
- 224 pagine
- Italian
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Le cronache di Narnia - 4. Il principe Caspian
Informazioni su questo libro
TERRA 1941 - NARNIA 2303 La pacifica Narnia è stata conquistata dagli umani. Folletti, giganti, fauni e ninfe si sono nascosti, insieme agli animali parlanti, nel fitto delle foreste, fra gli alberi amici. Nel mondo degli umani nessuno parla di loro, nessuno vuole ricordare. Ma il giovanissimo Caspian, l'erede al trono, decide di guidare la riscossa del popolo nascosto. Al suo fianco, quattro ragazzi che un tempo erano stati i saggi sovrani dell'antica Narnia. La battaglia è aperta…
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Informazioni
Print ISBN
9788804599036eBook ISBN
9788852027017ASLAN TRACCIA UNA PORTA
NELL’ARIA

Alla vista di Aslan, gli uomini di Miraz sbiancarono in volto. Poveretti, avevano le gambe che tremavano e molti si gettarono a terra con il volto nascosto fra le mani.
Il fatto è che non avevano mai creduto nei leoni, e questo non faceva che accrescere la loro paura. Perfino i Nani Rossi, convinti che Aslan venisse in amicizia, rimasero a bocca aperta e non riuscirono a dire una parola. Dei Nani Neri, la fazione di Nikabrik, alcuni fuggirono, ma gli animali parlanti si fecero intorno al leone: squittivano e facevano le fusa, nitrivano di gioia e scodinzolavano, si strusciavano su di lui e lo sfioravano delicatamente con il naso, passando sotto il suo ventre enorme e tra le zampe. Per immaginare la scena, pensate a un gattino in adorazione di un cane grande e grosso che conosce e di cui si fida. Intanto Peter, in compagnia di Caspian che gli stava davanti, cercava di farsi largo fra la folla degli animali.
— Sire, questi è Caspian — disse Peter. Caspian si inginocchiò e baciò la zampa del leone.
— Bentrovato, principe. Sei pronto a governare il regno di Narnia? — chiese Aslan.
— Io non credo, signore — balbettò Caspian. — Sono solo un ragazzo.
— Bene. Se avessi detto il contrario, sarebbe stata una bugia. Ma ora, sottomesso a noi e al Re supremo, tu sarai re di Narnia, lord di Cair Paravel e imperatore delle Isole Solitarie. Tu e i tuoi eredi garantirete la durata della stirpe. L’incoronazione… ma cosa abbiamo qui? — si interruppe Aslan.
Proprio in quel momento si era avvicinata una piccola e insolita processione. Erano undici topi, sei dei quali trasportavano una piccolissima lettiga di rami intrecciati. Nessuno aveva mai visto topi tanto tristi! Erano coperti di fango, alcuni feriti e sanguinanti, avevano le orecchie abbassate, i baffi curvi e la coda che strisciava nell’erba. Il topo che guidava il mesto corteo suonava una nenia triste e malinconica con il flauto. Sulla lettiga riposava una cosa che somigliava a un ammasso di pelliccia bagnata: quello che rimaneva del povero Ripicì. Respirava ancora ma era più morto che vivo; straziato da innumerevoli ferite, aveva una zampa rotta e un moncone fasciato al posto della coda.
— Ora tocca a Lucy — disse Aslan.
Lucy prese la bottiglietta di diamante. Fu sufficiente bagnare le ferite con una goccia ognuna, ma il corpo era così straziato che gli spettatori rimasero in silenzio finché Lucy non ebbe finito e il topo schizzò dalla lettiga. Messa una mano sul fodero della spada, con l’altra si arrotolò i baffetti e fece un inchino.
— Salute a te, Aslan. — Si sentì una vocetta stridula. — Ho l’onore di… — ma si interruppe bruscamente.
Il fatto è che Ripicì era ancora senza coda. Chissà, forse Lucy se ne era dimenticata o la sua potente medicina, che aveva il potere di guarire le ferite, non faceva ricrescere quello che ormai non c’era più. Ripicì se ne rese conto quando si inchinò davanti ad Aslan, probabilmente perché rischiò di perdere l’equilibrio. Si voltò, guardò in basso a destra e, non vedendo la coda, allungò il collo per guardarsi meglio. Ma non c’era niente da fare: spinto a voltarsi ancora, fece un giro completo su se stesso. Anche così non riuscì a vedersi il posteriore e allungò il collo all’inverosimile, ma senza risultato. La drammatica verità si impose dopo tre giri completi.
— Sono confuso — disse ad Aslan. — Mi scuso per il mio contegno. Chiedo perdono per comparire alla vostra presenza in questo deplorevole stato.
— Sei molto elegante, piccola creatura — rispose Aslan.
— Vi ringrazio, ma se fosse possibile fare qualcosa… Forse la regina potrebbe…? — e così dicendo si inchinò davanti a Lucy.
— A cosa ti serve la coda? — chiese Aslan.
— Sire, posso mangiare, dormire e anche morire per Vostra Maestà, senza coda. Ma essa è l’onore e la gloria di un topo!

— Caro amico, mi sono chiesto più volte se tu non stia esagerando, con questa storia dell’onore.
— Re dei re — rispose Ripicì — permettetemi di ricordarvi che a noi topi sono toccate dimensioni tanto piccole che se non difendessimo la nostra dignità, qualcuno potrebbe permettersi atteggiamenti poco piacevoli nei nostri confronti. E ne pagheremmo le conseguenze. Per questo cerco di far capire che, se qualcuno non vuole assaggiare la punta della mia spada, non deve essere offensivo, chiamarmi soldo di cacio e così via. Nessuno può permetterselo, neanche la creatura più grande e più grossa di Narnia. — A questo punto Ripicì lanciò un’occhiataccia al gigante, ma quello, che stava sempre dietro agli altri, non aveva capito di cosa parlassero e perse la battuta.
— E voi, topi, perché avete sguainato le spade? — chiese Aslan.
— Vedete, Maestà — spiegò il topo in seconda, Pipicì — se il nostro capo sarà condannato a vivere senza coda, anche noi ce la taglieremo. Non potremmo sopportare di avere un onore che è negato a chi ci guida.
— Ah! — ruggì Aslan — mi avete convinto. Avete grandi cuori, piccoli amici. Ripicì, bada bene, non per la tua vanità, ma per l’affetto sconfinato che ti lega al tuo popolo e per la devozione che la tua gente mi ha mostrato tempo addietro, quando rosicchiaste le corde che mi tenevano legato alla Tavola di Pietra (se ben ricordate, fu in quel momento che diventaste topi parlanti), ebbene, in nome di questo ti farò dono di una nuova coda.
Aslan non aveva ancora finito di parlare che la coda, nuova fiammante, era al suo posto. Poi, a un cenno di Aslan, Peter ordinò Caspian cavaliere dell’Ordine del Leone, e il principe, non appena avuta l’onorificenza, nominò Tartufello, Briscola e Ripicì cavalieri a loro volta. Poi fu la volta del dottor Cornelius, che venne nominato Lord Cancelliere, mentre agli orsi giganti spettò il titolo di Guardalinee Ufficiali. Tutti furono salutati da un applauso fragoroso.
In seguito i soldati di Miraz vennero scortati attraverso il guado, in fila e controllati a vista ma senza essere spinti o picchiati. Furono momentaneamente rinchiusi nelle prigioni di Beruna e ricevettero carne e birra. Mentre attraversavano il fiume fecero un gran baccano perché avevano un terrore indicibile dell’acqua corrente, e lo stesso per il bosco e gli animali. Finalmente, risolta ogni seccatura, iniziò la parte più bella di quel lungo giorno.
Lucy, che se ne stava comodamente seduta accanto ad Aslan, si chiese cosa facessero gli alberi. All’inizio, visto che ondeggiavano in due cerchi – un gruppo da destra a sinistra e l’altro da sinistra a destra – pensò che ballassero. Poi si accorse che al centro di ogni cerchio c’era qualcosa, lunghe ciocche di capelli tagliate e gettate a terra dagli alberi. Oppure pezzetti di dita… Ma la seconda ipotesi non era molto realistica, perché avrebbero dovuto avere una quantità di dita di ricambio e non sembrava che provassero dolore a staccarle. Qualunque cosa gettassero a terra, a contatto con il suolo si trasformava in sterpaglia o legna da ardere. Arrivarono tre o quattro Nani Rossi con le scatole dell’acciarino e l’esca, e appiccarono il fuoco alla catasta: all’inizio scricchiolò, poi prese fuoco e cominciò a crepitare. Pareva un falò di quelli che si fanno per pulire il bosco nelle notti d’estate. A quel punto, tutti sedettero intorno al grande fuoco.
Bacco, Sileno e le menadi si lanciarono in una danza ancora più sfrenata di quella degli alberi. Non sembrava una semplice danza per divertirsi e stare in allegria, ma un rituale magico; dove i ballerini toccavano con le mani e poggiavano i piedi, comparivano squisite leccornie da mangiare: pezzi di carne arrostita che spargevano per il bosco un profumino stuzzicante, torte d’avena e di cereali, miele e canditi a volontà, crema solida e compatta, morbida come l’acqua cheta, e ancora pesche, nettarine, pomarance, pere, uva, fragole, mirtilli, piramidi di frutta.
L’uva comparve in enormi coppe di legno, nelle tazze e nei boccali avvolti dall’edera: bei grappoli scuri e densi come sciroppo di more, bei grappoli rossi come gelatine rosse quando si sciolgono, e ancora grappoli gialli e verdi, giallo-verdi e verde-gialli.

Agli alberi vennero offerte vivande diverse. Quando Lucy vide Scavazolletta e le sue talpe che affondavano nell’erba un po’ qua e un po’ là (nei luoghi che Bacco aveva indicato), si rese conto che gli alberi mangiavano terra e per poco non le prese un colpo. Ma quando diede un’occhiata alle zolle che venivano loro offerte, trasse un respiro di sollievo. Era una bella terra marrone che somigliava alla cioccolata. Proprio per questo Edmund volle assaggiarne un pezzetto, ma non la trovò di suo gusto.
Quando si furono sfamati con la terra ricca e fertile, gli alberi assaggiarono un terriccio simile a quello che si può trovare nella campagna inglese, nella regione del Somerset, e che ha un colore vagamente rosato. Secondo gli alberi, era la terra più dolce e delicata. Al posto del formaggio venne offerto loro del suolo calcareo. Come dessert, una delicata mousse della più fine delle ghiaie con sabbia setacciata color argento. Di vino non ne bevvero granché, ma quel poco diede alla testa agli agrifogli, che improvvisamente si fecero ciarlieri e chiacchieroni. La maggior parte degli alberi placò la sete con poderose sorsate di pioggia mista a rugiada, aromatizzata con i fiori della foresta e un gusto leggero di nube sopraffina.

Così Aslan banchettò in compagnia dei Narniani fino a notte fonda, quando il sole già da tempo era andato a dormire e le stelle brillavano in cielo. Il gran falò, pieno di legna ardente, aveva adesso un crepitio più leggero, e brillava come un faro nelle tenebre della foresta. Gli uomini di Miraz potevano vederlo in lontananza e, terrorizzati, si chiedevano che cosa fosse. La cosa più piacevole consisté nel fatto che nessuno aveva deciso che fosse arrivata l’ora di salutare e andarsene, ma non appena la quiete scese sulla foresta, una dopo l’altra le creature cominciarono a salutarsi con un cenno della testa e caddero addormentate con i piedi rivolti al fuoco, fino a che il silenzio scese intorno al cerchio e si sentì solo lo scrosciare dell’acqua sulle pietre, al guado di Beruna.
Per tutta la notte Aslan e la luna si guardarono con occhi dolci e sognanti.
Il giorno successivo numerosi messaggeri, soprattutto scoiattoli e uccellini, furono inviati nella regione perché diffondessero un proclama indirizzato a tutti i discendenti di Telmar che vivevano in Narnia, compresi, naturalmente, quelli prigionieri a Beruna.
Nel proclama si diceva che Caspian era diventato re e che da allora in poi Narnia sarebbe appartenuta di diritto agli animali parlanti, ai nani, alle driadi, ai fauni, alle creature in genere e, naturalmente, agli uomini. Chi voleva restare, doveva accettare questo dato di fatto.
A quelli che non erano d’accordo, Aslan avrebbe trovato un’altra patria. Coloro che avessero deciso per la seconda soluzione, avrebbero dovuto recarsi al cospetto di Aslan e dei re, al guado di Beruna, a mezzogiorno del quinto giorno a partire dalla lettura del proclama.
Che rompicapo per i discendenti di Telmar! Alcuni di loro, soprattutto i più giovani che, come Caspian, avevano sentito parlare degli antichi giorni di Narnia, furono felici di essere tornati ai vecchi tempi e anzi avevano già familiarizzato con le creature: per questo decisero di rimanere a Narnia.
Ma gli uomini, soprattutto quelli che sotto Miraz avevano rivestito cariche importanti, non se la sentivano di vivere in una terra in cui non avrebbero contato più nulla. — Vivere in compagnia di un branco di animali da circo? Non se ne parla nemmeno — dissero. — E poi ci sono i fantasmi — aggiunsero altri, scrollando le spalle. — Guardate le driadi. Sono spiriti, ecco la verità. No, non mi piace per nulla. — Qualcuno era più sospettoso e si lasciò sfuggire espressioni del tipo: — Non c’è da fidarsi di un leone pericoloso. Vedrete, non passerà molto che ci ridurrà a brandelli. — Ma quando fu offerta loro una nuova patria, si mostrarono sospettosi anche di quella. — Ci porterà nella sua tana e ci mangerà tutti, uno a uno — brontolarono. E più parlottavano fra loro, più sospettosi diventavano.

Comunque, nel giorno fatidico dell’appuntamento si presentarono in molti.
In fondo alla radura Aslan aveva fatto sistemare due pezzi di legno a una distanza di circa tre metri l’uno dall’altro, più in alto della testa di un uomo. Un bastone più leggero era stato sistemato sopra gli altri due, in posizione orizzontale, inquadrando una specie di porta che conduceva chissà dove.
Aslan era di fronte a essa, Peter alla sua destra e Caspian alla sinistra. Intorno a loro c’erano Susan e Lucy, Tartufello e Briscola, lord Cornelius, il centauro, Ripicì e tutti gli altri.
I ragazzi e i nani avevano fatto un’incursione nel guardaroba reale, in quello che era stato il castello di Miraz (ora passato a Caspian per diritto), e risplendevano, forse eccessivamente...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Dello Stesso Autore
- Il principe Caspian
- L’isola
- L’antica casa del tesoro
- Il nano
- Il nano racconta la storia del principe Caspian
- Le avventure di Caspian sulle montagne
- Il popolo nascosto
- La Vecchia Narnia è in pericolo
- Come abbandonarono l’isola
- Quello che vide Lucy
- Il ritorno del leone
- Il leone ruggisce
- Un incantesimo e un’immediata vendetta
- Il Re supremo prende il comando
- Come tutti si diedero un gran daffare
- Aslan traccia una porta nell’aria
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