Il cavaliere del re (I Romanzi Classic)
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Il cavaliere del re (I Romanzi Classic)

  1. 288 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
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Il cavaliere del re (I Romanzi Classic)

Informazioni su questo libro

Prigioniera del re inglese Enrico il Plantageneto, Caledonia MacNeely è un'abile e impavida spadaccina. Eppure non sa come combattere la sensazione che la sconvolge quando il sovrano, per salvaguardare i confini settentrionali con la Scozia, la offre in sposa a uno dei suoi cavalieri, il famigerato lord Sin. Caledonia teme questo misterioso straniero più per il suo tocco bollente che per quello che si mormora sul suo conto. Ma poiché c'è di mezzo il destino del clan, non può rifiutare. Bandito dalle Highlands quando era ancora un bambino, Sin MacAllister disprezza le proprie origini, tuttavia neanche lui potrà opporsi all'ordine del re. Né alla passione che in lui presto divamperà...

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
eBook ISBN
9788852026478
Kinley
MacGregor
images

IL CAVALIERE
DEL RE

Traduzione di Maria Luisa Cesa Bianchi
Mondadori

IL CAVALIERE
DEL RE

A Lyssa e a tutte le sue fantastiche intuizioni
che mi aiutano tanto,
e a Nancy, che mi mantiene sana di mente.
Ai miei cari amici Janet, Lo, Rickey e Cathy.
Ma soprattutto a mio marito,
che è sempre stato e sarà sempre
il grande amore della mia vita.
Tu mi mantieni più sana di tutti
e mi concedi di seguire i miei sogni.
Può darsi che non lo dica o dimostri spesso,
ma nel mio cuore, tengo costantemente conto
di quanto ti devo. Sei il migliore, caro, e ti amo.

Prologo

Outremer
Il freddo vento della notte soffiava contro le guance piene di escoriazioni e le labbra screpolate di Sin, trasportando risate. Disabituato al loro suono, si rannicchiò tra le ombre ai margini dell’accampamento inglese e rimase in ascolto. Era da tanto tempo che non udiva niente di simile.
Ma la sua esitazione gli costò cara, perché Marr gli vibrò una bastonata sulla schiena. — Perché ti sei fermato, verme? Cammina!
Sin si girò verso il capo saraceno con un’occhiata così feroce che per una volta Marr indietreggiò.
Appena diciottenne, Sin aveva trascorso gli ultimi quattro anni e mezzo della sua vita sotto la mano intransigente dei suoi addestratori. Quattro anni e mezzo interminabili, fatti di percosse, torture e imprecazioni, che lo avevano privato via via di ogni suo principio, della sua lingua, della sua identità.
Alla fine era diventato l’animale che tutti dicevano. Non era rimasto più niente in lui.
Né dolore, né passato.
Niente all’infuori di un vuoto così grande che si domandava se esistesse qualcosa al mondo in grado di fargli provare ancora dei sentimenti.
Era morto sotto qualsiasi punto di vista.
Rad gli porse il lungo pugnale ricurvo. — Sai cosa devi fare.
Sì, lo sapeva.
Sin prese in mano il pugnale e lo fissò. La sua mano era quella di un giovane appena fattosi uomo, eppure i peccati e i crimini commessi l’avevano già trasformato in un vecchio.
Marr lo spinse avanti. — Sbrigati e stasera mangerai bene e avrai un letto dove dormire.
Sin si voltò a guardare Marr con lo stomaco che gli si torceva per la fame. Lo nutrivano appositamente solo quel poco che serviva per mantenerlo in vita. Doveva uccidere per qualcosa in più dell’acqua torbida e di una crosta di pane. E loro sapevano che avrebbe fatto qualunque cosa per un pasto decente che placasse i crampi della fame nel suo ventre. Qualunque cosa per una notte priva di torture e dolore.
Dalle ombre, Sin osservava i cavalieri inglesi seduti nel loro accampamento.
Alcuni di essi mangiavano, altri erano impegnati nel gioco o si raccontavano aneddoti di guerra. Le loro tende si distinguevano anche nell’oscurità. I colori erano smorzati dalla notte, ma ancora percepibili.
Udì di nuovo la loro musica e le loro canzoni.
Era da tanto tempo che non sentiva parlare in francese normanno, figuriamoci quindi cantare. Gli occorse qualche minuto per ricordare e capire le parole che usavano.
A quattro zampe, come l’animale che l’avevano addestrato a essere, Sin strisciò verso l’accampamento. Era un’ombra. Un fantasma che aveva un unico scopo.
Distruzione.
Scivolò senza difficoltà tra le guardie inglesi finché non raggiunse la più grande e sontuosa delle tende. Lì c’era il bersaglio di quella notte.
Sollevò un lembo e guardò dentro.
Un braciere d’oro era posizionato al centro, i tizzoni ardenti che gettavano ombre sulla tenda. In un angolo c’era un letto così grande e dorato che per un momento Sin pensò fosse un sogno. Ma era tutto reale. Le teste di drago scolpite erano regali e parlavano dell’alto rango dell’uomo che dormiva ignaro, stringendo le coltri ricavate da pellicce di leoni e leopardi delle nevi.
Un uomo che non aveva idea che la sua vita stava per finire.
Sin concentrò lo sguardo sul bersaglio. Un rapido taglio e avrebbe cenato con fichi e agnello arrosto. Avrebbe bevuto vino e dormito su un giaciglio di piume invece che sulla ruvida sabbia, dove doveva stare attento a scorpioni, vipere e a tutte le altre creature che vanno in cerca di prede durante la notte.
A un tratto, mentre gli pulsavano le ferite e le frustate sulla schiena, gli venne un’idea. Tornò a guardarsi intorno, considerando la ricchezza e il potere di chi giaceva nel letto. Quest’uomo era un re. Un re crudele che faceva tremare di paura i saraceni. Un re che avrebbe potuto liberarlo dai suoi padroni.
Libertà.
La parola gli risuonò nella testa. Se gli restava ancora un po’ di anima, l’avrebbe scambiata volentieri per una notte di sonno senza catene. L’avrebbe scambiata per una vita dove nessuno lo dominava. Nessuno lo torturava.
A quel pensiero le labbra si piegarono in una smorfia. Quando mai aveva conosciuto qualcos’altro? Anche in Inghilterra per lui non c’era stato che tormento.
“Uccidilo e falla finita. Mangia a sazietà stasera e preoccupati del domani quando arriva.”
Questo era tutto ciò che sapeva. Questa filosofia essenziale era ciò che gli aveva permesso di vivere la sua breve, dura vita.
Determinato a mangiare di nuovo, Sin scivolò avanti.
Enrico si svegliò nell’istante in cui sentì una mano sulla gola. Poi una fredda lama affilata contro il pomo d’Adamo.
— Un fiato e siete morto. — Le fredde parole minacciose erano state pronunciate con un accento che era uno strano miscuglio di scozzese, nobile francese normanno e saraceno.
Terrorizzato, guardò che genere d’uomo poteva essere sfuggito alle sue guardie e...
Enrico batté le palpebre incredulo nell’osservare il suo assassino. Era un ragazzo fragile e scheletrico, vestito di stracci saraceni. Palesemente affamato e con occhi scuri privi di una qualsiasi emozione, quel ragazzo lo fissava come se stesse soppesando il valore della sua vita.
— Che cosa vuoi? — chiese Enrico.
— Libertà.
Enrico corrugò la fronte davanti al giovane e allo strano, roco accento in cui si esprimeva. — Libertà?
Il ragazzo annuì, gli occhi misteriosamente accesi nella semioscurità. Quegli occhi non appartenevano a un ragazzo. Appartenevano a un demonio che aveva visto l’inferno.
Metà della sua faccia era gonfia e nera per le percosse e le labbra erano screpolate e spaccate. Il collo era rosso e sanguinante come se indossasse normalmente un collare di metallo, che cercava di togliersi. Abbassando lo sguardo, Enrico vide ferite simili su entrambi i polsi. Sì, qualcuno era solito incatenare il ragazzo come un animale. E il ragazzo aveva l’abitudine di ribellarsi a quel giogo.
Quando tornò a parlare, le sue parole lo colpirono ancor più dell’aspetto. — Se mi concederete la libertà, vi sarò fedele fino al giorno della mia morte.
Se quella frase fosse stata pronunciata da chiunque altro, Enrico avrebbe riso. Ma c’era qualcosa in quel ragazzo che gli faceva capire che conquistarsi la sua fedeltà non era facile, ma che, una volta ottenuta, sarebbe stata preziosa.
— Se rifiuto?
— Vi ucciderò.
— Le mie guardie ti cattureranno, e ti uccideranno.
Il ragazzo scosse il capo. — Non mi cattureranno.
Enrico non ne dubitava affatto.
Osservò i suoi lunghi capelli neri e gli occhi scuri. Eppure la sua pelle bruciata dal sole era più chiara della maggior parte dei nati in quella regione. — Sei saraceno?
— Sono... — Il ragazzo si interruppe. La durezza sparì dai suoi occhi rivelando una pena così profonda che Enrico ne rimase colpito. — Non sono saraceno. Ero scudiero di un cavaliere inglese, che mi ha venduto ai saraceni per potersi comprare la traversata fino a casa.
Enrico era sbalordito. Adesso capiva il terribile stato in cui versava. I saraceni dovevano averlo sottoposto a ogni genere di abuso e privazione. Ma quale mostro avrebbe venduto un ragazzo al proprio nemico? Tanta crudeltà lo sopraffece.
— Ti ridarò la libertà — disse.
Il ragazzo strinse gli occhi, sospettoso. — Meglio che non sia un trucco.
— Non lo è.
Allora si decise a lasciarlo e si allontanò, andando ad accovacciarsi in un angolo con una mano sulla tenda, pronto a fuggire alla prima mossa improvvisa del re.
Lentamente, per non spaventarlo, Enrico si alzò e lasciò il letto.
Il ragazzo si guardò intorno nervosamente. — Verranno a cercarmi.
— Chi verrà?
— I miei padroni. Mi trovano sempre quando scappo. Mi trovano e...
L’orrore s’impresse sul volto del ragazzo, come se stesse rivivendo quello che gli avevano fatto sopportare, il respiro corto per la paura.
— Devo uccidervi — disse, alzandosi in piedi. Estrasse di nuovo il pugnale dirigendosi verso Enrico. — Se non lo faccio, verranno a cercarmi.
Ma Enrico riuscì ad afferrare la sua mano prima che potesse affondargli il pugnale nel petto. — Posso proteggerti da loro.
— Nessuno mi protegge. Ho solo me stesso.
Mentre lottavano per il pugnale qualcuno tirò indietro il lembo della tenda. — Maestà, abbiamo trovato... — La voce della guardia si spense nel vedere la scena.
Poi subito gridò, chiamando i rinforzi.
Il ragazzo lasciò andare il pugnale mentre le guardie accorrevano nella tenda. Enrico osservò sbalordito quel giovane scheletrico battersi come un leone accerchiato. Se avesse avuto un po’ di forza nel suo corpo affamato, avrebbe facilmente sconfitto tutte le dodici guardie. Ma, data la situazione, queste ebbero la meglio e lo sbatterono violentemente sul pavimento.
Tuttavia, lui lottava con tale furia che occorsero cinque uomini per tenerlo fermo.
— Lasciatelo.
Le dodici le guardie guardarono il re come se fosse impazzito.
— Maestà? — chiese esitante il suo capitano.
— Lasciatelo.
Solo quando ebbero eseguito gli ordini, Enrico realizzò che il braccio del ragazzo era stato rotto durante la lotta. Gli sanguinava il naso e aveva un taglio sulla fronte. Eppure non emise un suono nel rimettersi in piedi.
Non pregò né implorò, e ciò la disse lunga a Enrico sugli orrori che il ragazzo doveva aver sopportato. Manteneva un atteggiamento forte e spavaldo davan...

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