Una figlia per sempre
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Una figlia per sempre

  1. 224 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Una figlia per sempre

Informazioni su questo libro

A quarant'anni Ann Prentice è una donna bella e affascinante che si divide tra una moderata vita mondana nella Londra dell'immediato dopoguerra e l'amore per la figlia diciannovenne, Sarah. Proprio durante un breve soggiorno in Svizzera della ragazza, Ann conosce Richard, un uomo che riesce a farle battere di nuovo il cuore dopo sedici anni di vedovanza. E nel giro di poche settimane Ann decide di sposarlo, pronta a vivere una nuova felicità. Ma al suo ritorno Sarah, che vuole tenere la madre tutta per sé e non concepisce neppure l'idea di un suo secondo matrimonio, fa di tutto per mandarlo all'aria. Da quel momento rancori, gelosie, risentimenti segneranno il rapporto tra le due donne. Rimarranno nemiche per sempre o l'amore tra madre e figlia finirà per farle ritrovare?

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
Print ISBN
9788804617686
eBook ISBN
9788852026270

Mondadori

UNA FIGLIA
PER SEMPRE

Mondadori

LIBRO PRIMO

1

Sulla banchina di Victoria Station, Ann Prentice si sbracciava per salutare.
Il treno che portava al traghetto si mise in moto con una serie di secchi strattoni. La testa scura di Sarah scomparve, e Ann si voltò per ripercorrere lentamente la banchina verso l’uscita.
Dentro di sé provava quello strano miscuglio di sensazioni che talvolta si scatena nell’assistere alla partenza di una persona amata.
Oh, Sarah carissima, quanto le sarebbe mancata... Certo, in fondo si trattava di un’assenza di tre sole settimane, ma l’appartamento sarebbe sembrato così vuoto! Soltanto lei e Edith, due tardone di mezza età...
Sarah invece era così piena di vita, così dinamica, così positiva rispetto a tutto. E allo stesso tempo era ancora la sua adorabile bambina dai capelli neri che...
No, no, che brutto modo di pensare! Sarah ne sarebbe stata terribilmente contrariata! Se c’era una cosa che lei e le ragazze della sua età pretendevano più di ogni altra dai propri genitori, era che sapessero mantenere nei loro confronti un atteggiamento di distaccata indifferenza. «Ti prego, mamma, niente smancerie» dicevano subito.
Il che naturalmente non impediva che accettassero tributi in natura, come portare i loro vestiti in lavanderia, andarli a ritirare e di solito anche pagarli. Oppure fare per loro le telefonate più spinose («Ti prego, mamma, se soltanto fossi tu a chiamare Carol sarebbe molto più facile...»). O stare dietro al loro eterno disordine («Ti assicuro, mammina, volevo davvero mettere a posto, ma sul più bello sono proprio dovuta scappare...»).
“Quando ero giovane io, invece...” pensò Ann scuotendo il capo.
Tornò indietro nel tempo col pensiero. Era cresciuta in una casa all’antica. Quando era nata, sua madre aveva già più di quarant’anni e suo padre era persino più anziano, di quindici o sedici anni. Ed era lui a dettare le regole della vita familiare.
L’affetto non si poteva dare per scontato, bisognava esprimerlo.
«Ecco qui la mia piccina», «Tesoro di papà!», «Mammina, c’è qualcosa che posso fare per te?».
Riordinare la casa, fare le commissioni, occuparsi dei registri dei fornitori, scrivere inviti e biglietti, erano tutte faccende che da giovane Ann aveva sbrigato come se niente fosse, con naturalezza. Le figlie esistevano per dare una mano ai genitori, non il contrario.
Mentre passava davanti all’edicola della stazione, si sorprese a chiedersi quale fosse l’atteggiamento migliore. E si accorse con stupore che la risposta era tutt’altro che facile.
Passando in rassegna con lo sguardo i libri esposti dall’edicolante (cercava qualcosa da leggere quella sera stessa, davanti al caminetto), giunse all’inattesa conclusione che in fondo non aveva importanza. Si trattava soltanto di convenzioni, nulla di più. Un po’ come usare lo slang, i modi di dire gergali. Per un certo periodo era di moda dire che le cose andavano “alla grande” o che erano “una favola”, poi invece diventavano “pazzesche”; si diceva “sono troppo d’accordo” o “sei fuori come un balcone”, finché non si passava a qualcos’altro. E se per un periodo si diceva che un tizio era “uscito dai gangheri”, dopo qualche tempo si usava l’espressione “fuori di testa”, e così via.
Che i figli fossero a disposizione dei genitori o i genitori a disposizione dei figli, in fondo non faceva alcuna differenza per la vitalità di una relazione tra due persone. L’amore che univa lei e Sarah era, secondo Ann, profondo e genuino. Ma che rapporto aveva avuto lei con sua madre? Guardandosi indietro pensò che, sotto una superficie di devozione e affetto, in realtà tra loro c’era stata un’indifferenza garbata e noncurante: era semplicemente l’atteggiamento che andava di moda a quei tempi.
Sorridendo tra sé, Ann comprò un titolo della Penguin, un libro che si ricordava di avere già letto anni prima e che le era piaciuto. Forse un po’ melenso e sentimentale, ma poco importava, dal momento che Sarah non sarebbe stata lì a farglielo notare...
“Mi mancherà, certo” pensò Ann. “Ma perlomeno potrò godermi un po’ di pace...”
Poi pensò: “Anche Edith potrà riposarsi un po’. Si agita ogni volta che Sarah la obbliga a un cambio di programma all’ultimo momento o quando si scombinano gli orari dei pasti”.
Già, perché Sarah e i suoi amici erano sempre immersi in un andirivieni di incontri e telefonate, e gli accordi appena presi saltavano per essere sostituiti da nuovi programmi. «Mammina, possiamo mangiare prima? Più tardi vogliamo andare al cinema.» «Ciao, mamma, sei tu? Ti chiamo per dirti che oggi non torno a pranzo.» Quelle piccole rivoluzioni quotidiane costringevano Edith, fedele governante da più di trent’anni, a lavorare il triplo, ed era naturale che le trovasse assai irritanti.
A sentire Sarah, Edith era sempre scorbutica. Questo, però, non significava che non potesse sempre contare su di lei. La governante, infatti, poteva anche essere querula e piena di rimostranze, ma adorava quella ragazza.
A ogni modo, adesso che Sarah era partita la vita di Ann sarebbe stata molto silenziosa. Tranquilla, certo, ma silenziosa. Avvertì un’insolita sensazione di freddo e rabbrividì. “D’ora in poi, soltanto silenzio” pensò. Un silenzio che l’avrebbe condotta come niente fosse giù, lungo i pendii della vecchiaia, verso la morte. Niente a cui tendere, nessuna aspettativa.
“Ma in fondo che cosa pretendo?” si chiese. “Ho avuto tutto. Amore e gioia con Patrick. Una figlia. Ho avuto ciò che ho sempre desiderato dalla vita. E adesso è finita. A partire da ora, Sarah proseguirà da dove mi fermerò io. Si sposerà, avrà dei figli, e un giorno diventerò nonna.”
Sorrise tra sé. Le sarebbe piaciuto avere dei nipotini. Si immaginò dei bambini belli e vivaci, come senz’altro sarebbero stati i figli di Sarah. Birbantelli con i capelli neri e ribelli della madre, bimbette paffute. Avrebbe potuto leggere loro dei libri, raccontare delle storie.
Quella prospettiva la fece sorridere, ma non cancellò la gelida sensazione che provava. Se solo Patrick fosse stato ancora vivo... Sentì riaffiorare un’antica pena dentro di sé. All’epoca Sarah aveva solo tre anni. Ormai era passato tanto di quel tempo che le ferite della perdita si erano cicatrizzate. Poteva pensare a Patrick con tenerezza, senza avvertire una fitta al cuore. Patrick, il giovane marito impetuoso che aveva amato così tanto. Ma era stato molto tempo prima, in un passato lontano.
Quel giorno, però, sentì di nuovo crescere lo strazio di quel vecchio dolore. Se suo marito fosse stato ancora vivo, la partenza di Sarah – quel giorno per una settimana bianca in Svizzera, ma un domani, a tempo debito, per trasferirsi con suo marito in una casa tutta sua – l’avrebbe lasciata in uno stato d’animo diverso. Lei e Patrick sarebbero stati insieme; più vecchi, più tranquilli, ma con la possibilità di condividere la vita e i suoi alti e bassi. Non sarebbe stata sola, se...
Uscì nel piazzale della stazione brulicante di vita. “Questi autobus rossi hanno un aspetto davvero sinistro” fu il suo pensiero. “Così accostati, uno in fila all’altro, sembrano mostri in attesa di essere nutriti.” Parevano quasi animati da una vita propria, una vita che, forse, era ostile al loro creatore, l’Uomo.
Che mondo rumoroso, affollato, affaccendato! Tutti andavano e venivano in continuazione, frettolosi, ciarlieri, ridanciani, lamentosi, dicendosi “Salve” o “Addio”.
E ancora, d’un tratto, fu attraversata dalla fitta fredda e dolorosa della solitudine.
“Però era tempo che Sarah se ne andasse” si disse. “Stavo diventando davvero troppo dipendente da lei. E forse la stavo rendendo troppo dipendente da me, una cosa che dovrei evitare. È sbagliato mettere un freno ai giovani, impedire che abbiano una vita propria. Sarebbe terribile, una vera malvagità.”
Il suo compito, adesso, era eclissarsi, restare nelle retrovie, incoraggiare Sarah a fare programmi, a conoscere nuovi amici.
E allora tornò a sorridere, perché da quel punto di vista sua figlia non aveva proprio alcun bisogno di essere incoraggiata. Aveva legioni di amici ed era costantemente impegnata con loro in qualche piano, indaffaratissima a fare questo o quello con incrollabile fiducia in se stessa e sommo divertimento. Adorava sua madre ma, vista la differenza di età, le riservava tutt’al più una gentile benevolenza, come si tratta chi si vuole escludere da ogni possibilità di comprensione e partecipazione.
Quarantun anni dovevano sembrarle davvero tanti! Per Ann, invece, era ancora dura pensare a se stessa come a una donna di mezza età. Non che volesse opporsi al passare del tempo. Si truccava appena, e si vestiva ancora con lo stile vagamente rustico di una giovane sposa appena sbarcata in città. Gonne e cappottini ordinati, e al collo un filo di perle.
Ann sospirò, poi esclamò ad alta voce: «Non capisco perché faccio pensieri così sciocchi! Dev’essere per via del fatto che Sarah è appena partita».
D’altronde, come dicevano i francesi? “Partir, c’est mourir un peu...”
Sì, era proprio così. Sarah era stata trascinata via da quel massiccio treno sbuffante, e in quel momento per sua madre era come se fosse morta davvero. “E io per lei” pensò Ann. “Che cosa curiosa, la distanza. Una separazione nello spazio...”
Sarah avrebbe vissuto una vita, e lei, Ann, ne avrebbe vissuta un’altra. Una vita tutta sua.
Una sensazione vagamente piacevole si sostituì finalmente al gelo che l’aveva pervasa poco prima. Perlomeno adesso avrebbe potuto scegliere a che ora alzarsi e quali faccende sbrigare. Poteva pianificare la giornata, decidere se andare a letto presto dopo una cena frugale oppure uscire e andarsene al cinema o a teatro. O magari saltare sul primo treno e gironzolare per la campagn...

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