La signora delle camelie (Mondadori)
eBook - ePub

La signora delle camelie (Mondadori)

  1. 256 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La signora delle camelie (Mondadori)

Informazioni su questo libro

L'amore profondo e puro di Margherita e di Armando, contrastato in nome delle buone regole piccolo-borghesi anche quando la "peccatrice" si redime, l'abnegazione e il sacrificio incompreso di costei, la nobiltà d'animo che pervade le ultime pagine del suo diario, elevandola sopra lo stesso mondo che aveva puntato contro di lei l'indice accusatore, ci fanno dimenticare carrozze e cavalli e vivono in quanto sentimenti umani e perpetuabili.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
Print ISBN
9788804319221
eBook ISBN
9788852025884

La signora delle camelie

I

Io credo che non si possano creare personaggi se non quando si sono studiati a fondo gli uomini, come non si può parlare una lingua che a patto di averla imparata sul serio.
Non essendo ancora nell’età dell’invenzione, mi accontenterò di raccontare.
Invito dunque il lettore a persuadersi della realtà di questa storia; i suoi personaggi, eccezion fatta dell’eroina, vivono tuttora.
D’altronde ci sono a Parigi parecchi testimoni per la maggior parte dei fatti che qui raccolgo: e potrebbero confermarli, se la mia testimonianza non bastasse.
Io solo, per una speciale circostanza, potevo trascriverli; perché fui il solo ad essere a conoscenza degli ultimi particolari, senza i quali diventava impossibile dare un racconto attraente e compiuto.
Ecco ora in qual modo venni a conoscere questi particolari.
Il 12 marzo 1847 lessi, in via Lafitte, un grande manifesto giallo che annunziava una vendita di mobili e di ricchi ninnoli, messi all’asta per un decesso. Il manifesto, senza nominare la persona morta, fissava il giorno 16, da mezzodì alle cinque, in via d’Antin, N. 9.
Era detto inoltre che l’appartamento con la mobilia si poteva visitare nei giorni 13 e 14.
Io sono sempre stato amante di cose rare. Mi ripromisi dunque di non perdere una simile occasione, se non proprio di comperarne, almeno di vederne.
E l’indomani mi recai al N. 9 di via d’Antin.
Benché ancora presto, c’erano già nell’appartamento visitatori e visitatrici; e queste pur vestite di velluti, coperte di scialli di cachemire, e attese alla porta da eleganti coupés, guardavano con meraviglia e anche ammirazione tutto quel lusso offerto ai loro occhi.
Compresi in seguito tale ammirazione e meraviglia; perché, messomi anch’io ad osservare, mi accorsi facilmente d’essere nell’appartamento di una mantenuta.
Ora, se di una cosa son curiose le vere signore quali appunto ce n’erano là, è dell’intimo di tali donne: che ogni giorno coi propri equipaggi inzaccherano i loro e hanno, al pari di loro e al loro fianco, il proprio palco agli Italiens e all’Opéra, e sfoggiano in Parigi la sfacciata opulenza della loro bellezza, dei loro gioielli e dei loro scandali.
Questa, nella casa della quale io mi trovava, era morta. Le donne più virtuose potevano dunque introdursi fin nella sua camera.
La morte aveva purificato l’aria di quella splendida cloaca; e d’altronde era scusa per loro, ove bisognasse, l’esser venute a una vendita, ignorando in casa di chi venivano.
Avevano letto i manifesti, volevano vedere le cose da questi promesse e far in anticipo la loro scelta.
Nulla di più semplice; né con ciò si vietavano di cercare in mezzo a tante meraviglie le tracce di quella vita da cortigiana, di cui senza dubbio avevano sentito così strani racconti.
Sfortunatamente i misteri erano svaniti insieme con la dea, e, con tutta la loro buona voglia, quelle dame non sorpresero se non quello che restava da vendere dopo la morte, e nulla di ciò che ci si vendeva durante la vita dell’abitatrice.
C’era del resto di che fare acquisti; un arredamento stupendo: mobili in legno di rosa e di Boule, vasi di Sèvres e di Cina, statuine di Saxe, rasi, velluti, pizzi: nulla mancava.
Io passeggiavo per l’appartamento seguendo le aristocratiche curiose che mi avevano preceduto.
Esse entraron in una camera parata con stoffa di Persia e pure io stavo per entrarvi quando ne uscirono quasi subito, sorridendo, e come vergognose di codesta nuova indiscrezione. Ciò mi fece ancor più desiderare di penetrarvi.
Era la toilette, fornita di tutti i suoi minuti aggeggi, nei quali sembrava si fosse profusa al massimo la prodigalità della morta.
Su una gran tavola accosta al muro, larga tre piedi e lunga sei, brillavano i tesori di Ancoc e di Odiot: tutta una collezione magnifica, e non uno di quei tanti oggetti, così necessari all’abbigliamento di una donna come quella in casa della quale ci trovavamo, non uno che non fosse d’oro o d’argento. Certo una tal raccolta non poteva essersi fatta che a poco a poco, e certo non era stato uno stesso amore a compierla.
Io, per nulla scandalizzato nel vedere la toilette d’una mantenuta, mi divertivo a esaminarne le minuzie, quali esse fossero: e mi accorsi che tutti quegli utensili, mirabilmente cesellati, portavano iniziali diverse e differenti corone.
Guardavo queste cose, ognuna delle quali mi rappresentava una prostituzione della povera ragazza, e mi dicevo che Dio era stato clemente verso di lei, non avendola lasciata giungere fino al solito castigo, e concedendole invece di morire nel suo lusso e nella sua bellezza, innanzi la vecchiaia, che è la prima morte delle cortigiane.
Difatti qual cosa è più triste a vedersi che la vecchiaia del vizio, soprattutto nella donna? Non porta in sé dignità e non ispira curiosità alcuna.
Quell’eterno pentirsi, non della cattiva strada seguita ma dei calcoli sbagliati e del denaro male impiegato, è una delle più lacrimevoli storie che si possano sentire.
Ho conosciuto una vetusta donna elegante, alla quale del passato non restava ormai che una figlia, tanto bella quanto era stata, al dire dei contemporanei, la madre. La povera fanciulla, a cui la madre non aveva detto mai “Sei mia figlia”, se non per ordinarle di nutrire la sua vecchiaia come ella aveva nutrito la sua infanzia... questa misera creatura si chiamava Luisa, e, obbedendo alla madre, si abbandonava senza volontà, senza passione, senza piacere, così come avrebbe esercitato un mestiere, se qualcuno avesse pensato di insegnarglielo.
La vista continua della corruzione, corruzione precoce, alimentata dallo stato continuamente malaticcio, aveva spento in lei il discernimento del male e del bene, che Dio probabilmente le aveva dato, ma che nessuno s’era degnato di sviluppare.
La ricorderò sempre passare sui boulevards, quasi tutti i giorni alla medesima ora, e sua madre accompagnarla così assiduamente, come una buona madre avrebbe accompagnato la sua figliola.
Io ero molto giovane allora e pronto ad accettare la facile morale del mio tempo. Tuttavia la vista di quella scandalosa sorveglianza mi suscitava disprezzo e disgusto: unite a ciò il fatto che mai viso di vergine ebbe un tale sentimento di innocenza, e tanta espressione di malinconica sofferenza. L’avresti detta un’immagine della Rassegnazione.
Un giorno il viso di questa fanciulla si rischiarò. In mezzo alle dissolutezze, cui la madre sopraintendeva, sembrò alla peccatrice che Dio le permettesse una gioia. E perché, infine, Dio, che l’aveva creata così debole, l’avrebbe lasciata poi deserta di consolazione sotto il peso doloroso di quella sua vita? Un giorno, dunque, ella s’accorse d’essere incinta, e quanto restava ancora in lei di casto sussultò di gioia. L’anima ha strani rifugi.
Luisa corse dalla madre ad annunciarle quella notizia che l’illuminava di allegrezza. È vergognoso a dirsi (ma noi non ci dilettiamo qui di fare spicco di immoralità; solo raccontiamo un fatto vero, che forse sarebbe meglio tacere, se non pensassimo che tratto tratto bisogna pur rivelare i martirî di queste creature da noi condannate senza ascoltarle e disprezzate senza giudicarle), è vergognoso ripeto; ma la madre rispose alla figlia che il denaro non abbondava già per due, e non sarebbe perciò bastato per tre; e figlioli di tal sorte sono inutili, e una gravidanza è tempo perduto.
Il giorno dopo, una levatrice – noi la indicheremo soltanto quale amica della madre – venne a visitare Luisa, la quale, rimasta qualche giorno a letto, si rialzò poi più pallida e più debole di prima.
Passarono tre mesi: un uomo, pieno di pietà per lei, volle intraprenderne la guarigione fisica e morale; ma l’ultima scossa era stata troppo violenta, e Luisa morì per le conseguenze dell’aborto procuratole.
La madre vive ancora: in qual modo? Lo sa Iddio.
Questa storia m’era tornata in mente mentre contemplavo i vari accessorî d’argento, e abbastanza tempo, a quanto pare, doveva esser già trascorso in queste riflessioni, perché non restavamo ormai nell’appartamento che io e un custode, il quale, dalla porta, vigilava attento che rubassi qualche cosa.
M’avvicinai al brav’uomo, cui ispiravo tanto gravi inquietudini.
«Potreste dirmi» gli chiesi «il nome della persona che abitava qui?»
«La signorina Margherita Gautier.»
Conoscevo costei di nome e di vista.
«Come,» dissi al custode «Margherita Gautier è morta?»
«Sissignore.»
«E da quanto?»
«Sono tre settimane, credo.»
«E come mai hanno permesso di visitare l’appartamento?»
«I creditori pensano che ne sarà favorita la vendita. La gente può veder prima l’effetto delle stoffe e dei mobili; e questo, lei capisce, spinge a fare acquisti.»
«Essa aveva dunque molti debiti?»
«Oh! signore, molti davvero.»
«Ma basterà la vendita a saldarli?»
«Ce ne sarà d’avanzo.»
«E a chi toccherà allora il sovrappiù?»
«Alla sua famiglia.»
«Come? Ha una famiglia?»
«A quanto pare.»
«Grazie, amico.»
Il custode, rassicurato sulle mie intenzioni, mi salutò, ed io uscii.
“Povera figliola,” dicevo fra me, rincasando “dev’esser morta ben tristemente: nel suo mondo non si hanno amici che a condizione di goder sempre buona salute.”
E contro me stesso m’impietosivo sul destino di Margherita Gautier.
Potrà sembrar ridicolo a molta gente, ma io ho una inesauribile indulgenza per le cortigiane, e non mi curo nemmeno di discutere questa mia indulgenza.
Un giorno, andando alla Prefettura per ritirare un passaporto, vidi in una via adiacente una giovane accompagnata da due guardie.
Ignoro che cosa avesse fatto; solo questo so di lei: piangeva calde lacrime baciando un bimbo di pochi mesi, che per il suo arresto doveva lasciare.
Da quel giorno non ho più saputo disprezzare una donna, a prima vista.

II

La vendita era fissata il 16, a un giorno d’intervallo dalle visite, per dar tempo ai tappezzieri di staccare i paramenti, le tende, eccetera.
A quel tempo io ritornavo di viaggio.
Naturalissimo che non mi fosse stata annunciata la morte di Margherita come una di quelle grandi notizie con cui gli amici sempre salutano chi ritorna nella capitale delle novità. Margherita era una graziosa figliola, ma tanto più la vita di queste donne incuriosisce e fa rumore, tanto meno ne fa la loro morte. Sono astri che tramontano come son sorti, senza abbaglio. La loro fine, quando muoiono giovani, è saputa da tutti i loro amanti nel medesimo tempo, perché a Parigi quasi tutti gli amanti d’una libertina conosciuta vivono in intimità. Ed ecco si scambiano tra loro qualche ricordo, e la vita degli uni e degli altri segue il suo corso, senza che questo incidente la turbi sia pur con una lacrima.
Oggi quando s’hanno venticinque anni, le lacrime diventano una cosa così rara che non si posson dare alla prima venuta. È già molto che i parenti, i quali pagano per esser pianti, lo siano in ragione del prezzo che ci mettono.
Quanto a me, benché le mie iniziali non si trovassero su alcuno degli accessori di Margherita, la mia indulgenza istintiva, la pietà naturale che ho confessato or ora, mi facevano pensare alla sua morte assai più forse di quanto ella non meritasse.
Mi ricordavo d’aver incontrato spesso Margherita ai Champs-Elysées, dove ella veniva assiduamente, tutti i ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. La signora delle camelie
  3. Introduzione - di Giovanni Bogliolo
  4. Cronologia
  5. Bibliografia critica
  6. La signora delle camelie
  7. Copyright