praticamente una palude. Andresti incontro alla morte.
Quanto al signor Owens, era più evasivo e meno fantasioso. — Non è un buon posto — era la sua unica risposta.
Il cimitero vero e proprio finiva ai piedi della collina, sotto il vecchio melo, con una cancellata arrugginita le cui sbarre terminavano tutte con una punta aguzza; ma al di là di quello c’era una zona abbandonata, un intrico di erbacce e ortiche, di rovi e rifiuti autunnali.
Bod, che tutto sommato era un bravo ragazzo, ubbidiente, non oltrepassava le sbarre dell’inferriata, ma si limitava ad andare laggiù e a guardarvi attraverso; sapeva che non gli avevano detto tutto, e ciò lo irritava.
Una volta Bod salì su per la collina, alla chiesa abbandonata al centro del cimitero, e attese finché non giunse l’oscurità. Mentre la penombra si avvicinava colorando di tinte violacee il cielo grigio, ci fu un rumore sulla guglia, come lo sventolio di una spessa coltre di velluto: Silas aveva lasciato il suo rifugio sul campanile, saettando giù dalla guglia.
— Cosa c’è nell’angolo più lontano del cimitero, dopo Harrison Westwood, fornaio di questa parrocchia, e le sue mogli, Marion e Joan? — chiese Bod.
— Perché me lo chiedi? — replicò Silas, battendo via la polvere dal vestito nero.
Bod fece spallucce. — Semplice curiosità.
— È terreno non consacrato. Sai cosa vuol dire?
— No.
Silas camminò lungo il sentiero senza smuovere una sola foglia caduta e si sedette sulla panca di pietra, accanto a Bod. — Ci sono persone che ritengono che tutta la terra sia sacra — disse con la sua voce di seta. — Che sia sacra prima che vi giungiamo, e sacra anche dopo. Ma qui, nella tua terra, benedicono le chiese e il terreno che tengono da parte per seppellire la gente, per renderlo sacro. E accanto al terreno benedetto lasciano della terra non consacrata, fosse dove seppellire criminali e suicidi e quelli che non seguivano la fede.
— Quindi le persone seppellite nel terreno dall’altro lato della cancellata sono cattive?
Silas alzò un sopracciglio in un arco perfetto. — Niente affatto. Vediamo un po’, è passato tanto tempo dall’ultima volta che sono stato da quelle parti, ma non ricordo nessuno particolarmente malvagio. Non dimenticare che ai tempi andati si poteva essere impiccati per aver rubato uno scellino. E c’è sempre qualcuno che giudica la propria vita tanto intollerabile da pensare che la soluzione migliore sia accelerare il trapasso a un altro piano di esistenza.
— Intendi dire che si suicida? — chiese Bod. Aveva circa otto anni, occhi grandi e una grande curiosità, e non era stupido.
— Esattamente.
— E funziona? Sono più felici, da morti?
Silas si lasciò andare a un largo sorriso, mostrando le zanne. — Certe volte. Ma in genere no. È come chi crede di essere felice andando a vivere da qualche altra parte, ma poi impara che non è così che funziona. Ovunque tu vada, porti te stesso con te. Capisci cosa intendo?
— Più o meno.
Silas allungò la mano e scompigliò i capelli del bambino.
— E la strega? — chiese Bod.
— Ecco. Appunto — replicò Silas. — Suicidi, criminali e streghe. Quelle che sono morte senza assoluzione. — Si alzò, un’ombra notturna nel crepuscolo. — Tutto questo parlare e non ho ancora fatto colazione. E tu farai tardi alle lezioni. — Nella penombra del cimitero vi fu un’implosione silente, un battere d’oscurità di velluto, e Silas svanì.
La luna aveva già iniziato a levarsi quando Bod raggiunse il mausoleo del signor Pennyworth.
Thomas Pennyworth – Qui giace nell’attesa della più gloriosa resurrezione – lo aspettava già, e non era dell’umore migliore. — Sei in ritardo — disse.
— Mi spiace, signor Pennyworth.
Pennyworth schioccò la lingua, infastidito. La settimana prima aveva tenuto una lezione sugli elementi e gli umori, e Bod continuava a confondere gli uni con gli altri. Si aspettava un esame di verifica, e invece il signor Pennyworth disse: — Credo sia ora di dedicare qualche giorno alla pratica. D’altronde il tempo passa.
— Davvero?
— Temo di sì, signorino Owens. Mi dica, come va con lo Svanimento?
Bod aveva sperato che non gli facesse quella domanda. — Tutto a posto — rispose. — Cioè… Lo sa, no?
— No, signorino Owens. Non lo so. Perché non mi mostra?
Bod si sentì morire. Fece un respiro profondo e si sforzò più che poteva, strizzando gli occhi e provando a svanire.
Il signor Pennyworth non era affatto impressionato. — Non ci siamo proprio. Ma proprio per niente. Sgusciare e svanire, ragazzo, come i morti. Scivolare tra le ombre. Svanire dalla coscienza. Riprova.
Bod si sforzò di nuovo.
— Sei visibile come il naso sulla tua faccia — disse il signor Pennyworth. — E il tuo naso è rimarchevolmente evidente. Come il resto della faccia, signorino. Lo stesso vale per il corpo. Per l’amor di tutto quel che è sacro, svuota la mente. Ora. Sei un vicolo deserto, una porta vuota. Sei nulla. Gli occhi non possono vederti. Le menti non possono coglierti. Non sei nulla e nessuno.
Bod ritentò. Chiuse gli occhi e s’immaginò di svanire nel muro del mausoleo, di diventare un’ombra nella notte e null’altro. Starnutì.
— Pessimo! — sentenziò il signor Pennyworth con un sospiro. — Davvero pessimo. Credo che dovrò parlare a quattr’occhi con il tuo guardiano. — Scosse il capo. — Su. Gli umori. Elencameli.
— Mmm… Sanguigno. Collerico. Flemmatico. E l’altro… Malinconico, mi pare.
Andò così, fino a che non arrivò l’ora di grammatica e composizione con la signorina Laetitia Borrows, la zitella della parrocchia – Che non fe’ male a omo alcuno nessun giorno della sua vita. Puoi tu che leggi dir lo stesso? – A Bod piaceva la signorina Borrows e la comodità della sua piccola cripta, e il fatto che era fin troppo facile distrarla e farle cambiare discorso.
— Dicono che c’è una strega nel campo non consarc… non consacrato — disse il bambino.
— Sì, caro. Ma non devi andarci assolutamente.
— Perché no?
La signorina Borrows sorrise del sorriso candido dei morti. — Non è il genere di persone per te.
— Ma fa sempre parte del cimitero, no? Cioè, non posso andarci, se voglio?
— Non sarebbe affatto raccomandabile — disse la signorina Borrows.
Bod era ubbidiente ma curioso, e così, quando le lezioni si conclusero, superò il monumento commemorativo dedicato a Harrison Westwood, panettiere, e famiglia, un angelo dalla testa spaccata, ma non discese fino alla fossa dei perduti. Salì sul fianco della collina, dove un picnic di circa trent’anni prima aveva lasciato il segno sotto forma di un grande melo.
C’erano lezioni che Bod aveva imparato a dovere. Aveva fatto una tremenda scorpacciata di mele di quell’albero – non ancora mature, aspre e dai semi bianchi – circa tre anni prima, e per giorni aveva avuto modo di pentirsene, con le budella doloranti e piene di crampi e le continue paternali della signora Owens su cosa si deve mangiare e cosa no. Ormai prima di cibarsene aspettava che le mele fossero mature, e non ne prendeva mai più di due o tre per notte. Aveva mangiato l’ultima mela dell’albero la settimana prima, ma il melo era un posto dove gli piaceva fermarsi a riflettere.
Si arrampicò sul tronco fino a raggiungere il suo punto preferito, nella biforcazione tra due rami, e guardò in direzione della fossa dei perduti, che si stendeva ai suoi piedi, una macchia sterposa di piante infestanti ed erba alta battuta dalla luce lunare. Si domandò se la strega fosse vecchia e se avesse i denti di ferro, se fosse magra e col naso aguzzo; girava forse dentro la sua casa camminando su zampe da gallina, volava su una scopa?
Poi gli venne fame. Si rammaricò di aver già mangiato tutte le mele dell’albero. Di non averne lasciata almeno una…
Alzò gli occhi, e gli parve di vedere qualcosa. Guardò una volta, guardò una seconda volta per esserne certo. Una mela, rossa e matura.
Bod andava fiero della sua bravura nell’arrampicarsi. Scattava da un ramo all’altro, e immaginava di essere Silas che saettava veloce su un ripido muro di pietra. La mela, il rosso del frutto quasi nero alla luce lunare, stava sospesa lì, vicinissima ma irraggiungibile. Bod avanzò lentamente sul ramo, fino a che non fu proprio sotto la mela. Allora si protese, e le punte delle dita sfiorarono il frutto perfetto.
Non l’avrebbe mai gustata.
Un crac, secco come la fucilata di un cacciatore, e il ramo cedette sotto di lui.
Un lampo di dolore lo risvegliò, pungente come ghiaccio, del colore di un tuono al rallentatore tra le erbacce in quella notte estiva.
Il terreno sotto di lui pareva relativamente soffice, stranamente caldo. Abbassò una mano e sentì qualcosa che pareva una calda pelliccia. Era caduto su un mucchio d’erba, nel punto in cui il giardiniere del cimitero svuotava la falciatrice, e ciò gli aveva attutito la caduta. Ma aveva dolore al petto, e la gamba gli faceva male; doveva essere caduto su quella ed essersela storta.
Bod gemette.
— Ssst! Ssst! — fece una voce. — Ma da dove sbuchi, ragazzino? Cadere come una saetta. E che modo è?
— Ero sul melo — disse Bod.
— Fa’ vedere questa gamba. Rotta come il ramo dell’albero, ci scommetto. — Delle dita fredde gli pizzicarono la gamba sinistra. — Non rotta. Storta, sì, forse slogata. Hai la fortuna del Diavolo in persona, cadere sulle erbacce tagliate. Non ti sei fatto niente di grave.
— Oh, bene. Però fa male. — Bod girò il capo, alzò gli occhi e guardò dietro di sé.
Era più grande di lui, ma non adulta, e non pareva ostile. Diffidente, piuttosto. Aveva un viso sveglio, ma per niente bello.
— Sono Bod.
— Il bambino vivo? — chiese lei.
Bod annuì.
— Avevo immaginato che fossi tu — disse la ragazza. — Abbiamo sentito parlare di te, pure qui nella fossa dei perduti. Com’è che ti chiamano?
— Owens. Nobody Owens. Bod per gli amici.
— Piacere, signorino Bod.
Bod la squadrò dall’alto in basso. Indossava una semplice camicia da notte bianca. Aveva capelli grigio topo, lunghi, e c’era qualcosa che le dava un’aria da folletto: un vago accenno di sorriso a un angolo della bocca, che pareva non andar mai via, qualunque espressione prendesse il resto del viso.
— Eri una suicida? — le chiese. — Avevi rubato uno scellino?
— Mai rubato niente, manco un fazzoletto. Comunque — aggiunse in tono impertinente — i suicidi stanno tutti laggiù, dietro quel biancospino, e gli impiccati sono tutti e due accanto ai cespugli di more. Uno era un falsario, l’altro un brigante, lui dice così, ma per me doveva essere un semplice tagliaborse o un ladrone qualsiasi.
— Ah — disse Bod. Poi, più cauto, soggiunse: — Pare che ci sia una strega sepolta qui.
La ragazza annuì. — Affogata, arsa e sepolta qui, con neanche una pietra a segnare il punto.
— Ti hanno affogata e pure arsa?
La ragazza si sedette accanto a lui sulla collinetta di erba tagliata, e gli prese la gamba dolente tra le dita gelide. — Spuntano vicino alla mia casetta all’alba, che ancora non mi sono svegliata, e mi trascinano in mezzo all’erba. «Sei una strega!» mi gridano quelle facce rosa e paffute e profumate e spazzolate di prima mattina, come porcelli strigliati per il giorno del mercato. Uno per uno si drizzano contro il cielo e cominciano a parlare di latte che diventa acido e cavalli che diventano fiacchi, e alla fine donna Jemima, la più grassa, quella con la pelle più rosa, la più strigliata di tutti, mi dice che ora Solomon Porritt la ignora completamente e gira attorno al lavatoio come una vespa attorno al miele, e tutto per colpa della mia magia, dice, che lo ha fatto diventare così, e il povero giovanotto va liberato dall’incantesimo. E mi legano alla gogna e mi tengono giù nell’acqua dello stagno; dicono che se sono una strega non annegherò e non m’importerà, e se non sono una strega si capirà. E il padre di donna Jemima dà una moneta da quattro penny d’argento a ognuno perché mi tengano per un bel pezzo sotto l’acqua verde e fetida, così vedono se annego.
— E annegasti?
— Oh, sì. Mi beccai una bella polmonata d’acqua. Ci restai secca.
— Perciò alla fine non eri una strega.
La ragazza lo fissò con occhi luccicanti da fantasma e fece un sorriso sghembo. Aveva ancora l’aria da folletto, ma adesso pareva un folletto grazioso, e Bod pensò che no...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Il cimitero senza lapidi e altre storie nere
- Introduzione
- Il cimitero senza lapidi
- Il ponte del troll
- Non chiedetelo a Jack
- Come vendere il Ponte di Ponti
- Ottobre sulla sedia
- Cavalleria
- Il prezzo
- Come parlare con le ragazze alle feste
- Avis Soleus
- Il caso dei ventiquattro merli
- Istruzioni
- Copyright