Le cronache di Narnia - 1. Il nipote del mago
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Le cronache di Narnia - 1. Il nipote del mago

C.S. Lewis, Chiara Belliti

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  1. 210 pagine
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Le cronache di Narnia - 1. Il nipote del mago

C.S. Lewis, Chiara Belliti

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C.S. LEWIS, nato in Irlanda nel 1898, studiò e visse in Inghilterra. Prestigioso professore di letteratura inglese medievale e rinascimentale, fu autore di molte opere, diventando noto al grande pubblico soprattutto con il ciclo "Le Cronache di Narnia".

TERRA 1900 - NARNIA ANNO 1 Quando Polly e il suo nuovo amico Digory decidono di esplorare la soffitta di zio Andrew, non sospettano certo che lui sia un mago. Soprattutto non sanno che, grazie al potere di un anello, quella stanza scomparirà e si ritroveranno nel silenzio ovattato e nella luce verde che filtra dai rami fitti della Foresta di Mezzo. È il meraviglioso regno di Narnia ai suoi albori, molti anni prima che Lucy tocchi la maniglia dell'armadio magico…

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
ISBN
9788852026423

LA PORTA SBAGLIATA

Questa è una storia di tanto tempo fa, quando vostro nonno era ancora bambino, ed è molto importante perché fa vedere come siano cominciati i va’ e vieni dalla terra di Narnia.
In quei tempi Sherlock Holmes abitava ancora in Baker Street e i sei ragazzi Bastable cercavano tesori in piena Londra, sulla Lewisham Road. Allora gli insegnanti erano più severi di adesso e se eravate maschi vi costringevano a portare un fastidiosissimo colletto inamidato. Però si mangiava meglio: per quanto riguarda i dolci, non vi dico quanto erano buoni e a buon mercato perché non voglio farvi venire inutilmente l’acquolina in bocca. Sempre a quei tempi, viveva a Londra una ragazzetta che si chiamava Polly Plummer.
Abitava in una casa uguale ad altre tutte uguali, praticamente attaccate l’una all’altra; una mattina, mentre era nel giardino sul retro, un ragazzo si arrampicò sul muro del giardino a fianco e si affacciò nel suo. Polly si meravigliò perché nella casa dei vicini non vivevano bambini ma solo il signor e la signorina Ketterly, due anziani fratelli non sposati. Rimase a guardarlo di sotto in su, incuriosita: il ragazzo aveva la faccia sporchissima. Se avesse strofinato le mani per terra, si fosse fatto un bel pianto e avesse cercato di asciugarsi le lacrime con le mani, non se la sarebbe potuta sporcare di più. In realtà, aveva appena fatto qualcosa di molto simile.
— Ciao — lo salutò Polly.
— Ciao — rispose il ragazzo. — Come ti chiami?
— Polly. E tu?
— Io mi chiamo Digory.
— Che nome buffo! — commentò Polly.
— Mai quanto il tuo — ribatté lui.
— Sì, invece.
— Niente affatto!
— Ad ogni modo, io la faccia me la lavo tutte le mattine. E lo dovresti fare anche tu, specialmente dopo… — “Aver pianto come una fontana” avrebbe voluto aggiungere Polly, ma pensò che non sarebbe stato educato e riuscì a trattenersi.
— E va bene, ho pianto — disse il ragazzo ad alta voce, come se non gli importasse di quello che potevano pensare gli altri. — Vorrei vederti al mio posto. Cosa faresti se, dopo aver sempre abitato in campagna, con un pony tuo e un fiume proprio dove finisce il giardino, improvvisamente ti trascinassero in questo buco schifoso?
— Londra non è un buco — ribatté Polly indignata. Ma il ragazzo era troppo preso dai suoi guai per poterla ascoltare e proseguì nello sfogo.
— Cosa faresti se tuo padre fosse lontano, in India, e tu fossi costretta a vivere con una zia e uno zio matto da legare (cosa che non fa mai piacere), per la semplice ragione che loro si prendono cura di tua madre malata e che lei… potrebbe morire da un momento all’altro? — La faccia del ragazzo fece la smorfia di chi a stento riesce a trattenere le lacrime.
— Mi dispiace, non immaginavo… — mormorò Polly. E visto che non sapeva cosa dire, cercò di spostare la conversazione su un argomento più allegro.
— Ma il signor Ketterly è pazzo sul serio?
— O è pazzo o nasconde qualche mistero. Ha uno studio in soffitta, ma zia Letty dice che non ci devo assolutamente andare. Una cosa sospetta, non è vero? Non è finita: quando siamo a tavola, ogni volta che lo zio tenta di rivolgermi la parola (pensa che a lei non parla mai), la zia lo zittisce. Gli dice: «Non infastidire il ragazzo, Andrew. Sono certa che Digory non ha voglia di ascoltare le tue chiacchiere.» Oppure: «E adesso, caro Digory, perché non vai a giocare in giardino?»
— Ma lui cosa cerca di dirti?
— Non lo so, perché lei non lo fa parlare. Ma c’è ancora di più. Una sera – anzi, proprio ieri sera, ora che mi ricordo – mentre passavo davanti alle scale che portano in soffitta, per andare in camera mia, ho sentito un grido.
— Forse tuo zio ha una moglie pazza e la tiene rinchiusa lassù.
— L’ho pensato anch’io.
— O è un falsario.
— Magari è un vecchio pirata come quello dell’Isola del Tesoro, che si nasconde perché non vuole farsi trovare dai suoi compagni di una volta.
— Ma è emozionante! Non avrei mai pensato che nella tua casa ci fossero tanti misteri.
— Tu credi che sia emozionante — disse Digory — ma cambieresti idea se dovessi dormire là dentro. Non ti piacerebbe stare sveglia a letto, ad ascoltare il rumore dei passi strascicati dello zio Andrew nel corridoio, proprio davanti alla porta della tua cameretta. E ha uno sguardo terrificante.
Fu così che Polly e Digory diventarono amici e cominciarono a frequentarsi quasi ogni giorno, visto che l’estate era appena agli inizi e nessuno dei due, quell’anno, avrebbe trascorso le vacanze al mare.
Le loro avventure ebbero inizio a causa del freddo e della pioggia. Sì, perché faceva così freddo e pioveva tanto, quell’estate, che Polly e Digory non poterono far altro che chiudersi in casa e dedicarsi a quelle che si potrebbero chiamare esplorazioni tra le pareti domestiche. È bellissimo giocare agli esploratori in una grande casa o in una schiera di case, con un mozzicone di candela in mano.
Qualche tempo prima Polly aveva scoperto che, aprendo una porticina che stava nel locale dei bauli, in soffitta, si arrivava al serbatoio dell’acqua e a un vano retrostante e buio, raggiungibile con una breve arrampicata. Questa zona era una specie di lungo cunicolo, delimitato da una parete di mattoni e dallo spiovente del tetto. Dal tetto, fra una tegola e l’altra, filtravano spiragli di luce.
Il cunicolo non era pavimentato e quindi bisognava spostarsi camminando di trave in trave e facendo attenzione a non mettere i piedi sullo strato di intonaco fra le travi, per non sfondare il soffitto e finire dritti dritti nella stanza di sotto. Polly aveva deciso di usare una piccola parte di quel luogo nascosto, proprio a fianco del serbatoio, per giocare all’antro dei contrabbandieri. Un po’ per volta vi aveva portato vecchi scatoloni, i piani delle sedie della cucina rotte e altre cose di quel tipo, e li aveva sparsi a terra facendoli sembrare la parvenza di un pavimento. C’era anche una cassetta di ferro che conteneva alcuni tesori, il manoscritto di un racconto che Polly stava scrivendo e qualche mela. Di tanto in tanto le piaceva sorseggiare una gassosa, e le bottiglie vuote davano al suo angolo proprio l’aspetto di un covo di contrabbandieri.
Naturalmente Digory apprezzò molto il covo di Polly (che del racconto, è ovvio, non gli aveva rivelato niente), ma si dimostrò maggiormente interessato alle esplorazioni.
— Senti — le disse — quant’è lunga questa galleria? Arriva fino alla fine della tua casa?
— No, perché i muri divisori non arrivano al tetto. Prosegue senz’altro, ma non chiedermi quanto.
— Allora, visto che le case sono affiancate, forse la galleria percorre tutta la schiera.
— Potrebbe essere… Ehi! — esclamò Polly.
— Cosa c’è?
— Perché non esploriamo anche le altre case?
— E se ci prendono per ladri? No, grazie.
— Aspetta. Pensavo alla casa dopo la tua, quella abbandonata. Papà dice che è sempre stata vuota, da quando siamo venuti ad abitare qui.
— Allora credo proprio che dobbiamo darle un’occhiata — sentenziò Digory, cercando di mantenere la calma. In realtà era molto eccitato all’idea di esplorare la casa cui aveva accennato Polly, ma non lo dava a vedere perché era troppo impegnato a immaginare per quale motivo fosse vuota da tanto tempo. La stessa cosa valeva per Polly. Nessuno dei due osò pronunciare la parola “fantasma”, e tutti e due sapevano bene che ormai non si sarebbero più tirati indietro.
— Che facciamo? Andiamo a dare un’occhiata subito? — chiese Digory.
— Per me va bene — rispose Polly.
— Ma se non te la senti…
— Se tu sei pronto, sono pronta anch’io.
— Come faremo a sapere di essere sbucati nella casa dopo la mia? — chiese Digory.
Decisero di rientrare nella stanza dei bauli e cominciarono a misurarla con passi lunghi all’incirca quanto la distanza fra una trave e l’altra: questo per avere un’idea di quante travi corrispondessero alla larghezza del locale. Raddoppiando il numero di travi così calcolato per comprendere l’altro locale della soffitta (la cameretta della cameriera), e aggiungendo quattro travi per il passaggio fra le due stanze, avrebbero ottenuto la larghezza complessiva della casa di Polly.
Percorrendo per due volte la distanza considerata, avrebbero raggiunto la fine della casa di Digory, e a quel punto qualsiasi porta avrebbe potuto condurli nella soffitta della casa abbandonata.
— Mi sembra strano che ci sia una casa disabitata… — disse Digory.
— A cosa pensi?
— Secondo me là dentro c’è qualcuno che vive in segreto ed esce soltanto di notte, con una lanterna cieca. Mi sa che scopriremo una banda di pericolosi criminali e avremo una ricompensa. È assurdo pensare che una casa come quella rimanga vuota per anni. Dev’esserci per forza qualcosa di losco.
— Papà pensa che sia per un problema di fognature — spiegò Polly.
— Puah! Gli adulti trovano sempre le spiegazioni più banali — ribatté Digory. Ora che parlavano in soffitta alla luce del sole, e non accovacciati nell’antro dei contrabbandieri al lume di candela, l’idea che la casa disabitata fosse infestata dai fantasmi sembrava molto meno credibile.
Quando ebbero finito di prendere le misure, si munirono di carta e matita per calcolare la somma finale e a ognuno di loro venne fuori un risultato diverso. Rifecero più volte i calcoli e alla fine credettero di aver trovato la soluzione, anche se io penso che quella somma non fosse proprio esatta. Ma i nostri ragazzi avevano fretta di iniziare la loro avventura.
— Non dobbiamo fare il minimo rumore — disse Polly, arrampicandosi dietro il serbatoio. E visto che si trattava di un’occasione straordinaria, presero una candela per ciascuno (Polly ne aveva una bella scorta, nel suo covo).
Il cunicolo era buio, polveroso e pieno di spifferi. I nostri eroi avanzarono di trave in trave senza parlare, a parte lo scambio di un paio di frasi bisbigliate: — Ecco, adesso ci troviamo dal lato opposto della tua soffitta. Dovremmo essere circa a metà della mia casa.
Proseguirono, badando bene a non inciampare e a mantenere accese le candele, fino a quando non arrivarono a una porticina nel muro di mattoni, proprio alla loro destra. Dato che la porta era stata fatta per essere aperta dall’esterno, cioè per entrare, non aveva la maniglia. C’era soltanto un gancio (come se ne trovano all’interno delle ante di certe credenze) che non pareva difficile girare.
— Allora, vado? — chiese Digory.
— Se tu sei pronto, sono pronta anch’io — disse Polly con le stesse parole che aveva usato prima. Tutti e due sapevano che la faccenda si faceva seria, ma ormai nessuno li avrebbe fermati. Digory riuscì ad alzare il gancio, se pure con un po’ di difficoltà. La porta si aprì e per un attimo i due ragazzi furono abbagliati dall’improvvisa luce del giorno. Videro con sorpresa che la stanza in cui erano entrati era arredata, non vuota come avevano pensato, anche se i mobili non erano troppi. Vi aleggiava un silenzio quasi irreale, ma la curiosità prevalse sulla paura e Polly, una volta spenta la candela, entrò a passi felpati.
La stanza faceva parte delle soffitte, ma visto l’arredamento sembrava un salotto. Le pareti erano coperte di scaffali e ogni ripiano era stracolmo di libri. Il fuoco scoppiettava nel camino (ricorderete che era un’estate fredda e piovosa) e di fronte c’era una poltrona con lo schienale alto, girato verso i ragazzi. Fra la poltrona e Polly, a occupare quasi tutto il centro della stanza, c’era un ampio tavolo straripante di oggetti: libri ammonticchiati, pile di quaderni, bottiglie d’inchiostro, penne, bastoncini di ceralacca e perfino un microscopio. Ma l’attenzione di Polly fu attratta da un vassoio di legno rosso vivo che conteneva alcuni anelli. Anzi, a essere precisi, si trattava di coppie di anelli: uno giallo e uno verde, e a poca distanza ancora un anello giallo e uno verde. Le dimensioni erano quelle di un anello normale, ma avevano una lucentezza particolare, che non li fac...

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